Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (…) #monasteroWiFi

CATECHESI 7 FEBBRAIO 2022 Battistero di S.Giovanni – MonasteroWiFi

di Don Giuseppe Falabella

C’è un’espressione nel Catechismo, che già avete incontrato nei precedenti incontri, che parla della preghiera preghiera in questi termini:

«una relazione viva e personale con il Dio vivo e vero».

Si tratta del n. 2558 del CCC in apertura della IV parte dedicata al tema della Preghiera su cui vi siete già soffermati  nei 3 incontri precedenti

Mi sembra una sintesi molto bella ed efficace dalla quale riprendere le fila del discorso:

  • da un lato, infatti, la preghiera è già relazione: avviene in forza di una relazione con Dio con il quale si tratta ora di entrare in dialogo. Questo aspetto lo avete già affrontato e credo che con don Pierangelo abbiate già fatto un excursus sulla Scrittura, su come il tema della preghiera riaffiori attraverso i diversi testi e le vicende narrate tra l’Antico e il Nuovo Testamento;
  • si tratta di una relazione viva, in forza di un incontro che accade nell’oggi: è nel presente, nell’oggi della mia vita che incontro il Signore Vivo e Vero;

– Si tratta inoltre di un incontro personale  perché nella vita che vivo oggi Egli mi tocca personalmente; non come vorrei che la mia vita fosse, in condizioni e situazioni diverse da quelle che sto attraversando, ma nel mio vissuto concreto, reale; una relazione personale perché coinvolge me, con tutta la mia vita, in relazione a un Tu! Ed è questo Tu, Dio stesso, che interviene nella mia vita, che prende l’iniziativa e mi viene incontro;

– Lui che è Dio vivo in mezzo a noi: lo ha detto che sarà con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo (cf. Mt 28,20) e ci ha donato il suo Spirito, che è la Sua presenza nella nostra vita, il Suo Amore (Amore tra il Padre e il Figlio, amore del quale ci rende e ci chiama ad essere partecipi); Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, Dio Vivo e Vero, come ci è stato rivelato.

– Dio vivo e Vero. Ed ecco allora sorgere una domanda: siamo sicuri che la nostra preghiera sia davvero preghiera per come l’abbiamo iniziata a tratteggiare, o a volte rischiamo di cadere piuttosto in un monologo se non in un soliloquio? Il tema della verità della preghiera, e della relazione con il Dio vero, tocca anche un’altra questione, che possiamo solo accennare, quella della contaminazione culturale in corso anche nel contesto odierno in cui viviamo, in forza del quale, con troppa facilità a volte tendiamo ad attingere anche da altre esperienze religiose, e filosofiche, con poca consapevolezza, senza aver prima valutato bene se è cosa adeguata e opportuna (rischio di sincretismo); già solo considerando che si tratta spesso di pratiche che sottendono un’antropologia e una teologia diversa dalla nostra, e diverso è il modo di intendere quindi il rapporto con Dio. Talvolta in alcuni “modi di pregare”, non c’è neanche una relazione con Dio – per come l’abbiamo intesa poc’anzi e andremo meglio a vedere – ma piuttosto un perdersi in una perfezione che dice il distanziarsi da una realtà materiale intesa come degradante; cosa che non avrebbe niente a che fare con la nostra fede, per la quale Dio si è fatto carne e ha ritenuto la tua storia, la tua vita, la tua umanità, la tua fragilità degna si essere assunta, tanto da averla presa con sé (incarnazione/redenzione).

(Ciò non toglie ovviamente l’opportunità, la necessità e il bisogno di un dialogo interreligioso, che segue però precisi criteri e suppone due o più identità distinte che si incontrano)

D’altra parte tutta la nostra vita può essere vissuta come preghiera, può farsi preghiera. Si parla in tal senso di preghiera continua.

”Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per amore di Dio”, ci ricorda la prima lettera ai Corinzi (1Cor 10, 31)

Posto questo pero, è pur vero che se non inizio a fermarmi un attimo… non va per niente bene, e tutto questo rischia di rimare solo una bella idea. Ed è qui entriamo nella lotta e nel combattimento:

se voglio pregare, alla fine dovrò accettare di trovare un tempo preciso da dedicare alla preghiera, un tempo di gratuità, di dono.

Il Catechismo precisa che si tratta di imparare a pregare. Certamente, se è vero che per imparare a vivere dovrò vivere, così anche nella preghiera, per imparare a pregare dovrò pregare, semplicemente. Ma d’altra parte, per quanto ci sia dentro di noi un desiderio grande di aprirci a Dio, un desiderio direi costituivo, in quanto tutti siamo certamente “in ricerca di”, pur tuttavia il Catechismo ci invita ad entrare in un solco, in quella che esso chiama esplicitamente la Tradizione.

 

Che cos’ è questa Tradizione?

Già al sentirla questa parola – Tradizione – potrebbe indurre una certa “mancanza d’aria”, e qualcuno potrebbe sentirsi un po’ incastrato: “ma come?”, “e lo Spirito Santo allora?” “Non si sa da dove viene e dove va?” (Cf. Gv 3,8).

È vero, ma c’è da chiarire cosa intendiamo veramente per Tradizione? Cosa è che entra in gioco con questo parola? Si tratta di quanto è stato rivelato da Dio in tutta la Storia della Salvezza, a partire da tutte le figure attraverso cui ha parlato al suo popolo (patriarchi, profeti, …) e nella pienezza dei tempi in Gesù, ed in Lui è stato tutto ricapitolato (cf. Ef, 1) ed è stato poi trasmesso a tutte le genti attraverso gli apostoli, ai quali viene affidato l’annuncio del vangelo. E questa trasmissione avviene in forma orale e scritta, come sappiamo, e continua ancora oggi attraverso i successori degli apostoli, i vescovi e i loro collaboratori (presbiteri, diaconi) e religiosi, consacrati… e in modo del tutto peculiare e preziosissimo, attraverso tutti i cristiani fedeli laici e, tra questi, mediante tutti coloro che in modo speciale sono chiamati a svolgere questo ministero, per esempio nell’insegnamento, e nella predicazione.

Per cui …, a ven vedere sta accadendo anche in questo preciso momento!

Ossia, quando parliamo di Tradizione, intendiamo la fede per come ci è stata trasmessa fin da principio, nella fedeltà all’insegnamento apostolico (e l’apostolicità è  uno dei tratti specifici della nostra professione di fede).

