L’intelligenza del rosario: esame di coscienza meditando i misteri

di padre Giuseppe Barzaghi

Monastero wifi Milano, sabato 1 giugno 2019

[L’intervento di padre Barzaghi è stato estremamente dinamico, ricchissimo di battute e digressioni. Abbiamo cercato di mantenere fedelmente questo stile fresco e colloquiale. Nelle parentesi quadre alcune note redazionali per capire e interpretare al meglio.]

Sapete perché ho voluto il tavolo? Per far così coi piedi [li agita sotto il tavolo], se no non si vede che sono contento… sai… spirito domenicano. E ringraziate il cielo che non son venuto con la cappamagna. Nera. Per l’occasione sono venuto con l’abito di chiffon [mostra la tonaca vecchia, di stoffa molto consumata, quasi trasparente].

Dunque, noi dovremmo intrattenerci su una cosa che appartiene all’essenza del cristianesimo, però quando si usa questa espressione, “essenza del cristianesimo”… sul cristianesimo va bene, quando usi l’espressione “essenza”, poi detta da un domenicano, qui si va sul difficile! Quando diciamo che una cosa è essenziale, si intende dire che appartiene proprio alla natura del cristianesimo. Però provate a pensare all’espressione: «Dai, essenzialmente cosa vuoi dire?», è una cosa spiccia, no? Quindi l’ambiguità di questa espressione mi piace, perché può voler dire sia la profondità, sia anche la brevitas [concisione]; ma soprattutto vuol dire che nell’essenza del cristianesimo noi assistiamo sempre a un capovolgimento. Il cristianesimo è un capovolgimento; capo-volgimento non vuol dire capriola, capo-volgimento vuol dire volgersi dalla parte del capo, e uno ci fa la firma, perché volgersi dalla parte dei piedi ordinariamente non è proprio una bella cosa. Volgersi dalla parte del capo. Allora siccome il capo è Cristo, dove guarda il capo, dove guarda la testa, le cose vuol dire che lì sono preziose. Preziose. Prezioso viene da pregiato, non da ciò che ha un prezzo… – il prezzo… vai al supermercato, non c’è quella specie di pistola che pfss pfss? [mima il gesto di prezzare gli articoli e dice in dialetto milanese: Uhei l’è adrè a cambià ul presi neh] oh scusate! se ogni tanto ho una formula meneghina ci intendiamo tutti, eh? Scusi? Traduco: pagina 777 di televideo. Appena sono arrivato ho chiesto: «Ma dov’è il don Orione?» «È di là!» [detto con forte inflessione milanese] Ahhh respiravo, quest’accento qui, meneghino, mi sembrava di vedere la nebbia anche se c’era il sole, bellissimo: «È di là, dai vai avanti un po’» –. Allora dicevo, se uno entra dentro queste cose che sono viste dalla parte del capo, entra dentro ciò che è prezioso perché è pregiato, e Gesù quando ha spezzato i pani – se sento un’altra volta uno che dice che li ha moltiplicati, gli tolgo i denti così non li mangia! – li ha spezzati, c’è scritto “li spezzò”, se li ha spezzati non li ha moltiplicati. Capite? Bisogna stare attenti alle parole, perché non è che uno possa dire: «Beh, spezzato, moltiplicato, l’importante è che han mangiato in 5000…», no, no, quando uno legge i Vangeli deve stare attento a quelle parole lì, sono parole importantissime, tanto importanti che il capo, la testa [Gesù], dice: «E raccogliete tutti i pezzi avanzati perché nulla vada perduto». Allora vuol dire che li spezza e i pezzi, i frantumi, i frammenti sono preziosi. E invece noi non siamo in quella mentalità, per noi i frammenti, ciò che è frantumato, o si butta [fa il gesto di soffiare via le briciole], o quando va bene… si fa così [spazza via con le mani e se le pulisce sfregandosele], che è la stessa cosa. E invece no, agli occhi di Gesù il frammento è prezioso, ha pregio. Allora tra le cose che appartengono al pregio, nello sguardo cristiano, ci sono le cose che si presentano come umili e quasi rasentano, nella opinione comune, il banale. Cià disem sü ‘l Rusari. Cià che diciamo il Rosario. Siete voi. Recitiamo i Salmi. Come, recitiamo i Salmi? Cià disem sü ‘l Rusari. Diciamo il Rosario. Guardate che se uno bada semplicemente a questa espressione, e uno capisce davvero che cosa vuol dire ciò che è prezioso, pregiato, e ciò che è superficiale… Cià disem sü ‘l Rusari. Orsù diciamo il Rosario. Uno dice: «Ma nooo, recitiamo il Rosario». No. Diciamo il Rosario; al massimo puoi recitare i Salmi, come mai? Recitare. Chi recita come si chiama? Attore. E un attore, come attore, dice il vero o dice il falso? Dirà anche il vero, ma nessuno crede che lui è Garibaldi, che lui è Amleto, sta recitando una parte. Quindi “recitare” etimologicamente vuol dire: spingere fuori con forza. Perché, non ci credi? Sai che gli attori devono prepararsi diaframmaticamente?! o tecnà, Kadmù tu palài nea trofè – poth’edràs tasdè moi thoàzetè [padre Giuseppe recita a memoria in metrica, con voce impostata, i primi due versi dell’Edipo Re di Sofocle] Lo sapevo… l’Edipo re di Sofocle, tetrametro trocaico scazonte [è il nome del verso metrico utilizzato] meno male che mi hai mandato qui, Gesù. Cosa si dice? Grazie Giuseppe. Vedi che quando recito devo impostare la voce, perché io non sono mica il coro dell’Edipo Re, e si capisce subito che sto fingendo. Quando dici il Rosario, dici il vero o dici il falso? Vero. Lo dici veramente o falsamente? Veramente, quindi non reciti, tu dici. Dire, dì, la radice di dire è dì, dèicnumi, che vuol dire indicare, far vedere. Eh, si fa vedere mica il falso, si fa vedere ciò che è vero: quello che c’è te lo faccio vedere, perché se non c’è, hai voglia a farlo vedere. Manifesti quello che c’è, dire è sempre indicativo di una visione che manifesta. Se il medico ti prescrive un medicinale da assumersi tre volte al dì, tu quando lo prendi? Nelle parti del giorno che è fatto di 24 ore o nelle parti del giorno dove c’è la luce? Perché il giorno si divide in dì e notte. Il dì è la parte del giorno solare, dove c’è la luce, la notte è la parte del giorno umbratile, oscura. Tre volte al dì, non devi svegliarti a mezzanotte perché devi prendere l’antibiotico a quell’ora lì e se sbagli l’inizio devi svegliarti alle 2 di notte. Il dì è la parte del giorno, luminosa. Dì, dire, indicare, vuol dire far vedere. Recitare invece vuol dire spingere fuori con forza, perché non è che ci credi del tutto, eh, più che il credere, insomma, implica un’interpretazione. Allora il Rosario appartiene a queste cose che sono velatamente non tanto apprezzate perché disen: «Disem sü ‘l Rusari», una banalità. E invece no, nel Rosario c’è il massimo di densità, l’intensità massima della dottrina della fede. Bellissimo. Questo è cos’è la catechesi. Quando ero bambino io, gh’era la dutrina: «Dua ta se ‘ndà? A dutrina». E dopo c’era anche la dottrina degli adulti e uno che seguiva la dottrina, dopo averla seguita, cosa diventava? Dotto. Complimenti, diventava dotto. Dottrina, dotto, docente, decente, dicente, è lo stesso nucleo di radici, si chiama “famiglia di radici” questa qua. Bellissima. Allora entrando dentro questa visione, anche il Rosario, che sembra la cosa più secondaria, minima minima minima, è quel frammento in cui il capo condensa tutto, tutto assolutamente, ed è bellissimo. Allora bisogna esplorarlo. Esplorarlo vuol dire entrare nell’intimità di una cosa, a ragion veduta perché per diventare esploratori… non c’è l’esploratore fai da te, l’esploratore per essere esploratore prima dev’essere un imploratore, e siccome ploro vuol dire piango, prima devi piangerci dentro e poi diventi l’esperto che da dentro fa vedere come si fa a muoversi lì dentro. Ex-plorare. È bello pensare come ci sia una tale grande densità nel Rosario così che uno possa permettersi di dire che questo frammento effettivamente contiene il massimo della densità. Guarda, ad azzardare una cosa io potrei dire che si potrebbe insegnare tutta la filosofia meditando il Rosario. Non sto scherzando, io non scherzo. [Spalanca la bocca] Avevo una sorellina piccola, quando diceva una bugia… «Chi è stato?» «Io no!» Apriva la bocca così [Ripete il gesto] perché le veniva da ridere, era stata lei… allora per non far vedere che le veniva da ridere [fa di nuovo il gesto di spalancare la bocca e coprirsela con le mani]… Non sto scherzando, effettivamente è così, tanto che mi son messo in testa una cosa: per fare gli esploratori bisogna avere un senso anagogico. Questa è difficile, questa è dura: a-na-go-gi-co, anagogia. Attenti, è una cosa bella, bellissima: anagogia. I medioevali quando usavano questo termine, lo usavano per indicare il significato mistico degli avvenimenti, di tutte le cose. Mica gente che si annoiava, quella lì! «Uh, il Medioevo» [con finto spregio] Come, il Medioevo?! Allora… Collationes… «Le colaziones… eh mangiavano». Ma nooo Collationes, collatio, confronto, raccolta, le Collationes di san Bonaventura se uno le legge si spaventa, erano per gente raffinata, tutti insegnavano in università coi ruoli. Ma sai quando facevano le collationes? Erano le prediche dopo la lettura breve dei vespri [p. Giuseppe fa la faccia precedente a bocca spalancata]. È la stessa faccia di prima solo che non apro la bocca perché non voglio ridere, resto sbalordito. Uno dice, ma allora quella gente lì cosa c’aveva nella testa? Durante il liceo chissà che debito… Una cultura tremenda! E a quelli che li ascoltavano… eran minga l’ì al talk show veh! a quelli quando parlavano gli spuntava un fiore in bocca! Collationes

