È da una mamma che viene la salvezza

di Giacomo Bertoni

Alla ricerca di una buona lettura nella libreria di un grande centro commerciale. In mano un paio di libri, lo sguardo scorre distratto sulle note di retrocopertina. Nella corsia davanti alla tua, quella dedicata agli albi illustrati, un bambino continua a emettere urletti e versi senza senso, ogni tanto poi ride così forte che sembra soffocarsi. Il solito bambino maleducato, pensi, abbandonato lì dai genitori, che magari starà pure strappando qualche pagina. Sarà meglio dare un’occhiata.

Il passeggino è strano: ha un aspetto ortopedico, sanitario, camuffato però da adesivi di animali buffi e sorridenti. Le ruote sono più grandi del normale, farebbero pensare a quelle di una carrozzina, se non fosse che sono così colorate e brillanti da fare invidia a una discoteca degli anni ’70. Il bambino non è un neonato, avrà almeno 10, forse anche 12 anni. È tenuto dritto da una cintura di sicurezza molto stretta, anch’essa piena di simpatici personaggi dei cartoni animati. Non riesce a pronunciare parole, non afferra oggetti con le sue piccole mani troppo sottili, non controlla le sue gambe, adagiate immobili sul passeggino.

Inginocchiata lì davanti c’è sua mamma, che gli mostra uno dopo l’altro i libri: «Cosa ne pensi di questo? No, hai ragione, abbiamo già letto tutta la serie! Io direi di buttarci su…». Ogni domanda riceve in risposta un urletto, ogni parola di approvazione provoca una risata fragorosa. Un dialogo perfetto, che sa tradurre suoni senza forma apparente in parole, addirittura in piccole frasi. La mamma ogni tanto scoppia a ridere, lo rimprovera bonariamente, scherza. Tu che guardi e non capisci sei l’unica nota stonata di un dialogo così vero da non avere bisogno di codici. Un urletto più forte degli altri blocca la scelta dei libri: «Non sono convintissima, ma se lo dici tu… Prendiamolo dai, poi a casa vediamo se è davvero bello». Un sorriso soddisfatto compare sul viso del bambino, i suoi occhi azzurri brillano di felicità.

Cara mamma, quando i nostri sguardi si sono incrociati per un secondo avrei voluto dirti così tante cose. Tu sei una chiave del Mistero, perché nel tuo prenderti cura, nel tuo abbracciare e amare la sofferenza, ci consenti di scorgere alcune risposte alle più grandi domande di senso della vita. Tu ribalti ogni stereotipo sulla disabilità, sul limite umano, perché i tuoi sforzi per costruire la relazione con tuo figlio sono i veri ponti che dobbiamo imitare per tornare ad amare il prossimo. Avrei anche voluto dirti grazie, perché la vostra conversazione era più interessante, vera e affettuosa del 90% del vociare che ogni giorno crea rumore in ufficio, a scuola, in pizzeria. Grazie perché tu capisci ciò che tuo figlio dice anche se non è in grado di rispettare tutti i nostri codici di comunicazione. Non riesce a pronunciare le parole, non può articolare frasi, non può gesticolare, ma tu lo capisci, lo ascolti e gli rispondi. Hai addirittura trasformato la sua carrozzina in un tappeto volante per viaggiare in mondi incantati! E in questo tuo grandissimo amore ci ricordi che oggi essere eroi significa alzarsi in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata. E di eroi così la nostra società è grazie al cielo piena. Ostinatamente ignorati dai mass media, perennemente dimenticati dalle istituzioni, troppo spesso esclusi da una vita sociale fatta solo di apparenza.

Chissà in quanti hanno cercato di fermarti, cara mamma, chissà quanti ti hanno consigliato di bloccare tutto. Chissà quanti ancora oggi ti guardano con commiserazione, chissà quanti sono convinti che tuo figlio non capisca, chissà quanti vi evitano. E tu, quante paure hai? Gli anni passano per te e il mondo si fa sempre più crudele. Come puoi vivere pensando che un giorno dovrà cavarsela senza di te, che sei la sua unica chiave di accesso al mondo? Eppure, nonostante un carico di pensieri che schiaccerebbe una montagna, tu continui a leggere favole al tuo splendido bambino.

C’è qualcosa di divino nello sguardo di una mamma che guarda la sofferenza del suo bambino e la fa propria, la stringe in un abbraccio così forte che a volte riesce a cancellarla. In fondo lo scriveva anche San Giovanni Paolo II nella sua lettera apostolica “Mulieris dignitatem”: «Nell’Anno Mariano la Chiesa desidera ringraziare la Santissima Trinità per il mistero della donna, e per ogni donna, per ciò che costituisce l’eterna misura della sua dignità femminile, per le grandi opere di Dio che nella storia delle generazioni umane si sono compiute in lei e per mezzo di lei. In definitiva, non si è operato in lei e per mezzo di lei ciò che c’è di più grande nella storia dell’uomo sulla terra: l’evento che Dio stesso si è fatto uomo?».

E anche se la realtà sembra prospettare solo dolore, cara mamma, tu non ci credere. Perché è nella tua quotidianità piena di coraggio, è nel tuo impiegare un’ora per vestire il tuo bambino e portarlo in libreria, pur sapendo che non ci sarà con lui una schiera di amichetti vocianti, che abbonda la speranza per l’uomo. In un cuore che ha saputo rimanere umano davanti a una ferita, e per questo ha trovato la sua radice divina.