La preghiera è scoprire che Dio prega in te

Grazie al generoso lavoro delle amiche che registrano e trascrivono, ecco la catechesi del 2 Maggio al  Battistero di S.Giovanni: per un contrattempo don Pierangelo Pedretti, che sarebbe dovuto venire non è riuscito a essere presente, e quindi abbiamo chiamato all’ultimo don Cristiano Antonietti, che però non è esattamente l’ultimo arrivato, essendo tra le altre cose Cerimoniere Pontificio, nonché umbro, che da queste parti – essendo io perugina – è considerata una nota di grande merito. E leggete qui che meravigliosa catechesi sulla preghiera ci ha regalato. Mi porto a casa tante cose e non vorrei rovinarvi la lettura elencandole. Solo, voglio scolpirmi sulla fronte questo, per tutte le volte che ho voglia di lamentarmi e la prima cosa che mi viene da fare è prendere in mano il telefono e sfogarmi con qualche amica: “entra nella tua stanza interna, la stanza delle provviste, e chiudi la porta, perché le provviste non verranno da fuori ma vengono da dentro, dalla stanza segreta, dalla stessa stanza. Che cos’è la preghiera? E’ proprio questo”.

Ps Tenetevi pronti per il prossimo incontro, lunedì 4 luglio: stiamo preparando una sorpresa, forse…

(Non ho l’ansia da prestazione perché… proprio mi avete chiamato quando non c’era più nessuno… quindi sono tranquillissimo, quello che dico dico …)

Allora la preghiera…
Io devo ancora in realtà ben capire, dopo una dozzina di anni di sacerdozio, come si preghi ma provo a condividere con voi con molta semplicità quello che è il centro.
Sono voluto andare al centro del centro.
Un po’ perché vengo da Foligno che si dice, nonostante i perugini, che sia il centro del mondo, ma poi perché, pensando alla preghiera sono andato alle indicazioni di Gesù: l’elemosina, la preghiera ed il digiuno all’interno del discorso della montagna. E proprio la preghiera sta anche qui al centro, fra l’elemosina ed il digiuno.

Io inizierei con la lettura di Matteo 6, 5-6 perché oggi parleremo del Padre Nostro, anche se credo che non fosse l’argomento di oggi ma credo che sia importante, credo perché sia opportuno (…e poi mi sono preparato su questo)

Matteo 6, 5-6:
“E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.”

Ecco, all’inizio di questo testo, proprio al capitolo 6 versetto 1, il Padre viene detto nei cieli, che è una espressione tipica in Matteo. Il Padre è nei cieli. E qui bisogna leggere questo nei cieli, in realtà come nel segreto. Questi cieli che sovrastano tutta la terra, che di per sé tutto è tranne che segreto, però in Matteo sono dei cieli particolari, che non si vedono. Alla preghiera fatta in un luogo pubblico, la sinagoga, la strada, fatta in modo da attirare l’attenzione, Gesù invece contrappone quella che è una preghiera nascosta. Una preghiera dove nessuno vede. E qui la faccenda si fa intrigante.

Si dice invece quando tu preghi entra nella tua camera: di quale camera si parla?
Si usa un termine greco, che si legge tameion, che non indica tanto la camera dove si dorme, ma piuttosto, come poi si dirà in Luca 12,24,  il luogo dove si tengono i cibi , la dispensa, la cella delle provviste, dove si tengono i beni, che di per sè è una stanza interna, nascosta, una cantina.
Non è il primo luogo che uno va vedere quando uno ti viene a trovare a casa.
Dove andiamo?
Andiamo a vedere la cantina dove stanno le provviste. No.

E qui si dice entra e chiudi la porta. È un particolare quasi inutile ma che ci attira l’attenzione.
Perchè dice entra e chiudi la porta? Innanzitutto sappiamo che se io chiudo la porta nessuno può entrare e poi certo nessuno potrà vedere.

Allora io penso che il migliore commento a questi due versetti, sia contenuto nel secondo libro dei Re, al capitolo 4, i versetti dall’1 al 7, che adesso vi leggo.

“Una donna, una delle mogli dei figli dei profeti, gridò a Eliseo: “Mio marito, tuo servo, è morto; tu sai che il tuo servo temeva il Signore. Ora è venuto il creditore per prendersi come schiavi i miei due bambini”. Eliseo le disse: “Che cosa posso fare io per te? Dimmi che cosa hai in casa”. Quella rispose: “In casa la tua serva non ha altro che un orcio d’olio”. Le disse: “Va’ fuori a chiedere vasi da tutti i tuoi vicini: vasi vuoti, e non pochi! Poi entra in casa e chiudi la porta dietro a te e ai tuoi figli. Versa olio in tutti quei vasi e i pieni mettili da parte”. Si allontanò da lui e chiuse la porta dietro a sé e ai suoi figli; questi le porgevano e lei versava. Quando i vasi furono tutti pieni, disse a suo figlio: “Porgimi ancora un vaso”. Le rispose: “Non ce ne sono più”. L’olio cessò. Ella andò a riferire la cosa all’uomo di Dio, che le disse: “Va’, vendi l’olio e paga il tuo debito; tu e i tuoi figli vivete con quanto ne resterà”.