Allora dentro questa riflessione sul Rosario, dicevo, uno può coinvolgere questa anagogia, che vuol dire, in greco anà ago vuol dire salire, elevazione; ma quando uno è elevato dall’alto vede tutto, no? La Specola Vaticana: dall’alto si vede tutto, è l’osservatorio astronomico, no? Loro erano capaci di interpretare appunto, dicevo, il senso mistico degli stessi avvenimenti. Soltanto un assaggio: sapete che Sant’Agostino per spiegare cos’è la Quaresima, vabbè tutti lo sanno, dai, la Quaresima = quaranta giorni liturgici che riflettono i quaranta giorni di Gesù nel deserto prima di essere tentato, che riflettono i quarant’anni nel deserto… questi passaggi non sono l’anagogia, questa la chiamavano allegoria, allegorèuo vuol dire “ti dico una cosa ma tu devi pensarne un’altra”. [p. Barzaghi cita un proverbio in dialetto meneghino, il corrispondente di “parlare a nuora perché suocera intenda”] “L’ha detto a uno per farlo capire a quell’altro”, allegoreuo vuol dir questo: dico una cosa per fartene capire un’altra. Fuga dall’Egitto… «Ehhh son scappati dall’Egitto…» Tu eri là? No. «Hanno attraversato il Mar Rosso…» Tu eri là? No. «E arrivano, volevano andare alla terra promessa.» Tu sei arrivato? No. Eri là? No. E allora? [fa il gesto del “me ne frego”] «Non fare così in chiesa!» «Eh… è per far capire che…» E se uno interpretasse allegoricamente? La fuga dalla schiavitù d’Egitto è la fuga dal peccato, l’attraversamento del Mar Rosso il battesimo, la terra promessa il paradiso della grazia. [faccia stupita] Hai capito cos’hanno fatto? E tu sei lì! Perché fuggi dal peccato, attraverso il battesimo vai in paradiso, e tu sei lì, questa è l’allegoria! L’anagogia è un’altra cosa, per cui a un certo punto sant’Agostino avendo adocchiato questa cosa qua dice: ma no, 40 giorni [40 dì 40 nott, canticchia in dialetto una famosa canzone incisa da Ornella Vanoni e poi da Jannacci] dice: quaranta giorni, 40 = 4 volte 10… «Eh allora?» Eh, bisogna prendere tutto – valutate tutto e trattenete il valore – lui va a prendere i pitagorici: 40 = 4 volte 10. Dieci è il numero perfetto, se è il numero perfetto contiene tutta la realtà. E san Tommaso, sulla scia di sant’Agostino, riflette, mette a fuoco e dice: è tutta la realtà, sì! La Trinità: 1, 2, 3; l’anima che si rivolge alla Trinità come sua immagine, ama Dio con tutto il cuore, la mente e le forze, fa 6; e dopo cosa manca? La Trinità è Dio assoluto Spirito, l’anima è forma del corpo, quindi è l’uomo che è a metà strada tra lo spirito e la materia: manca la realtà materiale. La realtà materiale come è fatta? Ah, Aristotele lo sa, si chiama sensibile. E risulta, al senso che si chiama tatto, come calda, fredda, secca e umida. E fa 4. 4 e 6 fa 10: c’è tutta la realtà. Eh, no! 10 moltiplicato 4 però. Dice, che strano. Il digiuno lo fai con l’anima o col corpo? Col corpo. E il corpo di che cos’è fatto? Terra, acqua, aria e fuoco. 4 per 10= 40, e dicendo quaranta, misticamente, avevi in mano il riassunto dell’enciclopedia del tempo. Capisci cosa facevano? Non lasciavano perdere niente, questa era l’anagogia. E interpretavano anche i fatti del Vangelo, non soltanto le immagini, gli stessi fatti del Vangelo, i fatti. Il paralitico portato da quattro portatori ostacolati dalla gente che era davanti al luogo dove Gesù stava predicando. Scoperchiano un po’ il tetto e dall’alto lo calano e Gesù dice: «È più facile dire a quest’uomo “ti sono rimessi i peccati” o “prendi il tuo lettuccio e vai a casa tua?”». Vi ricordate, no, il passo? Sono 4 portantini, tu eri là storicamente? No. Allora per farti andare là che cosa fai? – guarda, è un fatto storico, per l’amor del cielo, son tutti fatti storici, ma si possono anche prendere nel loro riflesso spirituale anagogico –. E dici: be’ quello che è paralizzato è l’anima che è viva ma è paralizzata dal peccato, però non è del tutto ferma; la portano le 4 virtù cardinali – prudenza giustizia fortezza e temperanza – e allora perché non riescono a portare davanti a Cristo? Perché le virtù cardinali sono la natura dell’uomo; la natura dell’uomo è quella che deve essere sanata, non è capace di risanare. Chi risana e salva è Cristo. Ma la visione non sarà più dal basso, sono ostacolati, non possono entrare, allora si passa dall’alto, e dall’alto ci sono tre verbi che indicano le tre virtù teologali – fede, speranza e carità – è la grazia conferita da Cristo che ridà vita all’uomo, all’anima dell’uomo. Questa qui è l’interpretazione anagogica.