Dice il Concilio:

«Affinché il Vangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, gli Apostoli lasciarono come successori i Vescovi, ad essi “affidando il loro proprio compito di magistero”». (Dei Verbum, 7)

Quindi: “Affinché il Vangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa” è importante “mantenere integra la predicazione apostolica fino alla fine dei tempi, ossia mantenere integro quanto da loro attinto all’esperienza personale  e comunitaria di Cristo (attraverso il suo insegnamento e il suo esempio) e a quanto lo Spirito Santo aveva permesso loro di apprendere e comprendere nel corso della loro esperienza vissuta nella fede, nell’incontro con Dio.

Questa trasmissione viva è chiamata propriamente Tradizione, “con la T maiuscola” – come si suole dire -, per distinguerla dalle tradizioni locali (con la t minuscola e al plurale). In quest’ultimo caso infatti si fa riferimento alle forme particolari che questa Tradizione ha poi assunto nei diversi luoghi e nelle diverse epoche, entrando a contatto con le diverse culture, usi e costumi dei popoli a cui è stato annunciato il vangelo. Queste tradizioni particolari, diversante dalla Tradizione, nel corso del tempo possono essere conservate o abbandonate, a seconda della loro adeguatezza o meno alla comprensione unitaria del dato di fede, sotto la Guida del Magistero ecclesiale. (Si tratta di tradizioni teologiche, disciplinari, liturgiche o devozionali). (Cf. CCC 83).

Tornando più da vicino al nostro tema della preghiera, il catechismo ci dice che per imparare a pregare non bisogna ogni volta improvvisarsi ma c’è una Tradizione alla quale poter attingere, o alla quale riferirsi per aver un parametro, per esser certi che la mia preghiera sia davvero preghiera della Chiesa e a garanzia che io stia parlando a e con Dio!

Ed è così che – citando il Concilio Vaticano II – si apre la sezione del catechismo in cui stiamo entrando questa sera:

«È attraverso una trasmissione vivente (la santa Tradizione) che lo Spirito Santo insegna a pregare ai figli di Dio, nella Chiesa che crede e che prega». (CCC 2661)

Insomma, si tratta di apprendere a pregare dallo Spirito Santo che abbiamo ricevuto e che prega in noi, nella Chiesa!

Perché è così importante? Perché è in gioco la mia, la tua, la nostra Salvezza;  perché questo solco è anche una sorta di vettore: indica anche una meta e una strada in cui poter camminare insieme alla Chiesa. Non sapere dove sto andando, sarebbe molto rischioso.

«Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e custodiscono le cose che vi sono scritte: il tempo infatti è vicino» ricorda il libro dell’Apocalisse (Ap. 1,3).

E allora il fatto che i primi cristiani fossero perseveranti nell’insegnamento degli apostoli, nella comunione, nello spezzare il pane, nelle preghiere, dice qualcosa di molto importate per noi oggi. Ricorda la Commissione Teologica Internazionale in un documento del 2011, come in quelle parole degli Atti venga «già tratteggiata un’anticipazione dell’insegnamento della vita sacramentale della Chiesa, della sua spiritualità e del suo impegno nella carità e questo rimanda ad uno stile di vita nello Spirito che propriamente è la Tradizione apostolica». (CTI, La Teologia oggi: prospettive, principi e criteri, n. 25 (29 novembre 2011)

E questo è un primo punto molto importante, tanto che tradizionalmente si è soliti  ricordare come il modo di pregare (lex orandi) dica tanto del nostro modo di  credere (lex credendi) e tanto anche del nostro modo di vivere (lex vivendi). Tutto questo ci da’ una chiave di lettura importante con cui guardare alla nostra vita: perché come prego è suscettibile di illuminare anche il come credo e come vivo e viceversa, secondo un rimando continuo di quelli che sono tre aspetti essenziali della stessa Tradizione.

Capiamo allora perché è importante questo riferimento alla Tradizione anche per la nostra preghiera, e perché allora identificare la parola Tradizione con “cose vecchie”, “vetuste”, “pesanti”… sia fuorviante. Il “si è sempre fatto così” – a cui il Santo Padre fa spesso riferimento mettendoci in guardia – non è a questo livello che va superato. La Tradizione di cui stiamo parlando qui in realtà è il presupposto, l’humus per una reale creatività che rimane indispensabile!

Vi racconto un piccolo aneddoto che forse può aiutarmi a rendere concretamente cosa intendo: più di venti anni fa, mi trovavo nell’aula Nervi (Aula Paolo VI) in Vaticano in occasione della Preghiera degli Universitari organizzata dall’Ufficio per la Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma. Considerate che l’Aula Paolo VI è molto grande e arriva a contenere fino a 12.000 persone. Eravamo in attesa dell’arrivo del Santo Padre. La sala era stracolma di studenti, docenti, e le loro famiglie provenienti da diverse parti d’Italia; c’era anche una grande orchestra formata dagli allievi dei Conservatori italiani coinvolti per l’occasione e un Coro formato dall’unione di diversi cori universitari italiani … potete immaginare quale vociare poteva esserci in Aula mentre tutti prendevano posto! E di lì ad una mezzora circa sarebbe arrivato il Santo Padre. Invece di stare lì a dire “Sshh, per favore, silenzio, un attimo, sta arrivando il Santo Padre…”, o provare a fare proclami e quant’altro, a un certo punto il Maestro del coro, senza dire nulla, chiese ad una cantante di intonare una Antifona mariana, in canto gregoriano: non credo che fossero molti a conoscere il gregoriano eppure, in un attimo, dopo le prime note del canto quel vociare si è rarefatto e al termine della breve melodia dodicimila persone erano entrate in un clima di silenzio e di preghiera, con molta naturalezza.

Non potremo sempre utilizzare il canto gregoriano o la polifonia antica in tutte le nostre celebrazioni, e forse non è sempre adeguato a quel determinato contesto celebrativo, o ad ogni occasione e situazione. Però il canto gregoriano rimane il canto della liturgia romana, preghiera viva e vitale, che porta con sé una ricchezza preziosa che molti documenti del magistero riconoscono (cf. Per esempio Musicam Sacram, 50; Sacramentum Charitatis, 42) e sanciscono nella sua valenza liturgica (oltre che essere alle radici della musica occidentale). Ma ciò che è davvero importate per noi, e che risuona insieme ad una monodia gregoriana o ad una polifonia antica, pur senza tante spiegazioni, è piuttosto uno stile dello Spirito.