Splendido! Non so se avete contestualizzato il brano.

Quindi riassumo….
A questa donna muore il marito, il marito aiutava Eliseo e serviva il Signore, a un certo momento aveva dei debiti. Vanno lì, il creditore va a riscuotere i debiti, lei non ha soldi, è una poveraccia- viveva di quello che il marito le dava-, è vedova.
E allora le dicono: bene, i tuoi figli diventeranno i miei schiavi. Allora lei va dal grande profeta Eliseo e gli dice: “Sono disperata, mi è morto il marito, non c’ho una lira, vogliono fare schiavi i mei figli per pagare i debiti. E lui le dice: “Che cosa hai in casa? Non c’hai niente, ma forse avrai qualcosa!” “Si, ho un po’ di olio”. ”Non ti preoccupare, vai fuori, prendi tutti i tuoi vicini e gli dici: Portatemi i vasi vuoti! Portatemi tutti quelli che volete! Più me ne portate, e meglio è”.
Vanno, insieme ai figli, raccolgono tutti i vasi. Dice Eliseo: “Poi entra in casa, tu con i tuoi figli, chiuditi la porta dietro, chiudi tutto, e inizia a versare quel poco di olio nei vasi che tu hai.”
E qui, il grande miracolo: lei inizia a versare olio, questo poco olio che aveva, inizia a versarlo in tutti questi vasi che le hanno portato, che erano tanti, e lei, più versava questo poco olio più si moltiplicava, alla fine dice: ”Ma non ci sono altri vasi?” ”No, li abbiamo terminati tutti.  Questa donna vende il vaso, vende l’olio che c’era dentro tutti i vasi, e alla fine paga il debito e ha di che vivere per tutta la vita, lei e i figli.

E’ un racconto curioso, dove ci sono delle provviste segrete e una donna. Questa donna ascolta il profeta, si fa portare i vasi dai suoi figli, e poi versa l’olio.
Dove lo versa?
In casa sua.
Quando?
Quando aveva chiusa la porta.
Tutto è avvenuto nel segreto.
Nessuno di quelli che ha dato i vasi ha visto niente.
E notate che Dio non viene nemmeno nominato, non si parla di Lui.
Ma è chiaramente Lui che rende possibile questo. Eppure, resta nascosto.

Dovete seguirmi perché, prima di arrivare al punto, ci arrivo piano piano come vedete.

Allora entra nella tua stanza interna, la stanza delle provviste, e chiudi la porta, perché le provviste non verranno da fuori ma vengono da dentro, dalla stanza segreta, dalla stessa stanza.
Che cos’è la preghiera?
E’ proprio questo.

Ancora non abbiamo iniziato con il Padre nostro, e già ci viene detto che cosa è la preghiera: è scoprire che Dio prega in te. Questo è meraviglioso.
E’ scoprire che Dio prega in te.
E’ scoprire che c’è una fonte nascosta dentro di te, che da’ un vino che il mondo non conosce.

Come dice la amata del Cantico dei Cantici, quando dice: “Mi ha introdotto il re nella sua stanza”. Poi sempre il Cantico dei Cantici parlerà della casa del vino, che è il luogo segreto dove si produce il vino.
Ecco, noi cerchiamo sempre qualcosa dall’esterno. Abbiamo sempre bisogno – per carità, voi state qui oggi e mi ascoltate- ma abbiamo sempre bisogno di qualcosa dall’esterno che -torno a dire, per carità è giusto- i sacramenti, la liturgia della Parola- ma questo diventa poi una ricerca sfrenata di qualcosa che venga dall’esterno.
Quanta gente che c’è che passa da un incontro all’altro, andando a cercare sempre una sensazione, sempre una parola che possa cambiare la sua vita…quel predicatore, quel sacerdote, quell’emozione.

Come la Chiesa passa da un evento straordinario all’altro, creando un buco dentro terribile, perché si passa da un evento straordinario all’altro.
Mi ricordo quando stavo in Diocesi, si passava da una giornata mondiale dei giovani all’altra, quattro anni e non ci si vedeva più.
Ecco, non dobbiamo dimenticare che c’è una stanza segreta che ha un’apertura sul mondo di Dio, che non si esaurisce mai, come l’olio della vedova.
Tu porti il vaso vuoto, e quello si riempie. Bello!
Dio prega in noi, combatte in noi!
Come quando Gesù parla alla Samaritana e le dice: “Chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”.(Gv 4,14)
o ancora
“Se qualcuno ha sete, venga a Me, e beva, chi crede in Me”.
Come dice la Scrittura, “dal Suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva.”
Ma già in Isaia , al cap.58, avevamo letto: ”Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa, sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono.”