L’ho fatta un po’ lunga per far capire che per interpretare anche il Rosario si può prendere questa linea, no? Come sant’Agostino addirittura tirava in ballo i pitagorici e san Tommaso tirava in ballo i pitagorici per interpretare 40 della Quaresima, qui addirittura abbiamo il Rosario. Allora facciamo così, vediamone l’utilità, non semplicemente la possibilità interpretativa filosofica, perché ci vuole un bel po’di tempo. C’avete un’ora e dieci? Be’, come un’ora e dieci… questo qui è un nostro padre, poveretto, sai quando incominciano a “partire”; in convento c’hai quello appena entrato, quello che è moribondo, quello che è partito di testa, e siam tutti lì così. Mi chiama e fa: «Giuseppe, c’hai un’ora e dieci?», cosa vuol dire?, cià un’ora… ma lui voleva dire “hai dieci minuti” e gli è venuto fuori un’ora e dieci. «Come un’ora e dieci?», «Un momento solo», «Ah, dieci minuti», «Sì dieci minuti, cos’ho detto?», «Eh, un’altra cosa…». Allora per farla breve io voglio farvi vedere come nel Rosario ci sia la possibilità di fare l’esame di coscienza, ma… voi sapete che cos’è l’esame di coscienza? Öhhh. Anche questa è una citazione meneghina, si usa soltanto a Milano: Öhhh è espressione indicativa di “sapienza”, vuol dire “Vieni qui a dirlo a me? Sun mi ch’t’l disi a ti”. Altrimenti saria minga ün baüscia da Milan… Noi avevamo un padre famosissimo, ai tempi del convento di santa Maria delle Grazie, che era soprannominato Öööhhh, perché quando sentivamo nel corridoio «Öööhhh», voleva dire che qualcuno gli aveva fatto una domanda scontata.

Allora entrando dentro questa visione del Rosario, per sfruttarlo come esame di coscienza penso che sia una cosa abbastanza utile, no? Noi eravamo abituati all’esame di coscienza col pagellino… c’erano delle espressioni che uno non è che capisse fino in fondo… ma l’esame di coscienza traduciamolo così: esame vuol dire fare l’esperimento; la co-scienza non è soltanto la scienza, si chiama co-scienza. E cos’è sta co-scienza? È ciò che accompagna la scienza. E cos’è che accompagna la scienza? Guarda, ti faccio vedere la faccia. Questa è la faccia dello scienziato [fa una faccia impassibile]: non sento né caldo né freddo, sono obiettivo; questa è la faccia della coscienza [faccia stupita]: sento che quello che ho detto è vero. La coscienza è il sentimento fondamentale, è il sentire fondamentale; fare l’esame di coscienza vuol dire fare l’esperimento del sentimento fondamentale, cioè vediamo se il mio sentimento fondamentale funziona o non funziona. Questo vuol dire fare l’esame di coscienza. E per vedere se il sentimento fondamentale funziona o non funziona, con che cosa lo confronti? Col negativo o col positivo? Col positivo. «Ma come? Se…» Nooo, col positivo! E nello spiegare cos’è la virtù o cos’è il peccato? Che cos’è la virtù! Perché il peccato vuol dire: “non fare così”. E dimmi cosa devo fare allora! Non fare così, non fare così, no, no, no. In logica dialettica il negativo ha una grande funzione ma non è esplicativo. Cosa sono io? Non ferroviere. È vero o falso? Verissimo, ma ti ho spiegato cosa sono? No. Non sono una palma, non sono un ballerino, guarda che vai all’infinito eh; fai prima a dire “sono un domenicano” e capisco. Per esplicare bisogna far vedere il positivo, ci si confronta col positivo, non col negativo, capite? E quindi lì si verifica davvero il sentimento fondamentale.

Allora questi quindici misteri del Rosario, che rappresentano i misteri della vita di Cristo, possono essere presi proprio dal punto di vista della profondità della ragione che riesce a vedere, secondo il capo, dentro questo frammento, che uno direbbe “bah”… C’è una densità incredibile, io me ne sono reso conto l’anno scorso “correndo” in biblioteca, sì, perché è vero che ho trascorsi agonistici, ma sono così trascorsi che nel 2013 sono stato capace di cadere e m’hanno operato due volte, il che voleva dire: Giuseppe basta. In biblioteca si corre anche al buio, non ci sono i gradini, non ci sono i cani, non devi rispettare il semaforo, 80 metri li fai 100 volte e intanto te dis anche il Rosario. E mi è venuta in mente questa cosa: ma guarda, ma lo sai che il Rosario ha proprio una struttura filosofica e uno può ricordare tutto e apprendere tutto? Già il semplice fatto che cominci con… primo mistero del gaudio? Lo stupore di Maria. E quinto mistero della gloria? La meraviglia del paradiso. Come comincia la Metafisica di Aristotele? Thaumàzein. Cosa vuol dire? Stupirsi. E nel dodicesimo libro della Metafisica, quando arriva a dire che “Ah finalmente abbiamo riconosciuto il pensiero di pensiero, o Theòs [Dio] eccetera”, come finisce? Thaumàzein, però si traduce in un altro modo: meraviglioso. Ma tu guarda: all’inizio stupore, alla fine meraviglioso; come il Rosario: primo mistero del gaudio lo stupore di Maria, ultimo mistero della gloria, il meraviglioso, incoronazione di Maria a regina del cielo e la gloria dei santi in paradiso, meraviglioso. Qui non puzza di bruciato, ma qui ci deve essere dentro tutta la filosofia. D’altra parte se sono i misteri della vita di Cristo, e in Cristo sono nascosti tutti i tesori… faccio finta di non aver sentito… E infatti non ho sentito niente!! “Tutti i tesori della sapienza e della scienza” [san Paolo, Colossesi 2,3], eh, vuoi che non siano dentro lì? E allora fammeli vedere; prendi questo frammento e fai vedere il suo pregio.

