La vita più forte del coronavirus

di Costanza Miriano

Su chiese chiuse e messe sospese vorrei provare a dare un contributo da figlia che ama veramente la Chiesa come una madre (e va be’, lo ammetto, vorrei anche un pochino rispondere a prediche sull’obbedienza, insulti e auguri di ammalarmi e rimanere senza respiratore ricevuti oggi sui social)

Partiamo dall’assunto che conosco molti dei nostri pastori, anche quelli che hanno avuto il gravoso incarico di prendere decisioni, e so che sono davvero dei pastori, cioè si prendono cura di noi con amore paterno. Sono sicura che nel prendere le decisioni hanno a cuore le sorti dei fedeli, e niente altro. Di questo sono certissima. Sono anche sicura che questa vicenda sanitaria così nuova e inaspettata sia molto difficile da gestire per chiunque – vediamo le discrepanze di condotta anche tra i capi di stato e i sistemi sanitari di diversi paesi – figuriamoci per chi deve prendere decisioni pioneristiche (in Cina non hanno il problema delle messe, tanto per dirne una) che coinvolgono tante persone. Nessuno purtroppo ha la ricetta.

Però credo anche che questo per la Chiesa sia un momento straordinario, e mentre i pastori si preoccupano sacrosantamente della sanità pubblica, possono cogliere il xairòs, il tempo opportuno per annunciare la risurrezione di Cristo a un popolo che pensa che chi crede davvero alla risurrezione dei corpi sia un minorato. Forse i pastori di questa lontananza siderale della gente non hanno piena percezione, non so… Oggi, per noi che viviamo nell’epoca del benessere, della pace, del progresso tecnologico (fatti salvi i più anziani che sono nati verso la seconda guerra mondiale) è in assoluto la prima volta che siamo tutti insieme posti davanti all’eventualità di morire prima di quello che è ragionevole pensare, e nessuno può sentirsi totalmente al riparo. Questa è una grande grazia. Ci mette nella precarietà, e sappiamo bene che precario e pregare hanno la stessa radice. Finalmente siamo posti davanti alla nostra verità: la vita ha una mortalità del 100%.

Da quando nasciamo oggi per tutto il tempo veniamo aiutati a non pensarci, e a far comandare un non-pensiero istintivo ed emotivo. Berlicche dice al suo diavolo aiutante che il suo scopo non è metterci in testa strani pensieri, ma toglierli. Se pensassimo, sapremmo che questa è la verità, cioè siamo tutti condannati a morte. L’entertainment ha nella sua quasi totalità lo scopo di distrarci (non voglio affatto essere intrattenuta, voglio guardare bene dove sto andando!).

In questi giorni per la prima volta non possiamo essere distratti, sperimentiamo l’incertezza, l’impotenza, la paura (che sia commisurata o meno al pericolo, di sicuro ce ne è molta). Fino a che non siamo messi davanti al nostro limite – non necessariamente la prospettiva della morte, ma qualsiasi cosa, un dolore, una paura, una sete che ci dica la nostra finitezza – non gridiamo a Dio, o se crediamo di credere in Lui in realtà non lasciamo che sia lui a regnare, regniamo noi su quello che ci interessa.

La Chiesa, come depositaria della fede, è l’unica – per noi cattolici – accreditata a mediare per noi, a portarci a Cristo, a garantirci che quello in cui crediamo non è un parto della nostra fantasia. E quello in cui crediamo è che c’è stato un uomo nato sotto Augusto e morto sotto Tiberio che a un certo punto non era più nel sepolcro, ed è stato visto vivo dopo la morte. Di quell’uomo storicamente esistito tutta l’umanità dice che è stato una grande persona, nessuno dice che fosse un buffone o un impostore. Bene, quell’uomo annuncia che anche noi possiamo diventare figli di Dio e risorgere con il corpo. Se andiamo a dirlo per strada a qualcuno, oggi, ci fanno internare. Eppure è l’unico pensiero vincente davanti alla morte. Quale momento migliore per annunciarlo, in questo mondo che ci considera malati di mente (“vai ad ammalarti in chiesa a supplicare l’amico immaginario” è stato uno dei commenti ricevuti sui social)?

Per questo io credo che oggi la Chiesa sia chiamata ad aiutarci a vivere la prova come un momento opportuno per cominciare o approfondire un rapporto serio e vero con il Signore, e non solo a tutelare la vita del corpo. E’ chiamata a parlare dei novissimi, a supplicare la protezione di Dio perché mai come oggi possiamo imparare a essere affidati e consegnati a lui. E’ una chiamata straordinaria a Cristo, e non possiamo coglierla se chiudiamo le chiese, se non diamo la possibilità di entrare al cospetto del mistero a chi sperimenta per la prima volta la paura.

