Il segreto dell’educazione è non avere il problema dell’educazione

 

di Costanza Miriano

Quando Franco ha suonato a casa mia, come fa ogni tanto (troppo poco, comunque, nonostante non mi dia mai il lungo preavviso che mi servirebbe a mettere a posto, rendermi presentabile, e allestire una cena di sedici portate come vorrei), per mettersi a raccontare di un’immagine che aveva visto e di un libro che ne stava nascendo, pensavo avesse scritto di pittura. Nota: Per fortuna l’entusiasmo per quell’affresco di cui voleva raccontarmi e un bicchiere di Macallan lo hanno completamente distratto dal disordine e dal mio trucco sfatto (non è vero, è un maschio e comunque non avrebbe notato nulla).

Quando mi ha chiesto di provare a presentarlo insieme, un brivido mi ha percorso la schiena, perché di arte non so proprio un tubo: la mia idea delle opere di arti figurative, come ho avuto modo di dire a uno sconsolato direttore della National Gallery di Londra che mi spiegava un Caravaggio, è che sia una inutile complicazione. “Se mi devi dire una cosa, scrivimi un biglietto”. Stava per cacciarmi dalla Gallery e dal Regno Unito, credo.

Però, come si fa a dire di no a un amico così prezioso? Insomma, a Franco ho detto sì. Studierò un po’, dai, me la caverò in qualche modo – ho pensato – come quando lavoravo in una redazione di economia e andavo alle conferenze stampa dei sindacati.

E invece questo libro strepitoso di Franco Nembrini, (si intitola solo così, Sì) non è un testo di storia dell’arte, ma un viaggio nella relazione tra uomo e donna, tra Dio e i suoi figli, tra noi e i nostri figli. È una miniera d’oro, un Bignami di tutti i temi che mi sono più cari, un libro da leggere e rileggere e sottolineare, e imparare a memoria in certi passaggi.

Tutto nasce da un affresco di Dono Doni, l’accettazione della maternità di Maria da parte di Giuseppe, che avevano segnalato all’autore, e che lui è andato a scoprire da poco. Da lì si arriva all’Inno alla Vergine di Dante, riletto magistralmente, e infine al Portale del Rosario della Sagrada Familia di Gaudì.

Posto che noi, come san Giuseppe, siamo tutti padri e madri putativi di figli che non sono nostri, ma che Dio ci ha “solo” affidato, la scoperta è che noi non plasmiamo queste creature con le nostre mani, come a volte il mio delirio di onnipotenza materna mi induce a sperare: noi possiamo solo testimoniare, con meno parole possibili (i figli non ascoltano con le orecchie, ma con gli occhi) quello che viviamo, e saremo credibili solo se ci crediamo davvero, perché “il segreto dell’educazione è non avere il problema dell’educazione” (la mia frase mantra rubata a Franco). Da qui un viaggio su cosa sia la libertà – una guerra! Forse la pagina più bella di tutto il libro, un tema in questo momento, tra l’altro, davvero cruciale – come si possa amare prima che l’altro cambi, come ci si possa sostenere, tra sposo e sposa, con i nostri amori fragili e difettosi, e rimanere in questo amore più grande di noi, esattamente come fa san Giuseppe, che sostiene Maria nell’affresco da cui è nata l’opera. (Se posso trovare un difetto al libro, e mio marito sa bene che trovare difetti e rompere le scatole è la mia specialità, è che non vi è riportata l’immagine completa dell’affresco, che è davvero incredibilmente bello).

Educare è possibile solo se c’è un abbraccio, e quando abbracciamo il nostro sposo, abbracciamo Gesù che è in lui. Questo abbraccio è possibile anche se quando non viene spontaneo, quando l’altro ci delude, quando noi deludiamo lui, perché siamo tutti abbracciati da un amore più grande: tutti noi, e qui arriviamo all’Inno alla Vergine, siamo “termine fisso d’etterno consiglio”, cioè tutti noi siamo amati da sempre, e pensati da prima che il mondo fosse. Noi siamo della stessa stoffa di Maria, con in più, noi, il peccato che lei non ha. Ma ognuno di noi è prezioso e amatissimo prima ancora che cambi, che poi è la cosa che dobbiamo cercare di comunicare ai figli: che sono amabili perché ci sono, punto e basta, indipendentemente da quello che fanno. Non sono le loro azioni a renderli amabili.

Con quello sguardo ci guarderà Maria nell’ora della nostra morte, come racconta Gaudì, e con lei ci sarà Giuseppe, a sostenere lei e noi, come ha sempre fatto, nel silenzio.

Di questo e molto altro – di golfini imposti ai figli quando noi mamme sentiamo freddo, di cordoni ombelicali da tagliare e di parolacce – parleremo con Franco il 27 aprile , mercoledì. Siete tutti invitati. Il mio unico problema è che, quando vengo invitata a dire la mia in pubblico in tema di educazione, copio sempre da lui; stavolta lui sarà vicino a me, mi sa che mi sgama. Mi dovrò inventare qualcosa di nuovo.