La messa con il popolo, il popolo per la messa

di Costanza Miriano

I Vescovi lo devono sapere, non è che se scrivono un comunicato in cui assicurano la loro lealtà, apprezzamento, gratitudine al Governo, questo significa che la Chiesa, intesa come popolo, li segua e la pensi come loro. C’è un popolo che, come ha dimostrato riempiendo due volte le piazze italiane più grandi degli ultimi anni con i due Family day, non è affatto interessato alle logiche politiche, agli equilibri, ai rapporti buoni o cattivi con il Governo, di qualunque colore esso sia, ma solo alla Verità.

Questo popolo oggi si sente, oso dire, in buona parte abbandonato dai pastori. Certo, io non possiedo istituti di statistica, quindi non so quantificare le percentuali, ma ho molti amici reali e contatti virtuali, e fra questi la percentuale di coloro che si sentono lasciati soli spiritualmente, che trovano inspiegabile il divieto assoluto e totale delle messe, supera il 90%. Mi direte che il mio campione non è statisticamente rilevante, però esiste.

A me non interessa la politica, difendo energicamente la mia estraneità a tutte le logiche e i calcoli politici, e il mio dolore per l’assenza della messa non è un giudizio sul Governo. D’altra parte è evidente che è composto da persone per le quali la Messa ha la stessa rilevanza, che so, di una partita a cricket. Si può rimandare, non vale a pena far troppa fatica a studiare un modo per permettere alle persone di continuare a giocare insieme: distanze, mascherine, turni, perché mai? Si fa a meno del cricket per qualche mese, e si risolve tutto. Ovviamente non si è chiesto alle persone di fare a meno della spesa, benché in caso di vita o di morte si potesse anche organizzare come a Wuhan una distribuzione di viveri con l’esercito, o almeno una turnazione rigida che impedisse alle vecchiette di uscire tutti i giorni. Ma il governo ha ritenuto che sarebbe stato un sacrificio troppo grande per alcuni, e quindi ha permesso che si andasse liberissimamente nei supermercati, nonostante la mortadella che il salumiere tocca e su cui respira da una mascherina non esattamente linda non sia proprio sterile. Un po’ meno ovviamente, non si sono chiuse le edicole. Del tutto illogicamente non si sono chiusi i tabaccai, anche se pare che le sigarette non siano tonificanti per i polmoni minacciati dal virus. Ma queste sono state le priorità del Governo. Il compito di far capire che la Messa conta più della mortadella, del giornale, delle sigarette, è nostro, dei credenti.

Due coraggiosi presidenti di regione, Sardegna e Marche, ieri avevano autorizzato la celebrazione delle Messe appigliandosi a uno spiraglio nel decreto, quindi in modo del tutto legale – e di questo siamo loro davvero grati – ma sono stati i Vescovi delle Conferenze regionali a rifiutare, facendo propria nel modo più restrittivo la linea del Governo. Il fatto è che il Governo ha dato disposizioni trattando la Messa come la partita di cricket di cui sopra. Ma sta, o dovrei dire stava, a noi dire che è una cosa così importante, è così tanto una questione di vita o di morte, che valeva la pena provare di tutto pur di farci tornare ad assistere al sacrificio di Cristo.

Continuo a dire che per le messe feriali veramente non è che ci sia questo gran che da ingegnarsi, visti i numeri dei fedeli pre virus, e, credo, ancora di più quelli post, con tutta la pressione mediatica che si è fatta sul #restoacasa. Credo che la gente sarebbe ancora di meno, se le messe si celebrassero lunedì, ma anche se fosse la stessa, almeno nelle situazioni che frequentavo non ci sarebbe bisogno di prendere nessun provvedimento per continuare a celebrare, tranne quelli ovvii: sedersi lontani, stare nella navata centrale invece che nelle laterali come si fa di solito in settimana, niente scambio della pace, niente acqua benedetta, comunione in mano, sacerdote che si igienizza le mani prima di toccare la pisside e le ostie, mascherine per tutti. Alla comunione, si usa il buon senso e si aspetta che quello prima sia tornato al posto in modo da non incrociarsi. Niente omelie o brevissime riflessioni per ridurre al massimo la permanenza. Niente chiacchiere e baci prima o dopo la messa. Volontari che puliscono le panche (eccomi!). Finestre e porte spalancate. Possibilità di celebrare all’aperto.

Per le festive un po’ di impegno in più: moltiplicare le funzioni, organizzare dei turni e mi fermo qui con i suggerimenti perché sono cose che ho scritto troppe volte. Aggiungo che si poteva differenziare in base alle zone del focolaio, ben diverse da quelle dove la temuta ondata non è arrivata nonostante viaggi e contatti e via dicendo.

Da questo discorso però mi tengo fuori, non sono di mia competenza, però conosco molti medici, per esempio un primario di un reparto Covid lombardo che ha combattuto in trincea fino a oggi, che la pensano come me e sono disponibili a dare indicazioni: ne ho dati i recapiti in privato a chi di dovere. La Cei potrebbe sentire una sua task force di medici che non considerano la Messa una partita di cricket (ho già tre nomi e numeri di telefono sulla punta della lingua, ma penso che ne troverei decine di altri in un secondo) e fare delle proposte concrete che non vadano, come è successo per Marche e Sardegna, in una direzione addirittura più restrittiva di quella del Governo.

Prima di finire, un pensiero pieno di gratitudine a tutti i sacerdoti che stanno soffrendo, come soldati che nel pieno del combattimento sono stati mandati in camerata a ripararsi, invece che in trincea a combattere, proprio adesso che il tema della paura e della morte interessano tante persone, tema su cui Cristo è l’unico a poter dire “non abbiate paura”. Non “andrà tutto bene”, ma “tutto concorre al bene per coloro che amano Dio”.

In generale in tutta questa vicenda, io avrei trovato più rispettoso della intelligenza e dei diritti dei cattolici, che venissero fornite delle indicazioni di massima, lasciando poi alla grande sapienza della Chiesa, che ha mostrato nei secoli la sua capacità di prendersi cura non solo delle anime ma anche delle persone, di trovare la via per applicarle adattandosi alle situazioni concrete. Chiese enormi abitualmente deserte o piccole cappelle di campagna affollate per le feste, conventi, santuari: ogni realtà avrebbe potuto trovare il suo particolare equilibrio tra la cura del corpo e quella dell’anima, tra gli spazi disponibili e le persone presenti. Noi siamo quelli che hanno inventato gli ospedali, non ci saremmo smentiti neppure questa volta.