E uno scopre allora, grazie a Dio, che il cuore è una fonte di rivelazione.
E infatti, qui si dice, prima che il Padre È nel segreto, e che il Padre VEDE nel segreto.
Se vede nel segreto è perché Lui, il Padre, è già lì, in quella stanza.
E’ vero, nel libro dell’Apocalisse noi leggiamo: ”Io sto alla porta e busso”, ma un’immagine non contraddice l’altra.

In realtà, se non siamo con il Signore, siamo noi ad essere fuori da noi stessi.
Come quando ci viene in mente la parabola del Figliol Prodigo, che lui stava fuori se stesso.
Come quando uno da di matto, a casa, non ce la fai più con i figli, col marito, con la moglie, con il fidanzato, e dici : “Ecco, ho dato da matto, non stavo  in me stesso”.
E’ vero , non stavi  in te stesso, stavi fuori, stavi fuori da te, perché dentro c’è il Signore che ti aspetta, che prega con te, che lotta con te, che vive con te, che non ti lascia mai.

Questo luogo spettacolare, meraviglioso, in cui celebrate la Parola e adorate il Signore vivente, è proprio un fonte, è proprio il Battistero; il momento in cui il Signore viene ad abitarti dentro è il battesimo, e qui voi fate un memoriale continuo.

Si deve avere tanta, tanta fiducia però, nel chiudere la porta, quando dentro non c’è ancora niente. Soprattutto quando si è feriti, quando sarebbe necessario un aiuto esterno. Ci vuole fiducia perché, una volta chiusa la porta poi, puoi solo aspettare che il Signore arrivi. E il chiudere la porta è ciò che permette che il Signore arrivi. Finché vai a cercare la vita al di fuori, sei tu che ti provvedi il cibo. Allora, c’è una solitudine richiesta, per non essere più soli.  Un gioco di parole, ma è questa la verità.

C’è una solitudine che ti è richiesta, per non essere più solo.
Perché se tu non fai questo atto di volontà, questo sforzo di te stesso, in cui, veramente dai la possibilità al Signore di parlare alla tua vita, di iniziare a pregare dentro di te , cioè se tu non prendi il largo, cioè, e vai là dove non sei più sicuro, là dove potresti affondare ; ma se tu non fai questo gesto, affinché il Signore venga nella tua vita, inizi a pregare con te, riempia la tua solitudine, facendola poi diventare armonia, facendola poi diventare comunione, rimarrai tu il padrone della tua vita, avvinghiato su te stesso, andando sempre a cercare quello che tu ritieni che sia il pane che tu debba mangiare.
Invece è Lui che vuole riempire continuamente con questo olio questi vasi che noi Gli diamo.

E cosa succede dentro questa stanza, cosa succede dentro di noi, in cui c’è il Padre che prega, ecco a questo punto entriamo dentro la dinamica di questo incontro, entriamo appunto nel centro del centro che è il Padre Nostro, che possiamo iniziare proprio pregando insieme :
Padre Nostro che sei nei cieli,
sia santificato il Tuo nome,
venga il Tuo regno,
sia fatta la Tua volontà,
come in cielo così in terra.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti,
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non ci abbandonare alla tentazione,
ma liberaci dal male.

Il Padre Nostro che è, non solo al centro dell’elemosina e del digiuno, come avevo detto, delle tre famose pratiche che poi la quaresima liturgicamente ha preso con sé, ma è anche al centro del discorso della montagna.
Abbiamo due versetti che introducono la preghiera del Signore, e due che la concludono; siamo sempre al capitolo 6 di Matteo: “Non si devono sprecare le parole, non si viene ascoltati a furia di parole”.
E’ vero; però, come mettiamo insieme questa introduzione di Gesù, con quella parola di Paolo, così cara a noi cristiani, che dice “Pregate incessantemente”  ( 1 Ts 5, 17).