Quella monodia risuona dell’azione dello Spirito nella Chiesa e chi compone musica per la liturgia oggi (mi risulta) non è chiamato tanto a fare musica come si faceva in passato – il che sarebbe anacronistico – quanto piuttosto a far tesoro dei criteri propri della musica per la liturgia, e sottesi a quella monodia o alla polifonia antica[1].

Mi viene in mente una frase che ho sentito spesso citare, attribuita a Gustav Mahler musicista, compositore e direttore di orchestra del secolo scorso, che mi sembra significativa al riguardo:

”La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”

È una citazione “fuori contesto”, nel senso che tocca un dibattito più ampio nel rapporto tra tradizione e modernità, ma credo sia efficace e, parlando di “fuoco”, per noi che stiamo parlando dello Spirito Santo e della preghiera, credo risuoni non poco!

Il Catechismo a questo punto mette in guardia dal pensare che la preghiera possa semplicemente scaturire da un’impulsività, che si riduca allo spontaneo manifestarsi di un impulso interiore. Si tratta invece di un atto squisitamente umano, e ne va anche dello spessore della nostra umanità; come ogni atto propriamente umano, richiede anche una consapevolezza e una libera scelta. Al tempo stesso può essere fuorviante pensare che tutto dipenda dalla mia volontà perché, l’abbiamo detto prima, si parla di una relazione, dell’incontro tra due libertà: la libertà infinita di Dio e la libertà finita dell’uomo [Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica su alcuni spetti della meditazione cristiana (15 ottobre 1989) n. 3].

Poiché, dicevamo, si tratta di apprendere, per così dire, lo stile di vita nello Spirito , invochiamo anche noi lo Spirito Santo, per come la Chiesa ci insegna a fare:

Vieni Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce (…)

 

Le sorgenti della Preghiera (nn. 2652-2658)

Con l’invocare lo Spirito Santo siamo giunti alla parte del Catechismo che riguarda le Sorgenti della preghiera: è in questi termini che ne parla il Catechismo. Già negli incontri precedenti vi hanno probabilmente citato questo modo di dire che attinge sempre alle scritture: si parla di una sorgente a cui attingere, di un’acqua che zampilla. Sullo sfondo risuona il vangelo di Giovanni al capitolo 4, dove si narra dell’incontro di Gesù e la Samaritana al pozzo: la sorgente di quest’acqua come sappiamo è Cristo, il quale ci attende presso diversi fonti con le quali desidera dissetarci.  Lo Spirito Santo è l’acqua che disseta (acqua sorgiva, vitale, non come quella del pozzo, stagnante); la sorgente è Cristo, e a quella sorgente si attinge attraverso diverse fonti alle quali il Catechismo ci introduce perché possiamo anche noi dissetarci.

 

La Parola di Dio (nn. 2653-2654)

La prima di queste fonti a cui far riferimento è la Parola di Dio. Anche la nostra Diocesi, da qualche anno sta vivendo un tempo di ascolto dello Spirito, oggi ancor di più attraverso quel processo sinodale che sta toccando tutta la Chiesa e che in tutte le diocesi, parrocchie e comunità ha permesso l’attivarsi di gruppi di ascolto, secondo una dinamica di discernimento comunitario.

Pensiamo anche all’iniziativa di Papa Francesco che all’indomani del Giubileo della Misericordia (2015) ha poi istituito una domenica dedicata alla Parola (la terza domenica del Tempo Ordinario). Lo stesso Concilio Vaticano II ha tanto battuto sull’importanza di conoscere le Scritture. Benedetto XVI nella Verbum Domini, precisa che è importante conoscere le scritture, leggerle, capirle, documentarsi, … ma è importante, anche ai fini di quello che stiamo dicendo, che questo contatto con la Parola diventi poi preghiera e che si entri in dialogo con questa Parola, perché è Parola di Dio, e la preghiera è dialogo con Dio, la cui parola arriva a farsi Carne, nella mia vita. E a ben vedere anche se quando pensiamo ai Vangeli (e non solo) siamo portati a pensare ad una trattazione, una storia, una biografia, in realtà sappiamo benissimo come, dietro ad ogni vangelo, ci sia sempre una comunità: ossia quegli scritti sono già una testimonianza di un’esperienza comunitaria e di come la Chiesa primitiva ha compreso la Parola, l’ha vissuta, l’ha pregata, l’ha celebrata.

 

Ma noi come leggiamo la scrittura?

In prima approssimazione possiamo dire che la leggiamo, diciamo così, in modo tipologico, cioè leggiamo l’Antico Testamento alla luce del Nuovo Testamento e comprendiamo l’uno e l’altro in un continuo rimando. Man mano che ci si addentra nella Sacra Scrittura, e si prende un po’ di dimestichezza, piano piano ci si accorge di come sia Parola viva, e comincia a rimandare da un brano all’altro dei diversi Libri, e iniziamo ad intravedere il volto di Cristo, prefigurato nelle storie dei patriarchi e nelle vicende dei Profeti! [L’Antico come typos (figura) del Nuovo]

Ed è lo stesso Gesù a citare le scritture ai suoi discepoli e contemporanei e a spiegarle alla luce di quello che lui sta vivendo e compiendo.

Sono diverse le esperienze di preghiera che nascono dal confronto con la Parola di Dio, e questo risente anche di una ricchezza dell’azione dello Spirito nella Chiesa e nella trasmissione della fede, attraverso i diversi carismi e realtà ecclesiali.

Proviamo anche noi questa sera a lasciarci condurre da un brano della scrittura e attingiamo ad una pericope che abbiamo tutti già ascoltato e celebrato questa domenica. Lasciamo che sia il parroco a leggerlo, così da spezzare anche un po’ il ritmo della mia voce:

 

Dal Vangelo secondo Luca (5,1-11):

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

 

La lettura che noi facciamo della Scrittura è, propriamente, una lettura divina (CCC 2653).

Divina perché, da un lato è Dio che parla al cuore di chi legge e al tempo stesso chi legge, nell’entrare in dialogo con quella Parola, sta parlando a Dio.

