Le pagine delle nostre vite

di Costanza Miriano

Vorrei intitolare questo post “libri di amiche che mi hanno stupito”. Anzi, più precisamente “libri belli di amiche conosciute su Facebook che poi sono diventate amiche in carne ed ossa e che mi hanno confermato che, nonostante le perdite di tempo e le polemiche inutili i social sono una cosa bella”. So che il severo admin boccerà il mio titolo, ma io ci terrei a ricordare che grazie alla rete ho incontrato persone meravigliose. È vero che il tanto vituperato algoritmo ci dà l’illusione di vivere in un mondo che non esiste, dove tutti la pensano come te, ed è vero che questo mondo non esiste, però grazie all’algoritmo ho incontrato Giuliana Zimucci.

La Giuly è una di quelle donne che capiscono le persone con un intuito stupefacente, è una di quelle amiche con cui non sono sempre d’accordo su ogni virgola, ma ha una dote sopraffina. Osserva, ascolta, annusa, legge tutto ciò che è umano con un radar raffinatissimo. Per questo ogni telefonata con lei potrebbe durare ore, potremmo aprire cartelle su cartelle e non finire mai di parlare (e basta sentirsi una volta ogni tanto per riannodare il filo di una conversazione sospesa mesi fa). Insomma, dovevo saperlo che Giuliana Zimucci fosse una osservatrice speciale dell’umanità, eppure la sua prima raccolta di racconti, La fine della commedia, mi ha stupito. È anche normale: non necessariamente uno che sia bravo a capire le persone è anche capace di raccontarle. Diciamo che è una condizione necessaria, ma non sufficiente.

Ognuno dei racconti nasconde una perla, un guizzo, un punto di vista particolare, uno squarcio su un mondo che vorresti conoscere di più, e infatti quello che rimane dopo avere chiuso l’ultima pagina, è il desiderio di sapere come va a finire, se lui smette di bere, se lei trova il suo vero amore, se Luisa trova la pace dopo avere ucciso l’amante, se Leda rivela il vero padre del bambino… Quello che rimane, dunque, oltre al desiderio di telefonare all’autrice per chiederle di andare avanti, di non smettere di scrivere, di tirare fuori il romanzo dal cassetto, sono soprattutto domande. Sulla vita dei protagonisti, e anche un po’ sulla propria.

L’altro libro che mi ha stupita è quello di Franca Malagò Pugni: non avevo la minima idea che avesse questa penna brillante, anzi questo eloquio avvincente (si tratta infatti di trascrizioni dei files di Podbiz), questa capacità di imparare da qualsiasi esperienza, e soprattutto che conoscesse così tante storie, diverse delle quali provenienti dal mio amato mondo dello sport. Con Franca, infatti, ho in comune la passione per la corsa (che ha conquistato peraltro anche Giuliana, altro tratto in comune tra i due libri), e per tutto lo sport come elemento fondamentale della formazione, dell’equilibrio, del successo di ogni persona, che sia sportivo di professione o no. Mi trovo spesso a pensare quanto io sia debitrice dell’educazione ricevuta nel campo di atletica leggera, uno dei pochissimi ambiti in cui non puoi barare: ottieni in base a quanto lavori, e devi rispettare delle regole. Poche ma ferree. L’altro giorno per esempio sulla via Appia Antica una ciclista ha cambiato direzione all’improvviso, quasi investendomi, e mi sono trovata a pensare che di certo quella ragazza non aveva mai fatto atletica: se hai frequentato le piste sai che non puoi cambiare corsia senza guardare indietro, è vietatissimo, ed è una cosa che ho interiorizzato grazie ai lunghi pomeriggi sulle piste.

Ma non è solo di sport che parla Ragazze diamoci da fare, Chiacchierate tra donne che hanno preso in mano la propria vita. Al centro c’è, appunto, l’idea di vivere la propria vita da protagoniste – sì, si parla di donne – qualunque lavoro si faccia (anche “solo” in casa), qualunque ruolo si abbia. E a questo servono le dritte – numerosissime – di Franca Malagò. Si parla di borse, ansia, malinconia, si parla di capacità di delegare e di organizzazione. Insomma una miniera d’oro di buon senso e intelligenza, tanto che solo leggendo la piccola bio finale dell’autrice ho capito che stava scrivendo di consulenza del lavoro. Io pensavo fosse una lettera per me!