Devo pregare senza sosta, però non devo sprecare parole, altrimenti, come abbiamo letto in Matteo, sono come i pagani, che hanno molte parole.
La nostra preghiera è essenziale, sono poche parole, anzi, tutto va semplificandosi verso una preghiera monologica, con una sola parola.
Eppure questa parola diventa per noi come il respiro, perché, se la relazione con il Padre è la vita, smettere di essere in relazione con Lui significa morire.
Entriamo allora nel vivo di questa preghiera, che è una preghiera che è il compendio della vita cristiana.
La Didaché, questo splendido libro del primo secolo, che ci viene consegnato dalla chiesa, diceva che la preghiera del Padre Nostro , essenziale per la nostra vita di cristiani, doveva essere pregata tre volte al giorno.       E noi lo facciamo : facciamo alle lodi mattutine, ai vespri, e poi lo facciamo nella celebrazione eucaristica.
Il Padre Nostro: anzitutto la prima parola: Padre.
Con quella prima parola del Padre Nostro, noi chiamiamo Dio,  lo chiamiamo, lo invochiamo ; siamo così abituati a farlo che rischiamo di non essere, di non sentire più il fuoco di questa parola, la forza di questo inizio.
Chi prega il Padre Nostro si rivolge a Dio, gli da del Tu, lo chiama Padre; addirittura Paolo ha questa bella espressione, che neanche la vuole tradurre : “Abbà“.
Quindi entriamo in questa dinamica con Lui.
Cominciamo a pensare questo : quando è che un uomo dice ad un altro uomo Padre?
Lo dice quando è successo qualcosa tra loro due, qualcosa di oggettivo, che non può essere eliminato da niente e da nessuno.
Cioè quando uno ha dato la vita all’altro.
Come noi quando eravamo bambini non è che andavamo a chiamare “padre”, l’amico di nostro padre.
E’ una cosa così forte, così intima, così totalizzante.
Quella di essere padre è un fatto.
Non è che Dio lo senti come un padre, magari pensando anche a tuo padre, per carità, ma è proprio un fatto.
Noi cristiani chiamiamo Dio Padre proprio perché lui ci ha dato la sua vita, “Ruha”, il suo spirito e il suo modo di esistere.
Noi esistiamo dell’esistenza di Dio, noi viviamo della vita di Dio che è Padre.
Guarda che bello: mentre dico Padre a Lui, io sto dicendo nello stesso istante anche come io mi concepisco davanti al Padre.
Io sono suo figlio. Colui che è stato generato da Dio. Uno che ha in sé la vita di Dio, che vive secondo Dio.

Però sappiamo che Dio quanti figli ha?
Dio ha Suo figlio che è Cristo.
Solo un figlio di Dio, perché solo così può donarsi tutto a lui, attraverso l’Unigenito.
Ma a questo figlio unico di Dio, noi apparteniamo e dunque in quell’unico figlio anche noi siamo suoi figli adottivi.
Sappiamo, noi siamo figli nel Figlio.
Allora chi può dire Padre.
Chi è stato generato da Lui.
Magari però qualcuno potrebbe dire, ma io mi sento tutto vecchio di vivere ancora solo della vita che mi hanno dato i miei genitori.
Ma non è così perché tu hai ricevuto questa Sua vita, anche se non ne sei cosciente, è una realtà.
Pensa a quando nasce un bambino. Quel bambino non sa chi è suo padre ma lui è davvero figlio suo. Solo dopo un anno e qualcosa sua mamma, che gli dice tutti i giorni: “guarda papà, senti papà, papà sta lì”, inizia a rendersene conto.
Così è la vita nuova che viene dal battesimo. Noi già viviamo con questa vita del Padre dentro e lo Spirito Santo pian piano ci educa a riconoscerlo. E come la mamma che dice “guarda papà”, lo Spirito dentro di noi ricevuto nel battesimo ci dice “Abbà, Padre”. E’ un processo continuo di riscoprirsi figli nel Figlio.

E quando un uomo dice Padre riconosce che non ha in se stesso la fonte della vita; che non è lui il padre di se stesso.
Così aveva fatto Adamo nel giardino.
Io sono uno che la vita l’ha ricevuta e continua a riceverla e figlio lo resterò per tutta la vita e vivrò come persona soltanto ricevendo sempre la vita del Padre.

Attenzione, questo lo vedo anche per me, sacerdote, quando si vuole diventare pastori, quando si vuole diventare anche padri e ci si dimentica di essere figli.
Questa è una condizione necessaria come quando si diventa confessori e si lascia il confessionale da penitenti.
Non si può portar la pecorella sulle spalle o sul petto, se non ci si ricorda di essere pecorelle.
Padre nostro, la relazione tra noi e Dio è tutta custodita lì in questo appello. Padre. Ecco chi siamo in realtà. Ma questa relazione non è qualcosa di individuale, questo Padre è nostro, non è una forma intimistica.

Quando a volte vado a trovare qualche vecchietta, soprattutto da me, a cui chiedo: “La confessione come va?” Mi dice “Va tutto bene io mi confesso da sola”.

No, forse l’avremmo detto anche noi, per carità.

Ecco, non esiste nella nostra fede l’Io primo pronome personale. Come non esiste nella liturgia che è la cartina tornasole della nostra vita. Esiste il “nostro”, il Signore sia con voi e con il tuo Spirito, c’è questa dinamica, c’è il “noi”.
Padre nostro, una preghiera tutta inclusiva a includente. Non ci si può concepire da soli ma in comunità. Tanti problemi nella nostra preghiera vengono fuori perché ci concepiamo come delle isolette che si relazionano una a una, ma non è così e non è possibile.
Perché tu puoi dire Padre, perché sei dentro al corpo del Figlio e in questo corpo ci sono molte dimore. Io non sono rinato da solo a vita nuova, c’è stato un grembo dal quale sono nato, c’è stata una madre che mi ha generato.
Abbiamo un Padre celeste e un grembo materno, la Chiesa. L’amata del Figlio, unita a Lui in un solo corpo. E allora questa dimensione, “nostro”, ci riporta a una conditio sine qua non, ché è una fraternità nella quale dobbiamo sempre rieducarci.
Perché se no nella preghiera si ingarbuglia qualcosa. È per questo che in fondo quando non stiamo bene tra noi non riusciamo a pregare.
Quando non stiamo in comunione, non riusciamo a pregare.
Quando dentro di noi c’è rancore, c’è odio, c’è divisione.