Dunque; il primo mistero è il mistero dello stupore, stupore è l’inizio della filosofia, lo stupore problematizzante è tipico del filosofo: “com’è possibile questa cosa?”. Non dice “perché?”, ma “come è possibile”, “non conosco uomo!”. Come è possibile? Questo stupore problematizzante è capace di curare l’accidia; sapete cos’è l’accidia? È un vizio capitale. Oh! bisogna saperli, eh! L’accidia è un vizio capitale. Sai quanta gente è toccata dall’accidia adesso? Il Damasceno… non con la M perché si offende… [Giovanni Damasceno, dottore della Chiesa] diceva che è la tristezza deprimente, la achedìa in greco vuol dire mancanza di cura, negligenza, incuranza, uno cui non interessa più niente, disfatto. È anche la depressione fisica, ma qui stiamo parlando di un vizio capitale, è una cosa che abbruttisce, assolutamente. E come si fa a curare l’accidia? Con lo stupore! Allora quando fai l’esame di coscienza non devi pensare se sei stato accidioso, devi dire: «Oggi quante volte mi sono stupito?». Se non ti sei mai stupito una volta non è una buona strada, ma se ti sei stupito almeno tre/quattro volte, stai sicuro che il sentimento fondamentale funziona. Qui a Milano quando c’è lo stupore dicono: «Eh la Madona!». Sapete come si è presentato il cardinal Biffi quando è venuto a Bologna? Geniale! Geniale, omelia in San Pietro: «Io sono della tribù dei salivari della Beata Vergine Maria, e tribu salivarum Beatae Mariae Virginis», e tutti vabbè, stavano un po’lì… E fa: «Ve lo dico nella mia lingua: en baüscia dela Madona». Quando uno si stupisce fa così. Se tu ti stupisci, sicuro che nell’accidia non ci sei e non ci cadi.

Secondo mistero del gaudio: visita di Maria a santa Elisabetta. Umiltà. Perché umiltà? «Ha guardato l’umiltà della sua serva», se c’è qualcosa da celebrare lì è il bello. E poi, se uno non ci fosse arrivato, c’è qualcuno che saltella nel grembo di Elisabetta, prova a immaginarti come si chiama… Giovanni il Battista! E perché saltella così? Dice: «Finalmente poi posso dire quello che sono venuto a dire». Cos’è venuto dire? “Riempite le gole e abbassate la superbia”. Cioè? Fate tutto tabula rasa perché si manifesti la gloria del Signore. Humilitas, quasi ab humi acclinis come vicino alla terra, humus [terra]; questa qui è un’etimologia un po’… Isidoro di Siviglia. Non ci becca sempre, però bellina. L’umiltà che cosa cura? La superbia. Dopo lo stupore ci vuole l’umiltà, se ti stupisce vuol dire che questa cosa non l’avevi mai vista, per cercare di capirla non devi dire: «Sì così, dai, figurati», no, no, bisogna cancellare tutto perché bisogna dire: «Questa non l’ho mai vista, sono così curioso che devo apprezzarla bene».

Terzo mistero del gaudio? Nascita di Gesù a Betlemme. Questa è dura, eh. «Gloria a Dio nell’alto dei cieli.» Gli angeli, i pastori i cammelli, le pecore, i re magi, che arrivan sempre tardi… c’è in tutti un trionfo di entusiasmo, perché? Dopo aver subito lo stupore della cosa che ignori e dopo aver fatto tabula rasa con umiltà, tu ti entusiasmi perché dici: «Forse è così» e proponi la tua opinione. Uno che propone la propria opinione è entusiasta. Che cosa cura l’entusiasmo? L’invidia! Intanto abbiamo già curato l’accidia e la superbia, adesso bisogna curare l’invidia. Un entusiasta non è invidioso, invidioso vuol dire che non vuol vedere la bellezza che c’è in qualche cosa d’altro. Ma l’entusiasta ti pare uno che non vuol vedere? Guarda l’entusiasta com’è fatto [parla freneticamente]: «Oggi siamo usciti, prima di tutto siamo andati a bere una bella aranciata, buona! Era aranciata amara, però era buonissima!!! Tutti gli amici ci han salutato, c’era anche l’amico di mio nonno, quello che era andato quand’era al parco… quella specie di… di… di… lo chiamavano parlamento, si chiamavano coi soprannomi, c’era Andreotti c’era La Malfa sì. Poi ci siam trovati dalla nonna, uè un po’ malata eh, però appena ci ha visti ci ha salutati era contenta anche lei…». Ti pare che uno così sia invidioso? Non c’ha mica tempo da perdere, questo qui era pieno da tutte le parti.

Quarto mistero del gaudio: presentazione di Gesù al tempio. Andiamo sul sottile qui, certo, perché quando uno è entusiasta è carichissimo, quando presenta la propria opinione, lui lo sa che è la sua opinione, è la sua, è così pieno, entusiasta che può fare anche il passo più lungo della gamba. Il filosofo è sempre così eh, per questo poi dicono: no, qui ci vuole il rasoio di Occam [semplificare per precisare] Bisogna essere precisi e per essere precisi non bisogna dire tutto tutto tutto. Senti, quello che devi dirmi, puoi dirmelo soggetto predicato virgola perché… almeno è circostanziato, sii preciso, no? Qui ci sono le circostanze delle precisioni? Ma certo che ci sono le circostanze delle precisioni: «E anche a te una spada trafiggerà l’anima, perché è venuto come segno di contraddizione». Calma e gesso qua. Come calma e gesso? Eh sì, bisogna riflettere profondamente per cercare di stringere tutto questo entusiasmo; occorre davvero la lima, rasoio di Occam, la precisione, e uno non è preciso se non è calmo. Che cosa cura la calma? L’ira. Accidia, superbia, invidia, ira… ci vuol la calma. Sapete cos’è la calma? Culla amabilmente la minima agitazione. Vi piace? Sapete cosa ho detto? CALMA. È l’acrostico di calma. Spiego: Culla Amabilmente La Minima Agitazione; prendete le iniziali e viene fuori CALMA. L’acrostico di calma, quando fai un acrostico ti porti via un discorso lungo in poco, sei stato preciso. Zac!