Il catechismo, seppure non in modo esplicito, cita l’esperienza della lectio divina e lo fa attraverso una citazione che troverete nel testo: di tratta di Guigo il Certosino (XII sec.) il cui nome ci permette di ricordare che questo modo di pregare con la scrittura si sviluppa e codifica in ambiente monastico. Così scrive Guigo:

«Cercate leggendo e troverete meditando; bussate pregando e vi sarà aperto dalla contemplazione» (CCC 2654)

E’ bellissimo questo versetto: attinge ad un brano della Scrittura per dar ragione di un modo di pregare con la Scrittura. Si tratta di un brano che troviamo in Matteo e Luca, dove Gesù dice: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto» (Mt 7,7; Lc 11,9).

E quindi cosa troviamo già in questa citazione di Guigo?

Cercate leggendo: la lettura del testo, la lectio.

E troverete meditando: meditatio

– Bussate pregando: l’oratio

E vi sarà aperto dalla contemplazione: la contemplatio.

Sono i quattro momenti della Lectio Divina, a cui si aggiungerà poi la Actio.

Attingo e rimando alla Esortazione post sinodale Verbum domini (VD) di Benedetto XVI che propone al n. 87 uno schema sui cinque punti della Lectio divina.

Però, invece che fermarmi a descriverne le fasi, provo a seguire l’esempio di Guigo e a lasciarmi condurre dal brano del Vangelo che abbiamo letto poc’anzi.

Come accaduto per tutti voi, quando lo avete ascoltato ieri durante la celebrazione eucaristica, ha iniziato ad illuminare i miei passi (cf. Sal 119,105). Quando Costanza mi ha chiamato chiedendomi questa catechesi, io avevo già sotto mano questo brano perché lascio che la liturgia della parola della domenica successiva si vada sedimentando giorno dopo giorno, accompagnandomi durante la settimana. E così è stato.

Una prima domanda: come avvicinarsi alla lettura del testo?

1) la lectio

Innanzitutto mi confronto col testo leggendolo (anche più volte) e comprendendolo nel suo significato letterale. Diventa importante vedere come si colloca nel Vangelo, nel conteso prossimo e quello più ampio. Cerco cioè di vedere anche quale brano lo precede, e cosa segue. Mi soffermo sulle parole usate, cerco di capire il loro significato originario, e dove possibile risalgo ai termini originari, …

Sappiamo quale è la situazione narrata dal vangelo: ci sono questi discepoli che sono lì, stanno mettendo a posto le reti, tanta gente che arriva, che vuol parlare. Gesù chiede a questi discepoli di poter salire sulla barca e come accade in genere vicino ai laghi … – proviamo a immaginare la situazione insieme in una piccola composizione di luogo: c’è la terra, la riva che degrada piano piano verso lo specchio d’acqua… per cui allontanandomi leggermente dalla riva, si crea l’effetto di un piccolo anfiteatro, con le persone davanti a me, che vanno scalando man mano che si avvicinano dalla terra al bagnasciuga, e dal punto di vista acustico la collocazione diventa ottimale.

Ed io, come voi, mi sono messo tra quelle persone sedute sulla riva, in ascolto delle parole di Gesù!

 

2) Meditatio

Ma nella lettura del testo diventa anche interessante considerare anche il contesto più ampio, ossia di una comunità nella quale vene letto, dicevamo prima.

Ed ecco la II fase, quella della meditazione. In vista di questo incontro, il vangelo ha cominciato a “muoversi”, a risuonare, come non aveva mai fatto in passato.

E allora… anch’io, dalla riva ho fatto un primo passo, mi sono allontanato dalla riva, come si narra in questo Vangelo, e quell’itinerario tracciato da Gesù ha iniziato a parlarmi della dinamica della preghiera su cui stavo riflettendo in vista di questo incontro.

Per tutti noi, penso di poter dire, c’è stato un momento della nostra vita in cui la Parola l’abbiamo accolta, ascoltata, “dalla terra ferma”. Stavi lì, ben piantato a terra. L’hai ascoltata ed è stato già un primo passo importante. L’hai compresa per quello che diceva, hai intuito una luce, e già ti ha catturato evidentemente – se siamo qui! – ma eravamo sulla terraferma.

Arrivano però momenti nella vita in cui siamo chiamati a lasciare questa riva, ed è quello che in fondo, in qualche modo – penso di poter dire-, corrisponde alla II tappa di una lectio divina: cosa dice il testo biblico a me in questo momento, nella situazione che vivo oggi? L’espressione usata in greco, del “prendere il largo” (Ἐπανάγαγε εἰς τὸ βάθος) tradotto in latino con Duc in altum (prendete il largo) in realtà sarebbe letteralmente un distanziarsi dalla riva, verso il profondo. È fortissima questa espressione: “distanziarsi”… mi viene in mente l’immagine di chi dalla riva (pensiamo un pescatore) si da un piccolo slancio e salendo sulla barca la allontana dalla riva prima di salirci sopra. Ed è proprio quello che accade nella preghiera: “appena ti sposti dalla terraferma e sali sulla barca” – e sei ancora vicino alla riva – già tutto inizia a “muoversi”. Finché sto a riva la parola è “interessante”, accattivante ma … me ne sto a riva, al sicuro; appena salgo sulla barca, su quella barca c’è Lui, e “comincia a muoversi tutto”. Però sono ancora vicino alla riva; continuo ad ascoltare, …e intanto sono salito su quella barca.

Dice Benedetto XVI: qui ciascuno personalmente, ma anche come realtà comunitaria, deve lasciarsi toccare e mettere in discussione; perché non si tratta di considerare parole pronunciate nel passato (e le tengo lì, lontano da me), ma nel presente. Questo brano, in vista dell’incontro con voi, ha risuonato in modo forte; e pensando al nostro incontro ha risuonato forte tutto il clima di quest’anno. Quando dico nostro, e perché “siamo tutti sulla stessa barca”: la stanchezza, la frustrazione, il non riuscire ad avere un punto fermo, il non poter prevedere cosa farò nel brevissimo tempo: “domani vado a fare la spesa!”, … e magari stasera forse è già cambiato tuto: forse domani a pranzo tuo figlio torna da scuola e poco dopo ti comunicano che c’è stato un contagio nella sua classe. Figuriamoci poi a voler decidere cosa fare il mese prossimo, o la settimana prossima, già solo domenica prossima…!?

Questo è “mancanza di terraferma”, è la sensazione che viviamo in questo preciso momento storico: non ci sono punti fermi, la terra sotto i piedi si muove. E un contesto che rimanda a tante situazioni della vita personale in cui noi non controlliamo, non gestiamo. E Gesù mi chiede di distanziarmi dalla riva con la mia barca perché io possa ascoltarlo, e attraverso di me anche altri. (Risuona in realtà la nostra condizione esistenziale creaturale).