Quando sappiamo che abbiamo lasciato delle situazioni irrisolte molto gravi non riusciamo a pregare perché non viviamo la comunione.

“Padre Nostro” che ci ricorda quello che Papa Francesco ha voluto sigillare ad Assisi con la firma della sua enciclica: “Fratelli Tutti”.

Padre nostro che sei nei cieli”
Dio Padre, e dunque c’è un legame viscerale con noi, è vicinanza assoluta ma nello stesso tempo, lo diciamo subito dopo: lui è “nei cieli”. Che significa allora?
Il cielo è lo spazio che guardiamo con il naso all’insù ed è l’immensità sopra di noi, a cui noi aspiriamo. I cieli sono ciò che ci fanno guardare in alto all’immenso, a ciò che è aldilà delle nostre possibilità.
Ecco Dio, diciamo con un’immagine, abita lì. Tutto lo spazio può essere compreso come due mondi.
Noi abitiamo sotto e lui sopra.
Per noi c’è un abisso invalicabile.
Il Quoelet nei suoi saggi consigli dice: “quando preghi, non parlare tanto, non essere precipitoso. Perché Dio è in cielo e tu sei sulla terra. Non sbagliarti”.
Dio è imprendibile come il cielo. E’ misterioso, è libero.
Dio non lo posso chiudere in una o due idee che mi sono fatto di lui.
Ho conosciuto poco più di una sfumatura della sua paternità.
Dire “che sei nei Cieli”, è’ riconoscere il Suo essere altro da noi.
Dio non si confonde con noi, ma qui viene il bello, perché lui e solo Lui poteva farlo, non moi, Lui stesso è disceso dal cielo per venirci incontro.
Dio è inafferrabile ed incomprensibile, però ha voluto essere così vicino a noi fino ad essere il figlio dell’uomo, che è disceso dal cielo ed ha voluto essere così vicino a noi da farsi essere ciò che di più intimo noi siamo: ecco cosa sono “i cieli”……

Ci ricorda che Dio è altro rispetto noi, è questa patria verso cui noi stiamo andando, questa perfezione assoluta.
E’ questo mistero nel quale noi camminiamo. E’ la verità che si dispiega.
Ci ricorda, dire: “che sei nei cieli”, che noi siamo pellegrini verso il cielo.

Facendo il Cammino di Santiago, mi meravigliava il saluto che i pellegrini si fanno in lingua originale della gallizia. Una parte dice “Ultreia” e chi incontra dall’altra parte dice “Suseia”.
Ultreia: “sempre avanti”, e l’altro risponde “Suseia”: “sempre in alto”.
Questo è il Padre che sei nei cieli.
Sempre avanti, sempre in alto: questo è il nostro cammino, questo il nostro pellegrinaggio.
Perché chi mette mano all’aratro e si volge indietro non è degno di me.
Diventa sale.
Perché Dio, cari fratelli, care sorelle, perché Dio non può essere rinchiuso dentro le nostre piccole ideuzze, le nostre categorie umane.

Vi ricordate quando Davide ad un certo momento, nell’apice, della sua vita dice: “Adesso voglio fare il grande tempio”, tutto soddisfatto, volevo fare una grande tempio. Faccio a Dio una bella casa.
Natan dice :”Ah, bell’idea”.
Durante la notte Dio gli dice: “Vai da Davide che io faccio una casa a Lui “ che è proprio così.
Dio non è dentro le nostre case.
Noi non possiamo racchiuderlo dentro le nostre categorie.
Noi non possiamo limitarlo, nelle nostre categorie, dentro le nostre idee.
E’ lui che viene a darci la casa dentro cui abitare. E’ lui che prega in noi.
E’ Lui che ci chiede di ascoltare questo spirito che prega in noi, che si fa vita in noi. Che ci rigenera in noi. E’ questo è profonda libertà.
E’ un incontro tra la mia libertà e la libertà di Dio che mi avvolge, che mi abbraccia che mia ama.

 

Sia santificato il Tuo nome”.
Allora il Padre nostro da questo punto qui ha una serie di domande. Sono sette.
La prima è questa: “sia Santificato il Tuo nome”, richiede un po’ di pazienza per capire questa domanda, perché non è del tutto semplice ed immediata, anzi io per molti anni l’ho fraintesa questa domanda.

