D’ora in poi !

Hic. Qui. Quante volte rimbomba questa parola in Terra Santa: in ogni luogo a ricordarci qualche grande avvenimento e farci scoprire una parte di noi. Hic, qui, il Signore ha fatto qualcosa per me. Hic, qui, il Signore ha compiuto qualcosa dentro me.

Un pellegrinaggio, si sa, è metafora della vita. Ci si mette in cammino perché è un’esperienza che coinvolge tutto di te, magari in cerca di risposte a qualcosa che si sta vivendo, magari per imparare qualcosa, uscire da sé stessi ed entrare in qualcosa di più grande. Il mio cammino personale era cominciato un po’ di tempo prima, in cerca di risposte a qualche tempesta improvvisa che in breve tempo aveva devastato tutte le mie sicurezze, tutte le mie certezze che credevo di essermi costruito negli anni, lasciandomi deluso dalla vita, dagli affetti, dall’amore, dalla famiglia. Una serie di avvenimenti che mi avevano lasciato in eredità un cuore di pietra, freddo, insensibile, apatico. Ma per mia fortuna non ho mai smesso di interrogare il Signore di tutte quelle croci che mi sembravano così ingiuste e così, di fronte alle difficoltà, mi ha detto di ripartire verso le profondità… ecco che è arrivata, come un dono grande, la proposta della Terra Santa.

Sentivo dire dai frati che si va in Terra Santa per ricevere un cuore di carne, cioè imparare ad amare come Lui ci ama. Chiedevano: ma tu il cuore di carne lo vuoi veramente o stai comodo col tuo cuore di pietra? Ero davvero sfiduciato e, forse, spaventato… Eppure, sentivo forte dentro di me il desiderio di partire. Come se Dio mi stesse chiamando là, per fare verità, là forse avrei trovato qualche spiegazione; come se le mille tempeste che erano arrivate all’improvviso nella mia vita dovessero condurmi là, per vedere di persona tutto ciò che Dio aveva fatto e preparato per me.

Sono salito a Gerusalemme per poter entrare nel Suo Santo Sepolcro, toccare il fondo e uscirne rinato. Per concludere questo percorso nelle profondità di me stesso. Sono arrivato a Gerusalemme, dopo la mia piccola Via Dolorosa, per risorgere, per crescere. Sono andato là per tornare a credere nell’amore. Per tornare non più frammentato, non più insipido. Sono andato là intenzionato ad offrirgli quel mio cuore ferito, indurito, spaventato. Per chiedergli di accoglierlo e donarmene uno di carne, pulsante, pur con le cicatrici. Sono salito a Gerusalemme per rendere grazie al Signore per essersi inventato ogni modo per condurmi a Lui e per la vita nuova che già mi dona.

Prima di partire avevo paura di non essere pronto a un viaggio di questa portata, paura che non sarei stato in grado di provare abbastanza emozioni, di cogliere tutto. Che ci vuoi fare, la mia mente vorrebbe sempre calcolare tutto, poverina… Non è ancora abituata al fatto che Dio non fa mancare nulla.

E infatti là il Signore mi ha fatto sperimentare mille emozioni, tutte quelle che l’uomo è in grado di provare nella sua umanità e spiritualità. Là ha stimolato ogni mio senso, ogni mia capacità di venire a contatto con il mondo esterno e con il mio mondo interno. Mille colori, mille profumi, mille sguardi, sorrisi, volti. Culture e costumi diversi, etnie diverse, fedi, età, storie diverse. Ma la stessa terra, la stessa umanità. La stessa ricerca di un qualcosa di alto, di potente, di totalizzante. Mille contraddizioni, mille conflitti, mille tensioni. Eppure una bellezza misteriosa avvolge quel fazzoletto di terra e la città di Gerusalemme. Il suo fascino assale completamente: veramente santa è quella città. Un crogiolo di anime riunite al centro del mondo. Ti rendi conto di quanto sia vasto il mondo e la cosa meravigliosa è che ne fai parte anche tu, io! In quella realtà complessa e affascinante ogni posto ha qualcosa di speciale. Abbiamo un Dio che ci vizia alla bellezza, alla grandezza. Viene la tentazione di rimanere lì, a contemplare quei luoghi santi, di non discendere più, come gli apostoli sul Tabor, stupefatti di cotanta bellezza. Tutto profuma di Dio. Il paesaggio trasuda immensità. E ti senti amato nella tua piccolezza. Come rimanere indifferenti, ad esempio, a Nazareth, dove tutto ha avuto inizio? Di fronte alla casa di Maria, il posto in cui Dio, grazie al Sì di una ragazzina, ha deciso di entrare nella storia dell’uomo e farne una storia di salvezza? Che mistero, che umiltà, che potenza. Come rimanere impassibili nel deserto, luogo non di solitudine, ma di compagnia perfetta, intima con Dio, dove ci parla diretto al cuore? E poi Betlemme, da cui Dio accorcia definitivamente le distanze dall’uomo. Noi che ci emozioniamo davanti alle case natali dei personaggi illustri, come non emozionarsi davanti al luogo natio della persona che più ci ha amato al mondo donandoci la sua vita? Come non sentire i battiti a mille in quella grotta? E proprio da lì, a Betlemme, in Palestina, nel posto a me più inimmaginabile, mi è capitato anche di dover fare un colloquio via Skype (e essere preso!) per un posto di lavoro che tanto sognavo. Come non sentirsi inondato di gratitudine il cuore? Le parole non bastano a descrivere la grazia di quei luoghi.