Il distanziarsi vale anche per la preghiera: bisogna prendere sempre un po’ di distanza, trovare il tempo e dire, “adesso basta!”, e staccarsi, allontanarsi, trovarsi un cantuccio, entrare nel segreto, lì dove mi tolgo l’orologio (magari metto un timer), e così dedicarmi un tempo, rifugiarmi  in un luogo, una chiesetta da qualche parte, tra una tappa e l’altra della giornata o meglio, ci ricorda Gesù, nel segreto della stanza. È un modo questo per prendere le distanze.

Pensate: prendere le distanze dalla mia vita sembrerebbe un volersene “allontanare”, eppure se prendo questo tipo di distanza, in realtà, finalmente la mia vita comincia ad esserci davvero. Perché quando tu ti fermi, quando io mi fermo, e aspetto che tutto “si calmi”, in questo “dondolare della barca”, piano piano la mia vita comincia ad esserci, ma davvero. Tendiamo a voler spegnere il cervello, i pensieri …. “perché devo pregare”, e togliere le distrazioni…. ma non è possibile. Anzi sarebbe insano, in certa misura, perché quella distrazione che vorrei togliere è la vita che piano piano, arriva, solo che, invece di essere in balìa di quello che sto facendo o accade, la mia vita comincia ad arrivare, approda, e la posso guardare, accogliere, e iniziare dare il nome alle cose che mi accadono, da dentro, non come spettatore … e certo dovrò rimandare alcuni pensieri che mi affiorano, e ricondurli ad un clima di preghiera … però già sono entrato in un ritmo diverso, in cui guardo alla mia vita: le sono davanti, sono in dialogo con essa, sono in contatto con me stesso, finalmente!

E cos’è che fa davvero tanta fatica? Perché in genere non ci fermiamo?

Qui si tratta di prendere il largo! A me risuona forte in questo punto il Salmo 42:

«un abisso chiama l’abisso, al fragore delle tue cascate.

I tuoi flutti, le tue onde sopra di me sono passati».

Ed ecco siamo alla Sua presenza, siamo alla terza tappa della lectio divina!

 

3) Oratio

Ecco la preghiera, propriamente. Cosa diciamo noi al Signore, in risposta alla Sua Parola?

La preghiera come richiesta, intercessione, ringraziamento e lode, è il modo con cui la Parola ci inizia a cambiare, e ci cambia.

Mi fermo e tutto si muove. Ma sto lì, e lascio che la Parola cominci a parlarmi, a leggermi. Entro in dialogo con la Parola, ringrazio per questo tempo.  Le distrazioni che arrivano, per evitare che mi portino lontano comincio a farle entrare nella preghiera, le riconduco dinanzi a quella luce perché si sciolgano come neve al sole:

“Ecco io sono qui davanti a Te, e c’è questa cosa che dovrei fare … che mi porta via; lo so, lo so, perché in realtà corro sempre, vorrei che ….ho paura che…. Signore, ho paura, questa è la verità”.

 

4) Contemplatio

«Quale conversione della mente e del cuore, della vita, chiede a noi il Signore? Ecco la “contemplazione”, che tende a creare in noi una visione sapienziale della realtà secondo Dio e a formare in noi il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16) dice la Verbum Domini:

e allora io sono su quella barca, comincio a contemplare il Suo volto, … mi parla, citando le scritture, scritture che affiorano nella mente e nel cuore, ma … quello sguardo … io sono tra i tanti seduti qui … eppure … sta guardando me, proprio me … e mi sento riconosciuto. E posso esserci, nudo dinanzi a Dio, posso non nascondermi! (Cf. Gn 3,8)

Immagino molti di voi abbiate ascoltato l’intervista del Papa ieri sera: è molto bello il momento in cui si sofferma sulle domande dei bambini, i perché dei bambini. Il tema mi pare fosse quello della vicinanza tra genitori e figli, e la famiglia… Il Santo Padre ricorda come i bambini, quando chiedono “perché… perché…”, in realtà, benché ci sia davvero in loro un desiderio di sapere, non siano interessati innanzitutto alla risposta, ma piuttosto siano preoccupati che lo sguardo dei genitori sia su di loro.

E quando ci lasciamo guardare da Dio, ci scrolliamo di dosso anche tutte le difese e ci mettiamo in contatto con la nostra vita (… quante corazze cadono!); allora anche il parlare con il Signore, chiedere ragione di quel che mi sta capitando… anche consegnarGli  la mia rabbia, la mia frustrazione, o piuttosto condividere una gioia ,con gratitudine …  o talvolta il non saper cosa dire e non aver più parole… ma intanto ciò che veramente conta è che sono sotto il Suo sguardo ed io ho bisogno del Suo sguardo di amore!

Del resto, cosa mi ha colpito lì sulla riva, quando lo stavo ascoltando? Cosa colpì quei discepoli sulla strada per Emmaus (Lc 24) se non che quella parola stava raggiungendo proprio me, proprio loro? Stava descrivendo precisamente quella situazione in cui loro si stavano trovando dando ragione di tutta una vita; sentivano il cuore che ardeva! E sapevamo in fondo che sarebbe successo anche per noi se fossimo saliti su quella barca (che poi, nella tradizione cristiana, è figura della Chiesa).

Allora, dinanzi a Gesù, al suo sguardo di amore mi accorgo che ci sono cose da lasciare, scelte da prendere, passi da fare, situazioni da sbloccare, relazioni non sane da cui smarcarsi che mi stanno portando altrove; o invece relazioni e persone da custodie, valori da difendere …

Ed eccoci giunti all’ultimo momento:

 

5) Actio

«È bene poi ricordare che la lectio divina non si conclude nella sua dinamica fino a quando non arriva all’azione…, che muove l’esistenza credente a farsi dono per gli altri nella carità» ricorda Papa Benedetto.

(…)

Si passa dall’ascolto, all’affidarsi e al poter fare dei passi concreti insieme con Dio.

Dio mi sta incontrando nel vivo della mia vita, nella mia carne.

E allora sì che “sulla tua parola getterò le mie reti”.