Cominciamo a notare che nella prima parte del padre nostro, noi chiediamo qualcosa che riguarda ciò che è di Dio: il tuo nome, il Tuo regno, la Tua volontà. Chiediamo a Dio di fare qualcosa che riguarda Lui stesso ed in questa prima domanda: “sia santificato il Tuo nome” è ancora più chiaro perché il verbo è al passivo: “sia santificato” e chi è che santifica, da chi deve essere santificato il nome di Dio?
È Dio stesso, è Dio stesso che santifica il Suo nome.
E’ come se dicessimo.
Padre santifica il Tuo nome. Noi chiediamo a Dio che sia Lui a santificare il Suo nome.
Ma perché dovremmo fare questa richiesta, una cosa per sé stesso? Non può farlo da solo?
Evidentemente questa cosa dovrà coinvolgere anche noi ed adesso ci arriviamo.
Questo Suo nome coinvolge anche noi. Cerchiamo di capire come.
Per capire questo “sia santificato il Tuo nome”. Può essere utile ascoltare un capitolo di Ezechiele 36, 22-26.

Dice Ezechiele :
Perciò annuncia alla casa d’Israele: Così dice il Signore Dio: Io agisco non per riguardo a voi, casa d’Israele, ma per amore del mio nome santo, che voi avete profanato fra le nazioni presso le quali siete giunti. Santificherò il mio nome grande, profanato fra le nazioni, profanato da voi in mezzo a loro. Allora le nazioni sapranno che io sono il Signore – oracolo del Signore Dio -, quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi.
Vi prenderò dalle nazioni, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo.

Allora immaginiamoci la recita di Natale all’asilo dei vostri figli, tutti bambini sul palco, tutti i genitori giù con tutte le macchine fotografiche o i cellulari.
Tu riesci in questa scena a distinguere chi sono i genitori di chi?
No, sono tutti sotto
Però ci sono, sono confusi.
Adesso immaginiamoci che il bambino che fa l’angioletto sulla grotta, ad un certo momento emozionato sviene e cade, che succede?
Che la madre subito si butta lì immediatamente, che la madre va lì avanti e lo raccoglie immediatamente, che cosa è successo?
Ha santificato il suo nome, si è distinta tra tutto il gruppo come mamma di quel bambino. È brillata, è stata evidente davanti a tutti la relazione che c’è tra la mamma e il suo bimbo.
Ecco in questo passo di Ezechiele, Dio sta dicendo lo stesso: Tu Israele mi hai dimenticato, mi hai disprezzato, hai confuso il mio nome con quello di tutti gli altri dei, ti sei dimenticato di me. Bravo!
Allora sai cosa io faccio? Io ti farò del bene in mezzo a tutte le genti, perché almeno loro vedranno che io e te siamo legati.  Se non lo fai vedere te, almeno lo faccio vedere io.
Io Santificherò il mio nome davanti a tutti gli altri popoli, farò vedere chi sono io per te
Come?
Salvandoti, liberandoti dall’esilio farò vedere a tutti la mia relazione con te.
Questo è molto profondo.
Che cosa chiedono i cristiani quando pregano?
Sia santificato il tuo Nome, dicono questo. Diciamo questo, Padre fa che si conosca il tuo nome nel mondo, dove? In Noi.
Fa che chi ci guarda riconosca il tuo nome.

Padre, Signore fa che tutti ti conoscano come Padre, fallo anche attraverso di noi, fa che chi guarda noi veda dei figli di Dio che rivelano te.

Dice Matteo al capitolo 5 qualche versetto prima, “così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano la gloria del Padre vostro che è nei cieli.
Ecco noi chiediamo che la nostra vita diventi simbolo, che faccia trasparire il nome di Dio che è padre.
Il mistero della Sua Paternità.

Come è bello vivere con questo stile di figli che si abbandonano, che sanno che per quello che gli può accadere stanno nelle mani del Padre, sanno che nessun tormento li toccherà perché c’è il Padre.
Vivere in questa continua situazione di abbandono che mi potete schernire, mi potete criticare, mi potete bruciacchiare, mi potete come Pietro domenica scorsa, mi potete flagellare, mi potete mettere in prigione
So che Abba, so che Papà, che mio Padre non mi abbandona e che ha per me qualcosa di grande, qualcosa di pieno che neanche io so darmi, che non saprei darmi, che non so neanche immaginare per quanto è grande e bello.
Quanto sarebbe bello vedere questa relazione di figliolanza in noi, questa è santificare il nome. Questa è la richiesta che noi facciamo, che sia Santificato il Tuo Nome in noi.
Che si possa vedere questa relazione, questa donazione.
Che noi con la nostra vita di figli potessimo dare gloria, onore e rivelazione al Padre.

“Venga il Tuo regno”
Dio è nostro Padre, noi chiediamo che la nostra vita riveli questa Sua paternità e dunque chiediamo che sia Lui a regnare sulla nostra vita, che sia Lui il nostro Re.
Ecco il regno che noi chiediamo è un regno totalmente differente dal regno che noi possiamo immaginare e che la cultura odierna ci mette avanti.

Non è un regno in cui c’è uno in cima e gli altri tutti giù, affossati in fondo.
Il Signore Gesù ci rivela il Padre, ci rivela che il Padre ha cambiato radicalmente questo modo di fare e di pensare, infatti Gesù dice: “Tra voi però non è così, non è come il mondo”.
Quando ha instaurato il regno, quando ha stretto l’alleanza – il patto con noi – il Re era con il grembiule chinato sulle nostre piccolezze, sulle nostre infermità
Che strano regno!

