La salute non dipende solo dal numero di contagiati da questo virus

Le mani d’un malato e di un’infermiera – Reuters

di Davide Checchi

Sono un medico specializzando in Malattie Infettive, lavoro con il Covid da più di un anno.
Ho sentito la necessità e il dovere di scrivere, per l’esperienza maturata quest’anno, in relazione alle gravi decisioni che si sono prese in queste ore in merito alla gestione della pandemia.

Decisioni che potevano essere anche comprensibili a marzo/aprile dell’anno scorso, quando ancora non conoscevamo il virus, non sapevamo come trattare l’infezione grave (basta solo pensare ai cortisonici) né avevamo un sistema sanitario già “collaudato” alla risalita dei contagi, non conoscevamo bene la modalità di trasmissione dell’infezione né si era organizzati per limitarla nelle strutture sanitarie o più in generale nella popolazione, a partire dalle mascherine che mancavano. Misure che però, allo stato attuale, appaiono non solo inadeguate, ma anche più dannose della malattia stessa. Anche perché la salute non dipende solo (come a volte si ha l’impressione leggendo i giornali) dal numero di contagiati da questo virus!

Si badi, non ho mai avuto alcuna intenzione di negare la gravità della situazione, neanche quest’estate, quando non ho condiviso il “lassismo” generale e ho continuato a rispettare  le norme di prudenza. Così come ho sempre sostenuto la necessità di fare reali controlli, dando multe per le strade o per i negozi a chi si assembra e si incontra senza utilizzare mascherina (e sarebbe molto meglio, piuttosto che penalizzare tutti gli esercizi indiscriminatamente). È irragionevole l’imprudenza e la faciloneria di chi pensa che il Covid sia, nonostante tutto, una banale influenza (e non lo è affatto), o di chi vive con la presunzione che non sarà toccato (lui personalmente o i propri vicini, familiari o amici) dalla gravità di questa malattia.

Ma anche la paura è irragionevole, la paura che i media cercano di istillarci ogni giorno, così come è irragionevole la decisione di tornare ad un lockdown generale, un’ingerenza dello Stato sulla vita di ciascuno di noi, assolutamente non degna di un paese che vuole dirsi democratico, lesiva della nostra libertà. Ed è sulla paura che il governo sta cercando di esercitare il proprio controllo,

Invece è sulla conoscenza del virus maturata in quest’anno, e sull’educazione che è necessario diffondere, che possiamo convivere (e non sopravvivere) con la pandemia, limitando i contagi in modo che tutti gli ammalati possano avere un’assistenza sanitaria adeguata. Basterebbe pochissimo, davvero. Ce ne siamo accorti quest’anno nella nostra vita quotidiana in ospedale, comprensiva anche di momenti conviviali che non ci siamo mai negati, senza contagiarci: con mascherina chirurgica indossata da tutti (soprattutto quando si tossisce), e mantenendosi a relativa distanza, si riduce drasticamente il contagio. Anche la trasmissione da contatto, tanto temuta, è nella pratica molto difficile che si verifichi.

Vorrei poter spiegare a tutti che la fatica di indossare una mascherina chirurgica è in realtà garanzia per la nostra libertà, per continuare a vivere le nostre relazioni e attività, con pochissime limitazioni; non solo, è un gesto di carità verso chi ci è vicino, verso i nostri familiari e amici, per proteggerli da un’infezione che può essere realmente terribile. Chi non vuole avere la pazienza di indossarla non è un coraggioso spavaldo (anche perché, questo ormai penso si sia capito, la mascherina chirurgica non protegge chi la indossa); ma è una persona che sta dimostrando poca attenzione verso l’altro. E’ quindi responsabilità di noi tutti accettare di adeguare il nostro comportamento a quanto ci richiede, in questo momento di pandemia, la realtà.

Ma invece di educarci a convivere con il virus, con programmi che spieghino nel dettaglio come comportarsi, o anche a suon di multe per chi non rispetta mascherina e distanza, il governo preferisce chiudere tutti in casa, mettendo come priorità unica la riduzione dei contagi. Riduzione che come abbiamo già verificato è comunque solo temporanea, perché come spesso accade il proibizionismo genera la reazione opposta. Le persone comuni, invece di comprendere l’importanza di certi comportamenti di prudenza, iniziano a non rispettarli nel loro privato, semplicemente perché stufe ed esasperate dalle limitazioni che hanno dovuto subire.

Non solo la chiusura in casa, stiamo accettando diverse decisioni a dir poco disumane. Disumane perché l’uomo è intrinsecamente RELAZIONE!

Pensiamo a come stiamo accettando che venga negata ai malati la visita dei parenti! Così può succedere che una moglie non possa vedere il marito per mesi, e vederselo consegnare dentro una bara sigillata senza mai averlo rivisto. Per paura di ritorsioni medico-legali preferiamo lasciare i malati in completa solitudine per settimane, e morire da soli, senza aver mai salutato, se non a volte tramite uno schermo, i propri cari; tradendo così lo scopo primario della medicina, che è il sollievo della sofferenza. E pensare che anche in questo caso non è così difficile disegnare dei “protocolli” per garantire questo servizio assistenziale fondamentale…

Oppure, sotto gli occhi di tutti, pensiamo a quale danno stiamo provocando nelle fasce più giovani della popolazione. Proprio nel momento della crescita in cui siamo chiamati ad aprirci alla scoperta della realtà e della sua bellezza, e a socializzare con l’altro, costringiamo i bimbi e gli adolescenti a chiudersi in casa davanti ad uno schermo. Sono convinto che se non fossimo già tutti più o meno dipendenti dal mondo di internet, non avremmo mai accettato questo. E così vediamo giovanissimi con modificazioni comportamentali, depressione sempre più frequente e tendenza all’autoisolamento (i famosi “hikikomori”), per non dire di peggio. Forse che questo disastro sociale e psichico può essere considerato meno grave del Covid stesso? Perché, invece di demonizzare i giovani e chiudere le scuole, non sfruttarle per educare e poter spiegare ai nostri giovani il perché siano così importanti certe misure? A maggior ragione se evidentemente non è il momento della lezione in classe a rappresentare un problema per i contagi, ma il prima e il dopo.

Così anche per tante attività economiche che vengono chiuse indiscriminatamente, condannando molte famiglie alla povertà. Perché chiudere i luoghi della cultura, come musei, cinema e teatri, se sono assolutamente fruibili in tutta sicurezza, adottando certe norme? Perché invece di chiudere tutte le ristorazioni, non multare solo quelle che non rispettano certi standard di sicurezza? Lo stesso Sistema Sanitario Nazionale, già a dura prova e carente di risorse, non potrà reggersi a lungo, se non supportato dall’economia del Paese.

Non è un bene chiudersi in casa. Imporlo non è da governo che ha a cuore la salute, l’educazione e la crescita del paese. Rimane invece sempre importante far rispettare certe norme di prudenza che certamente contengono il contagio, permettendo così di continuare a vivere, in modo diverso, le nostre relazioni e attività.

Relazioni e attività che sono fondamentali per la nostra salute, e per il bene comune!

Dr. Davide Checchi