Ritrovamento di Gesù tra i dottori nel tempio, questo qui è proprio il caso di dirlo: eh la Madona! È bellissimo, è bellissimo, è la riflessione, e la riflessione cura l’avarizia. «Ma questa… figurati!» Avaro, avere, vuol dire: tengo tutto dentro, i soldi li nascondo sotto il materasso, i soldi nascosti sotto il materasso si chiamano carta, perché se non circolano è carta quella lì. Quindi bisogna far sì che si riflettano, perché se no è carta! «Eh tengo tutto sotto il materasso…» È carta, quella lì, devi farli girare! E quindi la riflessione cura l’avarizia, perché? Eh, Gesù tra i dottori del tempio riflette, è bellissimo, bisogna sempre andare con gusto dentro la lettura del Vangelo, perché a me quando c’è il diacono vestito da torero Camomillo che canta il vangelo… Biffi, il grande: «Padre Barzaghi il Vangelo lo si celebra spiegandolo, non incensandolo». Ah che Biffi non era mica un progressista. Bisogna spiegare il Vangelo perché è ricchissimo, è ricchissimo, e poi è carico di cose che… fa ridere, fa ridere. Leggete il capitolo sesto di Marco, è bellissimo. Bellissimo se siete capaci di andare a vedere i frammenti. Dopo aver spezzato i pani, raccolto eccetera, ai discepoli dice: cominciate ad andare avanti voi con la barchetta [con forte inflessione milanese] che pronuncia, eh… la barchetta. Andate avanti con la barchetta, e lui va a pregare, e dopo vede che c’è vento contrario e questi qui fanno una fatica… e decide di andare incontro a loro camminando sulle acque. Guardate, c’è un punto in cui dice: «Li raggiunse e voleva oltrepassarli». Ma mi dici perché? Li vede che sono in difficoltà, “vado là, già si spaventano perché mi vedono camminare sulle acque… in più mi faccio vedere Signore dell’universo”… Ma perché c’è scritto: «e voleva oltrepassarli»? Perché aveva voglia di ridere. Fai la conversio ad phantasmata [cioè “conversione alla fantasia”, operazione necessaria secondo san Tommaso per poter realizzare compiutamente la comprensione razionale] Questa qui è la barchetta [padre Giuseppe mima il Signore Gesù che oltrepassa la barca dei discepoli e li saluta sorridendo] mi dici cosa vuol dire? «E voleva oltrepassarli»… Voleva ridere… Dopo c’è tutta un’altra scena, ma quell’inciso lì non è… «Ah ma nooo, ma è una variante…» No! Se lo mettono lì vuol dire che tutti i [codici, cioè è una variante sicura] lo mettono… Salmo 2: «Se la ride chi abita i cieli, li schernisce dall’alto il Signore», che dice: «Eh adesso via, lo affrontiamo noi!!!». Sapete che quando dice: «Se la ride chi abita i cieli, li schernisce dall’alto il Signore», lì c’è un verbo che è mukterizo [in greco sbeffeggio, prendo per il naso]. Il muco che cos’è? Perché si chiama muco? Perché muktèr è la narice. Prova a immaginarti mukterizo cosa vuol dire. Quello che fanno i bambini, così: «Mmm mmm» [canzonando], vuol dire prendere in giro. Solo che non puoi dire nel Salmo: «Se la ride chi abita i cieli, mmm mmm dall’alto il Signore»… devi tradurlo, ma è così, vuol dire ridere, ridere. Perché è l’intelligenza, è il Logos che parla. Dicevo, questa presenza di Gesù tra i dottori del tempio, bellissimo, perché è la riflessione, è la disputa, è la disputa. Nel medioevo facevano le dispute; dopo la rivoluzione francese, nella bella stagione dell’Illuminismo si fanno i dibattiti civili. No, non lo faccio il dibattito civile, mi sono rifiutato perché quando c’è stato… non mi ricordo cos’era, il centenario di Darwin, l’Origine della specie, mi aveva telefonato l’Università di Ferrara per andare a fare il dibattito con un evoluzionista, sai, creazionismo/evoluzionismo, «tanto, la gente è ancora quello che è, al massimo vieni lì a dire così o così come si faceva nell’anfiteatro massimo, uno muore l’altro vince». «Ma uno va via com’è arrivato, non cambia opinione, io non la cambio, io non la cambio, non capisco neanche cosa c’entriamo tra di noi. È come andare allo stadio.» «Noo, non dica così», «Come? Guardi che dibattito vuol dire prendersi a pedate intensamente», «Ma no, è civile», «Peggio ancora, mi dice lei come uno fa a prendersi a pedate civilmente? Guardi, se lei mi fa un rutto elegante io vengo.» Si faceva la disputa, disputare vuol dire pulire le idee, pulire le parole, e Gesù tra i dottori nel tempio fa questa operazione, pulizia delle parole, no? Disputa. Questa disputa è la riflessione perché pulire le idee, pulire le parole vuol dire: ma guarda quante altre idee ci sono dentro queste idee, in questa parola, è bellissimo, è bellissimo. Uno non è più avaro. E Gesù lì dentro… sapete che questo passo è dove [Gesù] viene rintracciato… Non è un dogma, non è neanche sententia fidei proxima… Giuseppe, non era il caso di dirlo perché non mi pare che ci sia gente che vada a vedere il Denzinger-Schönmetzer [Enchiridion Symbolorum, qui citato con il nome degli autori, è un compendio di tutti i principali documenti del Magistero della Chiesa Cattolica, ordinati cronologicamente] per controllare se è una sententia fidei proxima o sententia communis o dogma. Comunque, quando si dice che Gesù aveva la scienza infusa, la scienza umana infusa, perché? Ricordate i verbi che vennero usati? Gesù… in mezzo ai dottori, non di fianco, già questo, è come quello del… ciao ciao alla barchetta, in mezzo ai dottori, e dice: «li ascoltava e li interrogava e loro restavano stupiti per la sua intelligenza e le sue risposte». Li ascoltava, eh sì, perché anche tu quando devi riflettere sulla tua opinione, che adesso hai precisato e poi è da presentare in una disputa, devi prima ascoltare quello che dice l’altro, poi proponi la tua, si puliscono le idee; e li interrogava, eperotao non vuol dire: «Scusate non ho capito, può ripetere?». Cosa vuol dire quella parola lì? Eperotao vuol dire fare l’inchiesta, cioè voleva vedere se lo sapevano o non lo sapevano; ecco perché loro restavano stupiti per la sua intelligenza. C’è scritto sunìemi [metto insieme], la sùnesis è la capacità di congetturare. Metti insieme, dovrebbe essere così, ci vuole una bella mente per mettere insieme cose diverse e riuscire a trovare qualcosa che accomuna. «Per la sua intelligenza e le sue risposte»: prova a indovinare chi faceva le domande. Se è Gesù che risponde, era lì che faceva le domande per sapere o erano i dottori che facevano le domande a lui per sapere? Lui dava le risposte. Comunque è bellissimo. Per gli studenti van benissimo, questi quattro verbi, quando uno deve studiare vuol dire riflettere su quello.

