La Chiesa non ci amerebbe veramente se non ci dicesse la verità

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di Costanza Miriano

Vedo che c’è  un grande agitarsi dalle parti della lobby lgbt, con Padre Martin in testa, in compagnia dei vescovi tedeschi, ma non solo, dopo il pronunciamento della Congregazione per la Dottrina della Fede. Soprattutto un gran rumore di unghie sui vetri, per dimostrare, come tenta di fare padre Piva su Città Nuova (che tristezza, chissà che direbbe Chiara Lubich) che il pronunciamento non ha tanto valore perché il Papa ha “solo dato l’assenso alla pubblicazione, non l’ha ordinata”.

Ripeto, che tristezza. Potrebbe il Papa dare l’assenso a una cosa con la quale è in disaccordo? A me pare poco rispettoso della sua intelligenza. E tra l’altro i suoi fidi schinieri gridano allo scandalo solo quando a “criticare” le sue posizioni sono i cosiddetti tradizionalisti, mentre quando lo tira per la talare e cerca di smentirne le affermazioni lo schieramento opposto (che brutto parlare di due fronti, ma tant’è), allora quello che il Papa ha detto non conta niente…

Boh, sarà che io sono troppo semplice, ma queste guerre per bande non le capisco, nel senso che proprio non le vedo. Credo che siano una specie di brusio di fondo, che non ha nessun valore rispetto a quella cosa enorme che è la Chiesa. Infatti quando dal Tg3 stavo per passare a Rai Vaticano, tutta felice perché finalmente avrei lavorato fianco a fianco con i costruttori del Regno dei cieli, il mio padre spirituale mi disse sibillino “speriamo solo che tu non perda la fede”.

Non l’ho persa, credo, ma forse solo perché so poco, e non capisco abbastanza delle trame di potere (non dovendo fare carriera, ho il privilegio di potermene disinteressare). Quindi, qui dal pianeta in cui vivo, a me la Verità pare semplicissima. Una mia collega più scaltra di me da anni mi dice che prima o poi capirò che Uan era un pupazzo, non una persona vera, e che Babbo Natale non esiste, ma nel frattempo, finché non mi convince di questo, ecco come la vedo.

Il Papa vuole tendere la mano alle persone che provano attrazione verso lo stesso sesso, perché vuole che nessuno si senta fuori dalla Chiesa, se lo desidera. Benedice le persone, ripeto, perché ogni persona è voluta e cercata da Dio fino a che non muore (dopo, se avrà rifiutato Dio, non potrà più tornare indietro). Il magistero papale dunque non potrà mai e poi mai dire che la Chiesa benedice le unioni tra persone dello stesso sesso, perché la sessualità nel piano di Dio è tra un uomo e una donna, in una unione stabile, aperta alla vita. I rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso non sono nell’ordine voluto da Dio. Dire che qualcosa non è voluto da Dio, ormai dovrebbero saperlo anche i muri e i bambini della prima comunione, per non dire dei teologoni con quattro lauree, non vuol dire che c’è un Dio sadico che non vuole che ci divertiamo, ma che Dio come fa un Padre (alla milionesima potenza) cerca di proteggerci da quello che ci fa male. Mi dispiace, crederò al pupazzo di Bin Bum Bam ma io sono certa che il Papa su questo non potrà mai cambiare, per quanto l’esultanza del fronte cosiddetto tradizionalista gli possa scocciare, per quanti aggiustamenti di tiro possa fare all’Angelus, per quanti messaggi concilianti possa mandare, innervosito dall’esultanza del fronte con cui ha una sensibilità meno condivisa. Su quel punto non cambierà mai idea, perché dalla Genesi in poi crollerebbe tutto. Non avrebbe più senso parlare di matrimonio, di sesso pre, extra, multimatrimoniale, sarebbe un tana libera tutti dove a contare sarà solo il cuore, il sentimento. Ma a parte la sessualità, cambierebbe il modo di giudicare ogni azione, non più sull’oggettività del bene e del male, ma della percezione: se io sento che è giusto non fare onestamente il mio lavoro, perché mi ritengo poco apprezzata? Se sento che è giusto rubare a un ricco, tanto lui è ricco e non se ne accorge, e magari si è arricchito ingiustamente? Se sento che è giusto fare sesso con un’altra moglie/marito perché la mia non mi apprezza anche se io e ho voluto tanto bene, e invece con lei/lui ci amiamo tantissimo, poi i figli capiranno? Se sento che è giusto non accogliere altri bambini perché non me la sento, però sento che ho bisogno lo stesso di avere rapporti sessuali? Se conta il voler bene, il sentimento, la realtà diventa liquida e relativa. Il che significa che, se tutto ciò che sento ha diritto di cittadinanza, non ha più senso parlare di peccato originale, di conversione, di redenzione. Ma alla fine che bisogno c’era della croce, se andavamo già bene così?