“Dove dovrei gettarle?” “Dove?, Dove ho paura, dove si muove tutto?” “Ma dove,  nel nulla?”. Erano stati in barca tutta la notte, non avevano pescato: “è inutile gettarle ancora!”. “Mi vorresti forse dire che io dovrei gettarle dove in realtà mi verrebbe solo voglia di scappare, dove sento puzza di fallimento, di morte?” “Dovrei andare a gettare le reti dove la mia vita è una fatica, e – in un tempo di pandemia – proprio lì dove volentieri, stanco ed esasperato, me ne andrei sulla cima di un monte in un eremo sperduto, per non vedere più nessuno, non sentire nessuno, stare per conto mio, chiudere tutto e basta? E tu invece mi chiedi di andare a gettare le reti proprio lì, in quell’abisso da cui volentieri scapperei!

Sì proprio lì, e non posso dire di no, perché ormai quella parola ha toccato il mio cuore ha parlato di me, è viva e so che dice la Verità. Perché un abisso chiama l’Abisso, e non posso non andare, non posso! È questione di vita o di morte, non si tratta di tirare a campare ma si tratta di vivere, veramente.

Vita piena… “sono venuto perché abbiano vita piena”, in abbondanza (cf. Gv 10,10). Tu in fondo c’è l’hai nel cuore, quel desiderio grande di vita, di pienezza, è questo che ti porta a cercare un incontro con Lui.

Non è che Pietro non sapesse prima di allora chi fosse, un pescatore, o che non avesse peccati; solo che adesso ha capito che c’è un’abbondanza che non dipende da lui, ma che pure in qualche modo non può fare a meno di lui.

Ma questa è la cosa sorprendente e che è la base di ogni conversione, alla base della gioia della vita: ossia che Dio mi ama, Dio ti ama! Dio ti ama anche nella tue fragilità e  inadeguatezze, ti ama anche nel “tuo non farcela”. Ama le tue fissazioni, le tue durezze, i tuoi spigoli, in Lui “il non senso” della tua vita trova un senso e con Lui inizi a guarire! Gesù conosce il tuo cuore!

Le mie fragilità e inadeguatezze, le mie ferite le ha tra le mani e le sta baciando. Le ha prese con sé! Ora le rintraccio sul suo corpo martoriato. Le ritrovo sul suo corpo risorto e glorioso. Questo è troppo bello, è veramente liberante!

Il senso di inadeguatezza che pure Pietro sperimenta diventa il luogo di un incontro  e di una chiamata! Perché, mi diceva un padre spirituale anni fa, “Dio non chiama coloro che sono pronti ma aiuta ad essere pronti coloro che chiama”.

“Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini”, che letteralmente sarebbe “e ora gli uomini sarai un prendente vivi”. Come a dire “Ora tu puoi andare, adesso posso mandarti e dovrai fare ancora tanta strada, ma ora tu puoi andare, perché hai sperimentato dove c’è la vita e dove c’è la Vita Vera!” Ci può stare l’imperfezione, ci può stare l’inadeguatezza, finanche il peccato: perché è scoprisi peccatori amati che cambia tutto. E si diventa capaci di affiancarsi ai fratelli, di accompagnarli nell’incontro con il Risorto.

Ho nel mio studio una piccola icona della pesca miracolosa ricevuta in un corso di nuova evangelizzazione in cui i pesci letteralmente si lanciano vivi nella rete!

E questo brano è risuonato nella 44esima giornata per la vita! In una società caratterizzata dalla cultura dello scarto! (…) in cui la vita non ha valore se dipende dall’aiuto e dall’amore degli altri… lì dove sfuggiamo dall’imperfezione… dalle debolezze … rincorrendo ideali disumani.

E tu invece Signore moltiplichi da ciò che manca! (cf. per es. Gv 6 e paralleli)

“Ora Pietro puoi andare, perché hai scoperto che è proprio lì che devi imparare a gettare le reti, affidando la tua povertà nella mie mani!”

E chiamarono altre barche a tirare su le reti. Io so benissimo che il Signore ha salvato me per prima chiedendomi di prendermi cura di altri suoi figli: ossia ha chiamato me per voi, certamente, ma io per prima ho bisogno di essere salvato. Perché conosce il cuore di ciascuno e sa di cosa siamo capaci se abbiamo l’umiltà e il coraggio di mettere la nostra vita nelle sue mani! E quando non l’ho fatto l’ho pagata. Se non avessi accolto quella chiamata anni fa, non so dove sarei finito. E questo vale ancora oggi, e vale anche per mariti e mogli… e per tutte le persone e per tutte le volte nella vita che accogliamo la nostra vocazione, che comunque sarà sempre una vocazione ad amare, a donare la nostra vita per ritrovarla, … nella logica di guaritori feriti. (Cf. H. Nouwen, Il Guaritore ferito (Queriniana).

Ho provato a condurvi attraverso i passi della Lectio, che forse è diventata l’occasione di un’annuncio dell’amore di Dio!

La lectio divina segue uno schema, certamente, ma non rimanda ad uno schematismo. Perché quando inizi ad entrare nella preghiera così scandita e ne comprendi da dentro la logica, non stai più attento a quale passo sei arrivato, ma tutto diventa più naturale, e ci si affida all’azione dello Spirito Santo. Passi da una parte all’altra, perché lo Spirito soffia dove vuole. Non si sa da dove viene e dove va, dicevamo infatti!

Però è vero che questo schema trasuda di una tradizione e preghiera millenaria, e quei tempi e momenti davvero mi aiutano.

 

La liturgia della Chiesa (CCC 2655)

A questo punto il catechismo tocca il tema della Liturgia della Chiesa. Anche questa è un’altra fonte a cui attingere nella preghiera. In particolare ci si sofferma a grandi spanne sulla Liturgia delle Ore e Liturgia Eucaristica.

La liturgia cos’è? Il Concilio ne parla come «fonte e culmine della vita della Chiesa» (Sacrosanctum Concilium, 10). Fondamentalmente è quell’azione attraverso la quale la chiesa partecipa all’opera di Dio; ossia Cristo continua nella Chiesa, con essa e per mezzo di essa, l’opera della nostra redenzione nello spazio e nel tempo (cf, CCC, 1069)

Nella liturgia quindi c’è Cristo che agisce, innanzitutto.