E anche noi che siamo figli della Chiesa, abbiamo diritto ad avere Cristo, non solo pregandolo dove siamo ma anche potendoci accostare ai sacramenti, perché siamo cattolici e non protestanti. E’ un diritto importante almeno quanto quello ai farmaci e al cibo, e infatti anche il Decreto della Presidenza del Consiglio riconosce che i luoghi di culto devono essere tenuti aperti. E’ un nostro diritto come battezzati. Ma ancora di più è un nostro bisogno, al quale tantissimi santi sacerdoti stanno rispondendo. Stiamo vivendo tutti un momento difficile – chi più (i malati, i medici, gli infermieri, i familiari di quelle categorie, e tutti i residenti nelle regioni del nord di più) chi meno – e la Chiesa, ospedale da campo, si fa, si deve fare, prossima ai suoi figli che sono nella prova, nella paura, nell’incertezza, nella solitudine, nella necessità economica.

Ecco, l’unica cosa è che bisogna ingegnarci per far sì che questo non sia causa di contagio. Ma come abbiamo trovato il modo di tenere aperti i tabaccai, le edicole, e i supermercati, dobbiamo trovare il modo di tenere aperte le chiese, e di permettere la celebrazione delle messe. Non si stanno distribuendo le razioni K nelle case, giusto? Davanti ai supermercati, perfino nell’anarchica Roma che oggi sembrava Londra (gli inglesi si mettono in fila anche quando sono da soli) si sono formate code disciplinate e pazienti. perché bisogna mangiare nonostante la paura del contagio. Se io dicessi ai miei figli che siccome non so se qualcuno ha tossito  sulla scatola della pasta non si mangia più fino al 3 aprile, non sarei una buona madre. Vado a fare la spesa al supermercato, anzi veramente ci va mio marito, fa la fila, si mette la mascherina, i guanti, si autocertifica, spruzza la maniglia della porta con l’alcol quando rientra, si lava le mani col Lyso Form, e poi prima di cucinare ci rilaviamo duecento volte le mani, appena toccata una scatola che viene da fuori. E’ nostro dovere di genitori impegnarci per dare da mangiare ai nostri figli senza metterli in pericolo. Non possiamo cavarcela dicendo che non si mangia fino al 3 aprile, eppure i pericoli che si corrono al supermercato sono sicuramente superiori a quelli che si corrono in chiesa se si prendono severe precauzioni, perché in chiesa non è necessario che tocchi nulla, manco il banco.

Quindi va bene, solleviamo dal precetto domenicale tutti, andare in chiesa non sarà necessario. Chi è a rischio o ha familiari a rischio ha il dovere di stare lontano. E magari ne sentiranno il bisogno i più deboli nella fede. Però, come abbiamo trovato il modo per i supermercati, troviamolo per le chiese aperte, che poi non so voi ma io quando vado le trovo tutte deserte come all’adorazione di oggi dove sono andata a pregare per trovare un po’ di silenzio fra le puntate di Scrubs, le videolezioni, le telefonate fra compagne di classe, le partite a carte con tifoserie da stadio. La chiesa è stato il luogo meno affollato che ho frequentato oggi, essendo stata in casa, al lavoro, all’alimentari e in farmacia. Che senso avrebbe chiudere? Non è più caritatevole regolamentare, se mai si rendesse necessario (magari ci fosse la folla!)?

E torniamo alle messe, perché noi non ci arrendiamo a questa privazione. In Polonia hanno chiuso le scuole ma hanno moltiplicato le funzioni, sarà perché lì hanno ancora memoria di quando si rischiava la fucilazione per andare a messa, e non se la fanno togliere tanto facilmente. Moltiplichiamo le messe, facciamo a prenotazione, telefonando o mandando mail o prendendo il numerino (magari servisse!), sediamoci ogni quattro panche, facciamole all’aperto, nelle piazze, nei cortili, obbligatoria mascherina (anche se io non le trovo!!!! accetterò di aspettare che arrivino quelle ordinate!) e guanti e gel disinfettante, va bene tutto, ma prima di sospendere, proviamo a vedere in ogni modo possibile se si può evitare. Se dobbiamo annunciare al mondo che lì c’è la vita eterna, come possiamo essere credibili se non mostriamo che lì c’è il nostro tesoro più grande?

Concludo con le parole di don Antonello Iapicca, uno dei sacerdoti santi – molti! – di cui mi onoro di essere amica: se anche la messa non ci verrà restituita, a noi sarà il compito di essere i tabernacoli che ci vengono tolti.

Il mondo, che non vede e non crede a Dio e alla sua vittoria sul peccato e sulla morte, e soffre la malattia quanto le privazioni, ha bisogno e diritto di vedere in noi Cristo vivo: è questa l’ora che, ciascuno dalla sua trincea, condividendo l’arena e la guerra di tutti, “si alzi in piedi, da risorto” e annunci la vita più forte del coronavirus del corpo e dell’anima.

 

****

 

Continuate a pregare senza sosta, iscrivetevi.

Abbiamo pregato insieme quasi 10.000 Rosari