Se i rapporti omosessuali non sono nell’ordine voluto da Dio significa che le persone sono tutte volute da Dio, ma non tutte le loro azioni. Quindi, rimane la domanda di fondo dell’omosessualità. Può Dio avere seminato nel cuore di qualcuno un desiderio forte ed esclusivo che, se soddisfatto, non è benedetto da Dio stesso? Allora sì che sarebbe un Dio sadico. O non è piuttosto più plausibile affermare che l’omosessualità è una risposta a una ferita che la Chiesa con accoglienza, amore, ascolto e comprensione può contribuire a risanare? La ferita, si badi bene, non la persona.

Per me l’accoglienza di ogni persona non solo non è messa in crisi dal giudizio negativo sulle sue azioni, anzi ne è potenziata. La madre – la Chiesa – che ama davvero è una madre che sa portare su di sé il dolore dei figli, che ha il coraggio di dire quando sbagliano, anche se correggersi costa loro della sofferenza. Non li amerebbe davvero se non facesse questo.

Il Papa, per quanto ami poco occuparsi di questioni legate all’antropologia cristiana e ai valori non negoziabili, e molto più di economia e ambiente (ogni Papa ha il suo stile, non ci trovo niente di strano), non potrà mai benedire il peccato mortale – lo so, un termine desueto, sorry – di due persone che hanno programmaticamente deciso di viverci dentro, stabilmente, per tutta la vita (almeno nelle intenzioni, o finché dura il sentimento).

Quanto all’omosessualità, ricordo che il Papa nel 2018, in un viaggio aereo, aveva detto che “nel caso dell’omosessualità ci sono tante cose che si possono fare, anche con la psichiatria, finchè sono piccoli, dopo i venti anni no”. Anche questa è stata un’affermazione che gli schinieri si sono affrettati a tentare di cancellare, eppure è stata detta con spontaneità. Io per avere riportato questa affermazione sono stata segnalata all’Ordine dei Giornalisti. L’OdG ha risposto che non potevo essere sanzionata perché avevo solo riferito un’affermazione del Pontefice. Per inciso ricordo che se passerà il ddl Zan sarò accusabile di omofobia: io però non ho nessuna fobia, in merito. Penso che sia un mistero che è spesso l’esito di una ferita (in questo senso, e non nel senso di malattia, l’accenno alla psichiatria come possibilità), e in alcuni casi, crescenti tra i giovani, anche il frutto di una pornografizzazione estrema dell’immaginario comune (se il sesso perde il senso di esito finale di una relazione profonda, allora è una ginnastica che si può fare con un po’ tutti i tipi di attrezzi, indifferentemente, perché dall’altra parte non c’è una persona, ma degli organi genitali) . 

D’altra parte abbiamo tutti delle ferite e delle strategie di sopravvivenza, e nella misura in cui non le mettiamo in Dio, siamo tutti bisognosi di guarigione, nel senso spirituale del termine. Penso che ci sia un mistero inaccessibile al cuore di ognuno di noi su cui nessuno è titolato a sindacare, ma pur rispettando questo ritengo che l’omosessualità non compia profondamente l’umanità di una persona, e proprio per amore di queste persone, per poter fare a quella persona la carità più grande, che è la verità, voglio essere libera di pensarlo, dirlo e scriverlo come ha fatto il Catechismo della Chiesa Cattolica:

«Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.»