Anche nella Liturgia delle Ore, le parole con le quali siamo soliti iniziare “Oh Dio vieni a salvarmi”, sono quelle di Cristo, e quando preghiamo insieme e le diciamo é perché io sto entrando in quella preghiera e la Sua voce risuona in me: stiamo pregando con Lui che prega per noi il Padre. E abbiamo ricevuto una Grazia grande, che ci ha resi partecipi di tutto questo. Tra l’altro siamo questa sera proprio in un luogo che lo ricorda e dove potremmo dire “tutto è iniziato!”, perché a Roma questo è proprio il primo Battistero (in Roma e di Occidente); ma anche perché per tutti quanti noi il Battesimo ha rappresentato un nuovo inizio.

Procedo rapidamente.

Nella Liturgia delle Ore e nella Celebrazione Eucaristica si attualizzano i Misteri della vita di Cristo. Abbiamo da poco celebrato l’Epifania e nell’annuncio di Pasqua è stato ripercorso un po’ tutto l’anno liturgico, che ha al suo centro il Triduo pasquale a partire dal quale derivano tutte le date delle altre celebrazioni. Quindi abbiamo i due punti cardini di tutto l’anno, che sono la Pasqua e il Natale. Attorno ad essi ruotano tutti i Misteri della vita di Cristo che vengono celebrati durante l’anno. Misteri che passano anche per la santità vissuta nell’umanità di alcuni tra noi, chiamati a dare testimonianza e a sostenere il nostro cammino (i Santi). E allora analogamente a quanto accade in un anno civile e solare — in cui c’è la nostra vita che scorre, fatta di tempi e stagioni — anche la preghiera, che è vita, sarà fatta di tempi necessariamente, e lo stesso  anno liturgico si caratterizzerà per l’alternanza tra Tempo ordinario e Tempi forti, scanditi dalla liturgia.

  • tempo di Avvento e Natale (preparazione e compimento): in Avvento si rivive l’Attesa del Messia (e in vista della sua incarnazione storica e in vista della sua venuta alla fine dei tempi); con i Natale, l’incarnazione del Verbo, fino all’inizio della sua missione di annunzio del Regno di Dio.
  • Si va quindi verso il Tempo ordinario I, che stiamo celebrando, ed é in fondo, potremmo dire, il momento in cui attraverso la liturgia della Parola la nostra attenzione è portata a focalizzare sul volto di Cristo, cioè impariamo a conoscere chi è il Figlio di Dio.

Poi il tempo di Quaresima, della durata di 40 giorni (numero ricco di risonanze bibliche), tempo forte per eccellenza, in preparazione alla Pasqua di Risurrezione. Nel novero dei 40 giorni (nel rito Romano) non rientrano le domeniche (Pasqua della settimana).

Con la Pasqua, della durata di 50 giorni (7 giorni 7), riecheggiano gli incontri con il risorto e i primi passi della Chiesa nascente.

Dopo di che si arriva al II tempo ordinario, in cui dal volto di Cristo, potremmo dire, si passa al volto del cristiano.

Tra Liturgia delle Ore ed Eucaristia c’è un rapporto di circolarità: l’Eucaristia attraverso la Liturgia delle Ore é come se riverberasse in tutte le ore e giorni della settimana quanto é stato celebrato nel primo giorno della settimana (la Domenica = giorno del Signore, Pasqua della settimana).

E d’altra parte la Liturgia delle Ore in vario modo prepara alla celebrazione eucaristica: per cui, nelle parrocchie tendenzialmente troverete che prima della messa al mattino si celebrano le Lodi e prima della messa della sera si celebrano i Vespri: questo perché aiuta, prepara ad entrare in quel mistero che poi sarà celebrato con il sacramento dell’Eucarestia.

Celebrare la Liturgia delle Ore ci conduce ad una comprensione nuova del tempo. Cambia il mio sguardo sulla vita perché comincio ad avere orecchie per ascoltare e occhi per vedere. Perché tutto nella vita comincia in realtà a parlarmi di Dio.

Certo, dovrò stare attento a non farmi dei film. E infatti la preghiera personale è solo una parte della preghiera, che è sempre preghiera della Chiesa e conserva una dimensione comunitaria. Questo aiuta anche a mantenere una lettura e una comprensione della Sacra Scrittura ecclesiale.

La Liturgia delle Ore immagino che già sappiamo un po’ tutti com’è scandita nell’arco della giornata. Alcuni di voi già sono soliti pregarla. Ed è propriamente Preghiera della Chiesa: non è la preghiera dei sacerdoti, è preghiera di tutti i cristiani.

Molto brevemente, troviamo:

– L’ufficio delle letture che mette al centro la Parola ed è un momento della giornata forte per la meditazione.

– a seguire, le Lodi al mattino, all’inizio del giorno, momento in cui affido la mia giornata al Signore, lì dove c’è il Sole che sorge, che mi rimanda anche alla Resurrezione, ricordano Le norme e i principi della liturgia delle ore, a cui vi rimando più diffusamente.

  • L’Ora media (terza, sesta e nona, secondo il modo antico di scandire la giornata) che rimandano ad episodi della vita di Gesù e della sua Passione (la discesa dello spirito, l’agonia sulla croce, la sua morte) e ai primi momenti della chiesa primitiva e della sua propagazione (come raccontato gli Atti degli apostoli).
  • Poi i Vespri al calar del sole: veniamo portati alla cena del signore alla sua sepoltura. E’ il momento di ringraziare di quanto donatoci e di quanto vissuto rettamente con il Suo aiuto nel corso del giorno che va concludendosi. Il calare delle tenebre è sempre un po’ il momento che spiritualmente rimanda alla fine della vita e quindi anche l’occasione per gettare uno sguardo oltre, nella preghiera!
  • Poi la Compieta, prima di andare a letto. Letteralmente compie la giornata: è il momento in cui consegnamo quanto vissuto nelle mani di Dio e si affida a lui il nostro riposo perché all’indomani possiamo insieme con lui riprende il cammino. È anche il momento dell’esame di coscienza: aiutato anche dal vangelo del giorno, considero tutte quelle occasioni che ho avuto di incontrare il Signore; lo ringrazio di essere passato al mio fianco di aver camminato con Lui; riconosco dove ha toccato la mia vita e al tempo stesso, sempre dinanzi a quello sguardo di amore, mi accorgo anche delle mie inadeguatezze, dei peccati commessi. Diventa l’occasione per lasciarmi raggiungere e umilmente riconoscermi bisognoso, forse di perdono. All’indomani ci saranno relazioni da riprendere, vicende conclusesi in malo modo il giorno prima, e forse prima di addormentarmi posso mettere da parte qualcosa per una confessione, per riconciliarmi con il Signore appena possibile. E un cuore guarito sarà più disposto alla preghiera!

