Continuano
le riflessioni intraprese da Papa Francesco
sulle Beatitudini,
e all’Udienza nell’aula Paolo VI è
la seconda quella di cui ci parla oggi, tratta dal Vangelo (Mt
5,4) che recita: “Beati
quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.”
Ma
il pianto non ha un unico significato, bensì può essere di due
modi: rivolto agli altri “per
la morte o per la sofferenza di qualcuno” o
per se stessi “per il
proprio peccato, quando il cuore sanguina per il dolore di avere
offeso Dio
e il prossimo”. E’
importante saper piangere e chiedere perdono, ma non tutti ci
riescono e allora se è vero che “ci
sono degli afflitti da consolare”
è altrettanto vero che “ci
sono pure dei consolati da affliggere, da risvegliare, che hanno un
cuore di pietra e hanno disimparato a piangere. C’è pure da
risvegliare la gente che non sa commuoversi del dolore altrui”.
Il
lutto ci insegna ad “
aprire gli occhi sulla vita e sul valore sacro e insostituibile di
ogni persona”.
Chi
sa piangere per il proprio peccato è benedetto perché “piange
per il male fatto, per il bene omesso, per il tradimento
del rapporto con Dio.
Questo è il pianto per non aver amato, che sgorga dall’avere a cuore
la vita altrui.” Il
pianto del perdono chiesto, dell’accettazione dei propri errori.
L’esempio di Francesco è di due apostoli che peccarono entrambi in
modo diverso, come in modo diverso affrontarono la loro coscienza:
“Pietro
guardò Gesù e pianse, il suo cuore è stato rinnovato. A differenza
di Giuda,
che non accettò di aver sbagliato e, poveretto, si suicidò.”
E’ importante non dimenticare che “ Dio sempre perdona, anche i peccati più brutti, sempre” e quindi il dono più grande per noi è capire il peccato per poi poter piangere di pentimento e ricevere “ la consolazione dello Spirito Santo che è la tenerezza di Dio che perdona e corregge”.
L’articolo Benedetto chi piange per il proprio peccato sembra essere il primo su .