Filosofia cristiana e politica in Augusto Del Noce in Augusto Del Noce

di Emiliano Fumaneri

C’è una ricorrenza che rischia di passare inosservata ai più. E sarebbe un peccato perché parliamo di un maestro del pensiero cattolico – e non solo – tra i più grandi del Novecento. Lui è Augusto Del Noce, filosofo («attraverso la politica», come amava definire la propria riflessione) scomparso proprio trent’anni fa, il 30 dicembre 1989.

La figura è il percorso intellettuale di Del Noce (nato a Pistoia nel 1910 ma trasferitosi a Torino già allo scoppio del primo conflitto mondiale) sono stati ricostruiti – provvidenzialmente – da Luca Del Pozzo, che ha da poco dato alle stampe Filosofia cristiana e politica in Augusto Del Noce (290 pagine, nella bella collana dei libri del Borghese).

Del Noce è noto, tra le altre cose, per aver previsto, in un certo senso, la fine dell’ideologia comunista. È il suicidio della rivoluzione, titolo di una delle sue opere più celebri assieme al Problema dell’ateismo . Ma la grandezza della speculazione delnociana non si limita certo a questo. All’epoca la narrazione prevalente – almeno da parte della cultura non comunista – interpretava la caduta del comunismo come la prova storica della bontà della democrazia e del capitalismo (sugellando quello che Michele Federico Sciacca aveva battezzato come «occidentalismo»). Non così Del Noce che, in perfetta sintonia col pontificato di Giovanni Paolo Ii, aveva già intravisto l’avvento della «dittatura del relativismo», per riprendere la famosa espressione coniata da Joseph Ratzinger.

A dispetto dei sei lustri che ci separano dalla sua morte (data peraltro emblematica, il 1989, anno del crollo del muro di Berlino) Del Noce resta perciò un pensatore estremamente attuale. Egli giudico con chiaroveggente lucidità anche la rivoluzione antropologica del ’68, l’imporsi dell’erotismo come fenomeno di massa, il nichilismo, il relativismo. Insomma, i materiali di quella dittatura del desiderio che oggi appare come il nuovo senso comune del mondo occidentale.

Per il filosofo i due idoli della società tecnologica – il sesso e la tecnoscienza – cooperano in questo senso: che riducono l’uomo ad animale. Già gli Antichi avevano intuito che la presenza del pudore è uno dei principali elementi che distinguono l’uomo dall’animale. Ora, se è facile capire che l’erotismo possa scacciare il pudore retrocedendo l’uomo a un essere pulsionale (homo zoologicus) in balia degli istinti, meno chiaro è il discorso sulla scienza. Il punto, spiega Del Noce è che la scienza è per sua natura anassiologica: non può cioè fondare direttamente valori ;ci dice come va il mondo, non come dovrebbe andare. La scienza studia i fatti, indaga il mondo come un sistema di forze. Ma dalla forza dei fatti (il factum brutum) non si può derivare un valore. Il fatto che tanti rubino, ad esempio, non è un buon motivo per regolamentare il furto (sul piano legale) né per giustificarlo (sul piano morale). In più la scienza non può che «studiare l’uomo soltanto un animale, di specie e di grado superiore», scrive Del Noce nel suo libro L’epoca della secolarizzazione. Ecco perché una morale della scienza sarà sempre una morale della forza (cioè una non-morale, al massimo una ideologia che canonizza i rapporti di forza della società).

In questo humus affonda le proprie radici quel totalitarismo dal volto umano, ma non per questo meno duro nei fatti, che sta svuotando dall’interno le democrazie occidentali sotto la forma del multiculturalismo politicamente corretto.

La sua critica del marxismo non faceva certo di Del Noce un nostalgico dei bei tempi andati. Per sincerarsene basterebbe pensare non solo alla sua geniale rilettura della filosofia moderna (la linea Cartesio–Vico–Rosmini) ma anche a quel vecchio passo delle Lezioni sul marxismo (del 1972) in cui il Nostro bolla lo spirito reazionario come un utopismo rovesciato. Al contrario del progressista, che sogna società perfette nel futuro, il reazionario idealizza la società del passato (in una sorta di versione «archeologica» dell’utopia). Per Del Noce l’eternità dei principi non escludeva la novità dei problemi, che necessitano di risposte nuove, adeguate ai tempi.

E allora, anche grazie a fatiche come quella di Del Pozzo, varrà la pena riprendere in mano (o prenderle in mano per la prima volta) le mai ingiallite pagine delnociane per capire e affrontare le sfide del nostro tempo così tormentato.