Misteri del dolore, sono dolorosi, però sono molto istruttivi. Primo mistero del dolore è l’agonia di Gesù nell’orto. Agonia, se si chiama così, agonia, vuol dire che lì c’è un agone, che non è l’accrescitivo di ago, agone noi lo associamo ad agonismo, lotta. L’agonismo precede il cimento, «Uh quante parole!». Si dice o non si dice “cimento agonistico”? Sì. Se si dice cimento agonistico ci sarà anche il cimento non agonistico. Quindi il cimento non è mica l’agonismo? L’agonismo precede il cimento, avete mai visto i saltatori in alto? Guardano l’asticella e mentalmente fanno così [mima il movimento di prova del salto] quello lì è un gesto agonistico, dopo c’è il cimento. Agone, lotta. Gesù nel Getsemani entra nella sua lotta, agone. Suda sangue. Agone. L’agonista è quello che dà l’anima, è il motivo per il quale poi noi diciamo che una persona è “in agonia” perché sta per dare l’anima. Quindi il vero agonista è colui che è in agonia. Quello lì è un “analogato principale” [analogatum princeps, è il termine in cui si realizza perfettamente ciò che è espresso dal concetto]: il moribondo è l’agonista, poi tu apprezzerai il vero agonista quando vedi che attraversa il traguardo che è sfatto! Il maratoneta Dorando Petri l’han portato i giudici così [sostenendolo per le ascelle] perché non ce la faceva più. Quello lì è l’agonista. Perché se uno arriva e fa: «Non ho sentito né caldo né freddo» seeee… Entra nel suo agone, e l’agonia, il combattimento, la lotta che cosa cura? La gola. «Uh la gola…» Guarda che la gola non è soltanto una faccenda gastronomica, un goloso è uno che è a caccia di informazioni ma non è capace di mettere insieme per congettura, comincia a essere distanziato da quello che faceva Gesù tra i dottori nel tempio. Congetturare vuol dire mettere insieme e dare la soluzione, no? Io ho degli studenti che son golosi, leggono di tutto – legge, legge, capito niente, come mai? Perché non ha assimilato. E per assimilare non si deve essere golosi, se ti viene il mal di pancia rifiuti quella cosa lì, no? La gola, la gola abbiam già visto, farinx, faringe. Quando Giovanni Battista dice «Siano abbassati i colli», dice sia abbassata la presunzione, e «siano riempite le gole», non le valli, le gole. Cioè, non sarà più permesso [dire]: «Ma qual è la tua opinione su Gesù? Secondo te chi è Gesù?» [Risposta] «Mah, uno dei profeti, Elia oppure Giovanni Battista», «Qualcun altro dei profeti». Ricordatevi che Gesù chiede ai discepoli: «Chi dice la gente che io sia?». Cioè non sei Gente Motori eh! Secondo voi, «chi dite che io sia?» In un colpo solo Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!». E non ottiene neanche un complimento, neanche mezzo, anzi lo offende. Lo celebra e lo offende nello stesso tempo, perché gli dice: «Beato te, Simone» – quindi non “bravo” – «perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato» – cioè: la tua intelligenza non ci sarebbe mai arrivata – «ma il Padre mio che è nei cieli». «Urca, ma l’ho detta giusta…!», Eh sì, ma per dirla giusta su Gesù o sei trascinato a Gesù dal Padre o tu lì non ci vai. Vi ricordate la disputa coi giudei? «Lo so che non mi credete, non siete da Dio, è per quello che non mi credete, nessuno può venire a me se non è trascinato a me dal Padre mio». Quindi questo qui è l’agone, contro la gola.

Flagellazione di Gesù, questo è il dolore. Il dolore, la contrapposizione, l’esclusione. Il dolore che cosa combatte? La lussuria. Eh la lussuria, qui adesso… Lussuria noi l’associamo sempre alla dimensione sessuale ma non è mica solo la dimensione sessuale. La lussuria… foresta lussureggiante = vietata ai minori di 16 anni. Foresta lussureggiante vuol dire che è scomposta! La scompostezza vuol dire! La scompostezza. Spalla lussata… fuori posto. Svincolata vuol dire … quando te la mettono a posto… svincolata. Viene da luo, vuol dire svincolare, sciogliere. È il primo verbo che si studia quando si fa la quarta ginnasio: luo, lueis, luei, luomen, luete, luusin; lueton, lueton il duale… ci piaceva il duale! (p. Giuseppe dice la coniugazione del verbo greco all’indicativo presente). Questa è la scompostezza, no? Uno può essere scomposto in tanti modi, no? C’ha la macchina…! Adesso non mi ricordo bene com’era la classifica, mi pare XL, adesso non vorrei sbagliarmi non è che io sia un esperto di automobili, io chiedo cosa vuol dire… fa: «Superlusso». «Ma a cosa serve il superlusso?» Appena ho chiesto a cosa serve il superlusso… «Mah non lo so a cosa serve, però sai!… lusso!» Sì ma a cosa serve? È come fare una macchina che in 12 secondi raggiunge i 180 orari. «Ma non c’è il limite di velocità? Mi dici a cosa mi serve 12 secondi/180 orari? Poi ci sono gli incidenti… Ma non facciam prima, guarda, super lusso gli facciamo la macchina con la carrozzeria d’oro, però tu quella tavoletta lì… si chiama così, schiacci… massimo vai a 120». «Nooo, non si può impedire…», «Scusa, e sull’autostrada non c’è il limite di velocità? Non te lo impediscono? Non fan prima a dire “Guarda, se schiacci più di così non va”» Si fa prima, no? Anzi non è neanche un’imposizione perché è la macchina che non fa più di così! Capite, che è la scompostezza.