Ma il luogo che più mi rimane nel cuore, il mio santuario, è il Lago di Tiberiade (Lc 5, 1-11). Sono rimasto affascinato dalla figura di Pietro, uomo del fallimento. Proprio nel momento del suo fallimento entra Gesù: non lo consola dopo la pesca andata male, ma dice di riprovare, di gettare nuovamente le reti. Non obbedire ai tuoi fallimenti, obbedisci alla proposta di Dio. Nelle delusioni, nelle debolezze, non disperare: Dio è alla riva che ti aspetta. Rimane certo la fatica, ma nel cuore non c’è più l’amarezza. Gesù non ti chiede di fare cose che non sai fare, di cui non sei capace. Ti chiede solo di farle con la consapevolezza, d’ora in poi, che Lui è con te. Quelle tempeste non le ha mandate a caso. Povero e ingenuo me, quando volevo capire nel frastuono. Mi ha fatto fallire per avvicinarmi a Lui, come ha fatto con Pietro; ha fatto in modo che in me si creasse una spaccatura per entrare nel mio cuore e donarmi una gioia nuova, ancor più piena. Allora impari a rileggere la tua vita e a domandarti: a quale amore più grande mi sta chiamando Dio? Dove mi sta chiedendo di gettare nuovamente le reti? L’importante è avere fiducia.

Veramente santo è quel viaggio. Là, in quella Terra, ho veduto l’amore di Dio per l’uomo, per me; ho capito cosa desidera da ogni uomo, quale vuole sia la sua missione verso l’altro. Mi ha fatto vedere che l’amore può vincere, mi ha mostrato che veramente sono amato e che grandi cose in me può fare il Signore. Davvero è stato un viaggio pieno di vita. E la cosa buffa è che tutto ruota intorno a un sepolcro, una tomba. Vuota! Sconvolgente. Arrivi nel luogo culmine di tutta la religione cristiana, al Suo Sepolcro, e nello spaesamento più totale realizzi che veramente il Signore non è più lì. Nel posto in cui più pensi di trovarlo, di sentirlo, Lui non c’è. Cristo è risorto, è veramente risorto! E capisci allora che non si risorge se salti la tua croce: non può esistere Pasqua senza Venerdì Santo. Se hai il coraggio di andare oltre il calvario e di entrare nel tuo sepolcro scoprirai che è vuoto. Non c’è più sconfitta, solo vita. Da quel Sepolcro mi sento rinato, da quel Sepolcro ho dato senso e compimento alle mie croci. E le benedico quelle croci, perché senza di esse la mia conoscenza dell’amore vero sarebbe limitata. Quanto mi hanno fatto crescere quelle croci! E quanto bene hanno fatto alla mia fede. Dal buio più totale di un annetto fa al sorriso gioioso che niente e nessuno riesce a togliermi adesso. Sono entrato a Gerusalemme col desiderio di essere guarito, desideroso di mangiare la mia Pasqua, il mio cambiamento, con il Signore. Credo di esserne uscito dalla porta di chi ha rimparato a credere nell’amore, dopo le ferite e le delusioni familiari e affettive, perché ha veduto l’amore vero.

Ma la parte più difficile, come sempre, è il ritorno al quotidiano, nella mia Galilea. Sono tornato a casa con tante domande, forse più di quante ne avevo prima di partire, e qualche dubbio su cui far discernimento. Troppo amore mi ha confuso le idee. E quando arriva l’amore di Dio ti senti trafiggere il cuore. Come fai a tacere l’amore che ti ha salvato? Dio non cancella mai i tuoi sogni, li amplifica. Finora non ci avevo capito niente.  Spero di riuscire ad emanare la luce propria che scaturisce da chi Lo ha incontrato e che profumi di vita, portando gioia ovunque sia con un sorriso da risorto sulle labbra. Perché questo sono: un risorto in Lui. E getterò nuovamente la rete, fosse anche a destra o nella maniera più assurda che mi indicherà, fiducioso che il raccolto sarà abbondante. Possa essere il mio obiettivo quotidiano quello di far diventare il suolo che calpesto ogni giorno terra santa, perché hic, qui, sia il Vangelo. Affido a Dio la mia giovane vita: che io sappia ascoltare e fare la sua Volontà senza paura. Perché dopo aver sperimentato tanta pienezza non ci si può più fare sconti, non ci si può più accontentare del superfluo e si deve avere il coraggio, quando necessario, di dirsi “tutto qui?” per poi prendere il largo, verso orizzonti più alti. Non mi resta che continuare il cammino e vedere: sarà bello scoprire cosa si è inventato per farmi strumento del Suo amore.

Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre. (Sal 136)

Sabino

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