Dato che è Padre, Dio regna quando i Suoi figli sono sul trono con Lui, Dio non regna da solo, Lui vuole regnare con noi.

Rivedendo e pregando su questa invocazione del “Padre nostro” sono andato a rivedere alcuni mosaici in alcuni catini absidali dove c’è un grande trono e in questo grande trono – forse lo avete visto anche voi – c’è lo sposo e la sposa, anzi in alcuni casi lo sposo abbraccia la sposa: Cristo e la Chiesa; perché come c’è scritto nella seconda lettera di Timoteo: “Se perseveriamo, con Lui anche regneremo”.

Così noi chiediamo che venga il Suo regno, così che ogni uomo ed ogni creatura entri in relazione sempre più profonda con Dio a partire dal cuore, perché in Luca al cap. 17 versetto 21, Gesù dice: “Il regno di Dio è in voi”.
Noi chiediamo che la nostra vita sia sempre più Sua, sia sempre meno gestita da noi e sia sempre più vissuta in comunione con Lui e che questo si allarghi, piano piano, dal nostro cuore fino all’ultima murena nascosta nel mare ed anche se i regni di questo mondo sembrano così forti, noi sappiamo che, come una piantina sta crescendo, anche questa creazione nuova, questi figli e figlie di Dio, che portano con sé tutto il mondo verso il Padre, fin quando Dio sarà tutto in tutti e questa comunione tra Dio e il creato sarà finalmente completa.

Venga il Tuo regno” è proprio questa richiesta.
Questa richiesta di essere un tutt’uno con Lui, è un non essere più io che vivo, ma un essere io che vivo in Lui, o meglio: Lui che vive in me e che in me regna glorioso.
Quando abbiamo fatto il Battesimo, dopo l’unzione con il crisma mi sembra, ci è stato detto: “Tu sei l’immagine di Cristo, Re, sacerdote e profeta”.

 “Sia fatta la Tua volontà, come in cielo così in terra”
Noi possiamo chiedere che Dio regni in noi, che la nostra vita sia tutta in relazione a Lui, che tutto in noi diventi filiale, ma qual è l’unica cosa che può impedire che questo si realizzi? E’ la nostra volontà.
Il nemico numero uno è la nostra volontà.

Qualche maestro spirituale diceva: “Qual è la radice di tutti i peccati? La nostra volontà”, perché la nostra volontà è ferita, è malata – basta leggere Giovanni 7 per capirlo.

Se noi ci appoggiamo su noi stessi, la nostra volontà ci comanda solo una cosa: “Salva te stesso”.
La vita che hai, è breve… Non puoi spenderla per nessuno, non puoi amare davvero, perché altrimenti ti consumi e non resta niente per te, salva te stesso”.

Allora ecco che la domanda seguente chiede questo: “Padre, sia fatta la Tua volontà”, perché capiamo che l’Unico che vuole davvero il bene, e che è anche capace di attuarlo è Lui, allora noi chiediamo che avvenga ciò che Lui vuole.
Anche qui non diciamo “Signore fa che noi facciamo quello che vuoi Tu”, ma “Tu fai quello che vuoi, perché quello che Tu vuoi è il bene”.

A volte sentiamo dire, quando succede qualcosa di brutto: “Mah, questo qui è malato, sia fatta la sua volontà”, ecco non è questo lo spirito.
Lo spirito è, partendo dal fatto che Dio è Padre, che mi ama, che mi ama di un amore viscerale, che sa veramente qual è il bene per me, qual è la piena realizzazione, qual è la vera felicità, qual è la mia vera pienezza, allora a questo Padre che sa uno per uno tutti i capelli della mia testa, che mi ha tessuto nel grembo materno, che mi conosce, che mi custodisce, che prega in me, Lui si che sa cos’è il bene, allora sì che “sia fatta la Tua volontà” e non la mia. Non la mia!
Che significa uno svuotarsi dai nostri calcoli, un non mettere sul fardello dei nostri figli cosa dovranno essere, che dovranno essere i migliori, i più bravi a scuola, che dovranno essere preti, che dovranno essere imprenditori, che dovranno “prendere la mia fabbrica” e così con la moglie, con il figlio, con il fratello, ma invece – dovremmo dire – “sia fatta la Tua volontà”.
Perché è il Padre che ci ama di un amore con cui noi non siamo capaci  ad amarci, è nel Padre che noi possiamo amare.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Ecco che arriviamo alla domanda centrale del Padre Nostro.
Prima di tutto una domanda: perché Gesù ci fa chiedere il pane, se tanto, anche se non lo chiedi, non cambia niente?
Alla fine, se uno ha i soldi mangia e sta tranquillo e se uno non li ha, è un povero e si arrangia come può.
Come può essere vera per noi questa domanda?
Noi che, per di più, oggi, non abbiamo un problema di sopravvivenza.
Perché l’uomo è una creatura che, per natura, è dipendente, anche se noi non vogliamo accettarlo.
Noi abbiamo bisogno di mangiare, noi siamo dipendenti per natura, non ce la facciamo da soli e già dentro, qui, si nasconde una parola preziosa: ricordati che la tua vita dipende da un Altro, non stai in piedi da solo, ricordati: persino Gesù ha avuto bisogno del cireneo.