E poi? L’incoronazione di spine. L’incoronazione di spine? E questa è bella. Bella perché l’incoronazione di spine è la derisione. Noi dimentichiamo che se han messo le spine vuol dire che volevano deriderlo. Gli han messo la corona, il manto rosso, lo scettro in mano, il bastone… Era la derisione. Avevano già cominciato a deriderlo quando erano a casa del sommo sacerdote, quando lo bendavano gli davano una sberla e dicevano «Prova a indovinare chi è?». L’amico che si nasconde e te la fa alle spalle. La derisione è contro l’impugnazione della verità conosciuta. Ah l’impugnazione della verità conosciuta: qui già entriamo nell’ordine dei peccati contro lo Spirito Santo. Anche qui bisogna fare un bell’elenco perché… rubare la marmellata col dito, non è che sia proprio una roba… ma impugnazione della verità conosciuta vuol dire non riconoscere la divinità di Gesù eh, ostacolare a tutti i costi perché è impossibile… oppure Cristo sì, Chiesa no, Gesù come uomo sì, Gesù come Dio no. Questa qui è impugnazione della verità conosciuta. Ed è la derisione. Però qui la derisione dobbiamo prenderla in questo senso: dobbiamo essere capaci di deridere chi deride la verità, essere capaci di deridere chi deride la verità. Isaia, deludere chi ti vuole illudere, deludere chi ti vuole illudere. Delude E Ribalta Ironicamente Sofismi Irridenti Oscurandoli Nella Eccellenza. Avete capito cosa ho detto? È l’acrostico di derisione. Gesù fa così, eh. Abilissimo! Questa qui è da ridere, ve la devo dire, non sto più nella pelle: avete presente quando Gesù è nel Tempio, lì coi sacerdoti: «Con quale autorità fai queste cose?» «Tu dici così a me?» Questo, drammatizzando, è Gesù… Tu vieni qui a dire a me così? Tu la fai a me, io la faccio a te; tu deridi me, io derido te. Però guarda che devi essere capace di capire che ti sto deridendo, perché quando te ne sarai accorto, che ti ho deriso, sai che figura di… cioccolato fai? Perché? Guarda come ragiona lui: «Se voi rispondete a me, io rispondo a voi» Vedi che comincia a dire, se voi la fate a me, io lo faccio a voi. E qual è la domanda? Una poesia per il logico: dilemma cornuto, si chiama così! Vuol dire che qualsiasi risposta tu dia, sbagli sempre. Non erano scemi, eh, quindi avevano capito. «Il battesimo di Giovanni veniva da Dio o veniva dagli uomini?» E il commento è: «Se rispondiamo “Da Dio” lui ci dirà “Perché non gli avete creduto?”; se rispondiamo “Dagli uomini” abbiamo contro la gente che ci dice che Giovanni Battista è mandato da Dio… quindi l’unica soluzione possibile è “Non lo sappiamo”». E qui ti aspetteresti da Gesù: «Anch’io non lo so», e invece lui risponde: «E io non te lo dico»! Guardate che è bellissima questa cosa! Gli chiedono: «Con quale autorità fai queste cose?». Salto i passi intermedi. «Con quale autorità fai queste cose?». Lui risponde: «Io non te lo dico». Cioè: “sono io l’autorità, io posso permettermi di dirtelo o di non dirtelo. E io non te lo dico. Hai capito chi è l’autorità?”. «E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo». Che figura… rossa. Tutti rossi. E andarono via. Quindi la derisione contro l’impugnazione della verità conosciuta.

Salita di Gesù al calvario. Eh, salita di Gesù al calvario, anche questo è meraviglioso. Salita di Gesù al calvario: da un punto di vista della filosofia… vi ho tralasciato qui la parte che riguarda… si sviluppa qui la filosofia, è tutta logica, però questo qui è già un passaggio perché è un sofisma questo. Salita di Gesù al calvario così è l’imposizione. L’imposizione è mistero, mistero perché è contro l’invidia della grazia altrui. Anche questo qui è un peccato contro lo Spirito Santo. Invidia della grazia altrui: «No, è impossibile che questo qua abbia la grazia. Lo sa, lui, che non ce l’ha». Come fai a dirlo? Perché? Provate a pensare la scena: i romani avevano appena finito di massacrarlo di botte, lo devono portare a crocifiggerlo, cioè alla morte, come mai tutto ‘sto… cià, facciamo portare la croce a un altro. Ma perché? Cioè questa cortesia da dove salta fuori? Chi era nemico… non capisci… chi era nemico sta diventando amico, non si capisce più niente… E quello cui viene fatta portare la croce è uno di Cirene. Cosa ci entra uno di Cirene? Non c’entra proprio niente, eh! Cirene? Lo sapete chi era Aristippo di Cirene? Secoli prima, era stato il fondatore di una scuola che avrebbe anticipato l’epicureismo. Il loro dogma fondamentale – si dice così, dogma, di una scuola – era “il bene è il sommo piacere”. «Che cos’è il bene?» «Il sommo piacere.» Adesso io non sto dicendo che Simone di Cirene veniva a scuola, alla scuola di Aristippo di Cirene, ovviamente. Sto facendo la anagogia. E mi dico: ma tu guarda, ma chi sono andati a beccare per far portare la croce di Gesù. Un cirenaico. Ah già, Gesù non aveva detto: «Prendete sopra di voi il mio giogo perché il mio carico è dolce»? E chi poteva mostrare che era il massimo della dolcezza se non uno che veniva da Cirene? Sta portando la dolcezza. Capite? Ma è una cosa incredibile, ma guarda cosa c’è dentro anagogicamente. Anagogicamente!

Morte di Gesù in croce: decomposizione. Non capisco più niente. Prima stai facendo l’ostacolo, l’opposizione, ci si capiva, tu stai qua, io sto là. Dopo comincia a capovolgersi tutto, chi era nemico diventa amico, l’estraneo è intraneo. Uno non capisce più… Niccolò Cusano: si sfaldano tutti i concetti… anche in Tommaso d’Aquino eh… e ci sono dei testi in cui dice: «Quando noi cominciamo a pensare in Dio dobbiamo togliere di mezzo la stessa idea di Dio, perché un conto è Dio, un conto è l’idea di Dio. E ora ci rimane soltanto di poter dire che “è”, ma non “è” nello stesso modo in cui sono le creature». E allora? Eh, bisognerebbe in qualche modo citare san Bonaventura: Moriamur igitur et ingrediamur in caliginem, moriamo ed entriamo nella nebbia. Eh, nella nebbia non si capisce più niente. Puro affidamento. È la fiducia, no? O l’abbandono col quale noi contrastiamo il nostro esame o esperimento del sentimento fondamentale: la disperazione di salvarci. Uno può disperare di salvarsi. E uno deve abbandonarsi. Perfetto abbandono. Nel perfetto abbandono siamo già alla divinizzazione. Avete presente la risacca, l’onda? L’onda per far così [mima il movimento dell’onda che va sulla riva] prima fa una discesa [mima il movimento del tornare indietro dell’onda prima di ributtarsi in avanti] è la risacca, però prima c’è l’abbandono e poi c’è l’assalto. Questa è la risacca, questo è il perfetto abbandono, l’abbandono contro la disperazione di salvarsi.

Risurrezione di Gesù da morte? La presunzione di salvarsi senza merito. Ah sì, anche questo è un peccato contro lo Spirito Santo. Presunzione di salvarsi senza merito. Perché la Risurrezione? Perché è l’oltrepassamento. L’oltrepassamento, il modo con il quale… se fino adesso abbiamo ragionato sulle cose del cristianesimo come se fosse una religione, adesso non sono più come una religione. Questa qui è vita divina donata all’uomo. E quindi bisogna oltrepassare, sempre essere in oltrepassamento. La Risurrezione è questo.

