E continuavano a chiamarlo don Camillo

Si va avanti bene solo conoscendo da dove si viene. La cultura è una sporca faccenda», rispose don Camillo, «perché quando un discorso non si può tradurre in dialetto significa che è una parola in aria. Voi fate pure della filosofia e della politica, noi andiamo allo stand gastronomico dove il progresso non si arresta». Don Camillo si è ritirato sul crinale insieme a Peppone. E si ritrovano al belvedere a guardare verso la Bassa, dove sembra che l’acqua abbia smesso di andare dall’alto al basso. E Peppone ha perso i riferimenti, ma il reverendo parroco ha conservato il Crocifisso dell’altar maggiore. Per questo al bar continuavano a chiamarlo don Camillo. Brevi storie di un mondo piccolo ai giorni nostri, preparate leggendo e rileggendo la ricetta doc di Giovannino Guareschi.  

Prediche Corte

di Lorenzo Bertocchi

Il contado di crinale era fatto di gente che amava il dono della sintesi. A messa la caratteristica si manifestava con l’insofferenza alle prediche superiori a minuti 5, trascorsi i quali c’era chi sbuffava, chi dormiva e chi usciva a fumare una sigaretta sul sagrato. Era gente così, di poche parole.

Con l’avvio dei lavori per il restauro del quadro di San Giuseppe, la curia aveva mandato sul crinale un reverendo monsignore addetto alle belle arti. Don Camillo gli cedette l’onore di celebrare la messa domenicale.

«Se continua così la prossima settimana non verrà nessuno!», sentenziò la Desolina che aveva il polso della situazione. «Guardi che dopo 20 minuti di predica a qualcuno si brucia la pietanza nel forno. Gli uomini hanno tutte le faccende da sistemare e i giovani… lasciamo perdere». Don Camillo cercò di aggiustare le cose, ma in cuor suo sapeva che la perpetua aveva delle ragioni.

Al momento del desinare, don Camillo si rivolse a don Gianfranco per cercare una via di soluzione. «Caro monsignore, sa com’è, la gente quassù è alla buona, forse nelle prediche dovrebbe andare più sul facile. Magari con qualche concetto chiaro ed elementare». Il monsignore acculturato guardò don Camillo come un vecchio arnese impolverato: «Vede caro confratello, la situazione socio-politica richiede un’assunzione di responsabilità da parte nostra. Non possiamo più permetterci di raccontare le solite cose, oggi bisogna rieducare il popolo al vivere civile, all’inclusione e al sentimento europeo».

Il parroco di crinale era rimasto fermo alla salvezza delle anime e al catechismo, per cui la cosa suonava un po’ sinistra, ma, disse rivolto al Signore: «c’è sempre da imparare». Tuttavia, dopo i colpi dell’«ermeneutica del territorio nell’orizzonte inclusivo» lanciati dal pulpito, don Camillo temeva che le sue pecorelle non trovassero più la strada per l’ovile.

Si addormentò dopo il pranzo e si risvegliò con la faccia di Peppone a un metro dal naso. «E lei cosa ci fa qui?», disse stropicciandosi gli occhi.

«Sono qui per portare una richiesta ufficiale. Siccome domenica prossima Gisto e la Cesira festeggiano le nozze d’oro, ecco, sarebbe gradito che la predica la facesse lei e non il monsignore foresto. Per evitare disguidi temporali». «Ah, capisco. Non si preoccupi farò il possibile, comunque per quanto riguarda il meteo hanno messo sereno e nessun temporale», rispose don Camillo. La Provvidenza fece il resto perché il don Gianfranco ricevette una telefonata dalla curia e con molto dispiacere dovette lasciare il crinale il lunedì.

Alle nozze d’oro della domenica dopo don Camillo riprese il suo posto dietro l’ambone. «Il tempo passa», attaccò davanti a Gisto e alla Cesira, «e sono già 50 anni che insieme affrontate un giorno dopo l’altro e questo è bello. Nel frattempo accadono sempre le cose importanti: il sole che sorge, le stelle che brillano, spuntano nuovi germogli e al momento giusto cadono le foglie. Insomma, Dio fa il suo dovere. Per quanto riguarda noi, sappiamo che tutti siamo destinati a morire quando arriva il proprio turno, a presentarci così davanti al tribunale divino per avere il premio o la punizione. Sia lodato Gesù Cristo».

Due minuti di predica, perché don Camillo conosceva le sue pecorelle. Quella sera dopo il vespro passò davanti al bar e abbassò il finestrino del suo Ape car. «Allora», disse guardando gli arzilli del Tresette, Peppone compreso, «l’ho fatta breve?».

«Abbastanza», disse Peppone rispondendo per il gruppo. «Ma si può fare anche più corta».

«La ringrazio, lei però cominci a pensare che nell’al di là, se le va bene, ci dovrà passare l’eternità con il Signore»

 

 

E continua vano a chiamarlo don camillo (Cantagalli 2018)