Come dice il salmo: “tutti da te aspettano che tu dia loro cibo al tempo opportuno, tu lo provvedi, essi lo raccolgono. Apri la tua mano, si saziano di beni”.

Perché, proprio per questo, l’uomo è sempre in cerca di qualcosa che lo sazi, che colmi quella fame, quel vuoto che ha dentro. E il Signore sa che è proprio in fatto di cibo che siamo caduti, sa che noi chiediamo ad altre realtà di nutrire la nostra vita.
Allora uno chiede alle cose, al lavoro, agli affetti, all’approvazione degli altri, alla tecnologia.
Tanti alberi dove andare a prendere il frutto che ci sazi, finalmente.

Quante volte andiamo a cercare la vita, quante volte andiamo a cercare questo pane nei luoghi di morte!
La droga, l’alcool, la sessualità, il gioco d’azzardo e chi più ne ha più ne metta, più ne ha più vada avanti.
Perché dentro di noi c’è una sete di infinito! C’è una sete insaziabile e c’è l’esigenza che noi abbiamo bisogno… Agostino dice: “Inquietum est cor meum, donec requiescat in Te”, Il mio cuore è inquieto fino a che non sto davanti a Te.

E sarà sempre così!
Però se questa inquietudine non è saziata dal suo cibo quotidiano, è saziata da una ricerca della perversità della nostra fragilità toccata dal peccato.
Noi chiediamo che il Padre ci dia la sua vita che è Cristo!
Io sono il pane della vita!
Il pane che dà la vita, vera. E’ Lui, è la sua Parola, è l’Eucarestia, ciò che sazia la nostra vita e la nostra relazione con il Padre attraverso Cristo Gesù.

E rimette a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori.
Noi abbiamo bisogno di pane per vivere, ma, allo stesso modo, abbiamo bisogno di perdono.
C’è un midrash  ebraico che dice che quando Dio crea il mondo, lo fa ma vede che non sta dritto, che si affloscia, non sta in piedi. E allora cosa fa per raddrizzarlo? Fa il perdono. In questa domanda chiediamo che Dio ci perdoni e quando Dio perdona, crea, fa qualcosa di veramente nuovo nell’uomo: “Crea in me, o Dio, un cuore nuovo!
Il Padre può rinnovare interiormente l’uomo con un atto che solo Lui può fare: il perdono.

Però c’è qui un problema, non semplice: cosa vuol dire che noi “li rimettiamo ai nostri debitori”?
In realtà il verbo qui sarebbe proprio al passato: come noi abbiamo perdonato, una volta per sempre, ai nostri debitori.
Ecco dove sta il problema: perché uno potrebbe dire: “Allora noi chiediamo a Dio di perdonarci, solo se noi prima abbiamo perdonato gli altri”?
Il perdono di Dio è vincolato a quello che io ho per l’altro?
Allora io ho paura a chiedere questa cosa! Come si può capire questo?

No, non dobbiamo pensare che prima noi perdoniamo agli altri e allora Dio perdona a noi. Tutto il Vangelo ci dice il contrario.
Detto questo dobbiamo anche dire che il nostro perdono agli altri è una cosa seria. Perché il fatto che tu hai perdonato la persona che ti ha rovinato la vita, esprime il fatto che hai accolto davvero il perdono di Dio! Siamo in questa continua dinamica!

Visto il tempo che scorre, ci diciamo questa continua invocazione.
L’altra, la sesta è
non abbandonarci alla tentazione”.
Questa continua richiesta che noi facciamo a Dio, di non lasciarci soli nel momento della lotta e, alla fine, gli diciamo di liberarci dal male.

Lo sappiamo, a volte noi pensiamo di individuare il male nelle persone, il male in tante realtà, ma il male è il peccato, il male è …il maligno.
Allora noi, questa preghiera del Padre Nostro si conclude proprio con questa invocazione: “Signore, liberaci dal maligno” liberaci dal male, liberaci dal peccato.
Non dalle persone, non da questo, non da quello, ma dal maligno e dal peccato!
Noi chiediamo questo al Signore quando gli chiediamo di liberarci dal male.
Allora, davanti a Gesù Eucarestia, mettiamoci così, con cuore disponibile, con cuore semplice, con il cuore di figlio.
Preghiamo il Padre Nostro, preghiamolo con intensità, preghiamolo con verità, mettiamoci a nudo davanti a Lui, affinché possa risplendere sempre in noi questa figliolanza, questo abbandono totale.

Ci raccogliamo in silenzio, preparandoci all’adorazione.