Ascensione di Gesù al cielo. Bisogna ricordarlo tutto il dogma, eh. Ascendendo al cielo ha riempito di sé tutte le cose. Tutto è pie-no. Capisci cosa vuol dire “tutto è pieno”? Horror vacui, paura del vuoto. Se tutto è pieno… dov’è sto horror vacui? Tutto è pieno! Ah ‘sto sentimento fondamentale. Tutto è pieno. Che cosa combatte questo? L’ostinazione nel peccato. Perché? Eh sì. Peccato è defectus, peccato è difetto, vuol dire che non c’è la pienezza. Se uno fa l’esperienza di ciò che è pieno, ti pare che sta lì e insiste sul peccato? Il peccato è defectus… ma bisogna anche intendere che tutto è pieno. Salendo al cielo ha riempito di sé tutte le cose. Tra l’altro peccato viene da piede. Se io ti tiro l’orolog… no, l’orologio no. Una volta stavo predicando in San Domenico… sai, il gesto del predicatore [rotea le braccia gesticolando] mi si è infilato l’indice, qui [indica la tempia], mi son partiti gli occhiali… la prima panca davanti han fatto come… sai all’arrivo, quando arrivano butti i fiori… Uno… così sciaff [mima le mani levate che afferrano un mazzo di fiori al volo] li ha presi… però poi non ho potuto più metterli perché me li ha fracassati. Vabbè allora capisci che quando uno pensa al defectus, è la mancanza, viene da piede. Mancato. Se ti tiro gli occhiali e tu non li prendi dici «No! Mancato!». Perché mancato? Perché viene da manus (la mano). Peccato viene da piede (pus, podòs = piede). “Correvate così bene, o stolti Galati, chi è che v’ha fatto lo sgambetto?” [ripresa libera di Galati 3,1]. «Correvo con le mani…» E tu corri coi piedi, no? Quindi se uno ha tac un mancamento, tacchete… come è capitato a me, m’ha spaccato tutto… Ho messo male il piede, no? È questo qui il peccato. Dice: «Oh, peccato! Potevi fare il record!». «Devo andare a confessarmi?» «Ma no, hai messo male il piede in partenza…» Peccato è il difetto. Se uno fa l’esperienza del segreto fondamentale per cui tutto è pieno, sicuro che si allontana sempre di più dal defectus. Abbiamo sempre questa cedevolezza, eh. Ma per ritogliersi bisogna mirare a ciò che è pieno, al positivo.

Discesa dello Spirito Santo = coinvolgimento massimo. Discesa dello Spirito Santo è il sentire, il sentire, contro l’impenitenza finale. Sentire. Il sentimento è una cosa buona. Sentire è una cosa buona. Sentenza vuol dire: «Mah… mi è venuto così»? «Come, ti è venuto così?» Quella lì sarà un’emozione. La sentenza viene da sentire, la radice “sen”, vuol dire direzione univoca. Se questi qui, vista udito tatto, si chiamano sensi è perché sen vuol dire direzione. Con gli occhi possiamo percepire i rumori, i sapori? No. Che cosa percepiamo con gli occhi, la vista? I colori! E con l’udito vediamo i colori? No. E che cosa? Solo e soltanto i rumori. Unidirezionali. Per questo si chiamano sensi. La sentenza, il sentire. Sentire. Quando il Papa è andato sulla spianata del Tempio … bellissimo, ah m’ha emozionato quella cosa lì perché… mi sono commosso perché ha detto, perché di solito si dice: «Badiamo a ciò che ci unisce e non a ciò che ci divide» … (fa un gesto di insofferenza) io insegno [Filosofia] Teoretica, se uno viene da me a dirmi sta roba qua, gli dico: «Siamo in cammino verso la casa del Padre». … Eh no, dice: «Cerchiamo di sentire il dolore dell’altro». Magnifico. Cerchiamo di sentire il dolore dell’altro. Questo è istruttivo, questo qui è profondo. È un giudizio dettato dal sentire.

Assunzione di Maria in cielo = la sensibilità. Sono finiti sia i vizi capitali che i peccati contro lo Spirito Santo. E bisogna celebrare la sensibilità. La sensibilità non è più il sentire. La sensibilità è… ricordarsi il dogma, eh… assunta in cielo in anima… [la platea risponde] «… e corpo». Quindi il corpo. Il corpo è la sensibilità. Uno non può pensare: “No, sono temperante, non sento”. Guardate che l’insensibilità è un vizio. La temperanza è temperare, vuol dire coltivare perché la sensibilità sia sempre più raffinata. La sensibilità. San Tommaso dice una cosa straordinaria: quelli che hanno un tatto molto sensibile sono i più nobili d’animo e i più perspicaci secondo la mente. Immaginarsi… uno dice: eh materialista… No, è così, è così! Quindi l’assunzione di Maria Vergine in cielo è la celebrazione della sensibilità anima e corpo, tutto è pieno e si manifesta in questa che è la sensibilità. Faccio sempre questo esempio perché mi piace ricordare anche l’asilo: ti ricordi quando eravamo alle elementari, all’asilo, c’erano i bambini che non erano proprio [mima una certa scaltrezza], insomma, e invece noi… cioè facevano fatica, noi… facevano un po’ fatica, non erano proprio… E c’era una bambina che era fatta così, faceva un po’ fatica. Gli altri giocavano e lei stava lì come… affaticata, no? Oh, una volta… siccome noi facevamo le gare a chi mangiava il formaggino più velocemente, son stato male anch’io, pazienza… uno è stato male. Chi si è accorto? Lei! È andata dalla suora così [mima il gesto di tirare la suora per la veste]: «Sta male, sta male. Non sta bene». L’ha portata lì e stava male. Noi giocavamo. Lei che non giocava perché «dai lascia stare tu che non capisci niente, dai andiamo avanti noi, chi c’è c’è, chi non c’è non c’è…». Lei aveva una sensibilità che l’ha portata al giudizio. Quello del Papa era un giudizio legato al sentire, qui abbiamo la sensibilità che porta al giudizio. Come quando diciamo: «Come stai?», vedi che è una sensibilità che porta al giudizio. Non è un giudizio che ti spinge a sentire, eh. Questo è bellissimo.

E poi, meraviglioso, il Paradiso. Il Paradiso è la dià [greco = attraverso], positio, posizio [latino = posizione]: vedere una cosa attraverso un’altra perché Dio si manifesta in tutte le cose del Paradiso. È là. Eh, se è là non è mica qui. Dio tutto in tutti, Prima lettera ai Corinzi, Dio tutto in tutti. E quindi il meraviglioso è il modo con il quale noi riusciamo a curare la nostra mancanza di commozione, compassione e consolazione. Perché il Paradiso è la consolazione. Beati gli afflitti perché saranno consolati, vuol dire che il Paradiso che è la beatitudine, è la consolazione. Questo qui è il massimo. E uno non potrà più dire: «Ma perché è così?». Mi sono stupito all’inizio, spaventato perché non capivo. Adesso torno indietro, non dico che l’ho capito, ma dico: «Questo qua è meraviglioso, è meraviglioso, non spiegarmi il perché, so che è così ma non so dirti il perché è così». E meno male che non so dirti il perché è così. Perché sono perfettamente coinvolto con la vita divina. Questo è meraviglioso, il Paradiso.

Capite cosa c’è nascosto dietro il rosario?

Si dice GRAZIE. No, non è necessario aggiungere “Giuseppe”, basta “grazie”. Giuseppe Ritorna Ancora Zoppichiamo In Etimologia. Cos’ho detto? GRAZIE!