Una antifona Mariana finale affida il tutto alla sua materna intercessione.

 

 

Le virtù teologali (2656-2658)

Ma, ricorda il Catechismo, «si entra nella preghiera come si entra nella liturgia: per la porta stretta della fede. Attraverso i segni della sua presenza, è il volto del Signore che cerchiamo e desideriamo, è la sua parola che vogliamo ascoltare e custodire».  (CCC, 2656). Ecco allora che veniamo introdotti alle virtù teologali.

Sì, perché tutte queste fonti della preghiera – a cui possiamo attingere lo Spirito di Dio che alimenta la nostra preghiera portandoci alla sorgente (Cristo) che è via che conduce al Padre – non basta sapere che ci sono: devo poi attingere, molto concretamente.

Ma non si tratta tanto di fare ascesi (che rimane importante, come del resto per tanti aspetti della vita) quanto il fatto che è Dio che si dona a noi e ci dona la Grazia di entrare in relazione con lui e questo ci mette nella condizione di poter dare o meno una risposta, per cui, seguendo un po’ le orme di un commento di Anna Maria Canòpi potremmo dire che: se ho Fede, vedrò e riconoscerò la sorgente a cui attingere; se ho Speranza, berrò a quella sorgente; e se avrò attinto, accogliendo io per prima l’amore di Dio, la Sua grazia, sarò capace — sospinto dal Suo amore — di tornare alla vita quotidiana desideroso di condividere questo Amore con i miei fratelli (la Carità).

Pregare sarà allora chiedere la pioggia nel tempo dell’aridità; aver fede sarà l’aver comprato un ombrello un attimo prima di iniziare a pregare; sperare sarà tenere quell’ombrello a portata di mano, anche se c’è ancora il sole; avere carità significherà aprirlo su di me ed invitare qualcuno a ripararsi con me dalla pioggia (che sarà segno di benedizione!)

E allora Fede, Speranza e Carità sono alla basa di una vita vissuta nella preghiera. Per Fede alzerò lo sguardo al cielo invocando il Suo nome; per Speranza (che potremmo dire essere la valenza affettiva della fede, è solito ricordare P. Mariano Santoro) vivrò nell’attesa di una risposta sapendo confidare anche nel tempo dell’aridità, forte della memoria Jesu (e continuando a gettare le reti); in forza della Carità di cui per grazia ha traboccato il mio cuore, saprò andare incontro ai fratelli oltre tutte le difficoltà che possono normalmente esserci (e, con l’aiuto di Dio, arrivando ad amare e perdonare i nemici).

Sempre Madre Anna Maria Canopi dice così: «è ancora la fede che da’ occhi per vedere nel prossimo il volto stesso di Cristo; è ancora la speranza che scommette per tutti la salvezza, perché sa che anche nel profondo degli inferi, il Cristo si fa presente; ed è ancora la carità che spinge l’orante ad intercedere per tutti offrendo se stesso». (Anna Maria Canòpi, Commento teologico al Capitolo II della Parte IV del Catechismo della Chiesa Cattolica (San Paolo – Edizione Kindle).

In sostanza, le virtù teologali, concretamente, ci permettono di entrare in relazione con la Santissima Trinità e ad entrare così ne Il Cammino della preghiera che è un’altra sezione che troverete sul catechismo ai numeri che stiamo guardando insieme stasera.

Il Cammino della Preghiera  (CCC, 2663-2682)

Il Padre

In estrema sintesi possiamo dire che la preghiera della Chiesa sarà sempre una preghiera rivolta al Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo.

Ciò non vuol dire che non si possa pregare ciascuna delle persone della Santissima Trinità, ma poiché Dio è uno e trino, so che se prego il Padre, per la via del Padre giungerò al Figlio che me lo ha rivelato in pienezza, aprendomi al dono dello Spirito che da essi abbiamo ricevuto. E se prego lo Spirito Santo, farò anche esperienza dell’Amore del Figlio per il Padre e del Padre per il Figlio. E se prego il Figlio, attraverso il volto di Cristo, scoprirò il volto del Padre che è volto di Amore, di quell’amore che mi è donato  dal Padre e del quale nel Figlio sono stato reso partecipe nel Spirito.

 Il Figlio

A questo punto il Catechismo comincia e porre l’accento su Gesù, che è via, verità e  vita (cf. Gv 14,6). Ci rivolgiamo a Gesù in tanti modi: attingendo alle Scritture troviamo tanti titoli che gli sono attribuiti, poi ognuno di noi sceglie quello che sente più a vicino a se stesso: “Agnello di Dio”, “mio Signore, mio Dio”, “figlio di Dio”, “mia vita, nostra vita” … e via dicendo.

Il Suo nome, Gesù, ci ricorda il Catechismo, porta etimologicamente in nuce tutta la storia della salvezza. “Joshua” vuol dire “Dio salva”. (…)

«Pregare “Gesù” è invocarlo, chiamarlo in noi. Il suo nome è il solo che contiene la presenza che esso significa. Gesù è risorto, e chiunque invoca il suo nome accoglie il Figlio di Dio che lo ha amato e ha dato se stesso per lui». (CCC, 2666)

È una parola fortissima, il nome di Gesù è già una preghiera fortissima.

Il catechismo rimanda anche alla cosiddetta preghiera del cuore: “Gesù Cristo figlio di Dio Signore, abbi pietà di noi peccatori”. È una preghiera che ci arriva dalla tradizione cristiana ortodossa. Quanti hanno letto i Racconti di un pellegrino russo hanno già incontrato questa preghiera. Risuona nelle sue parole l’Inno di Fil 2,11 insieme all’invocazione del pubblicano (cf. Lc 18,13). Una volta di più riaffiora la Parola di Dio che nutre la preghiera, suscettibile di immetterci in una preghiera continua, che piano piano ci porta a scendere nel cuore, accompagnati dal suo battito, e da un respiro che si fa sempre più profondo… (troviamo qui un riferimento alla pratica ascetica dell’Esicasmo che ha origine tra i padri dei primi secoli della Chiesa). (…)

Altri percorsi di preghiera seguono Gesù nella devozione al suo Sacratissimo Cuore (ricordiamo i primi venerdì del mese); al suo percorso verso il Golgota per come si è strutturato con il cammino della Via Crucis. Ma vale la pena anche ricordare la Via Lucis sulle orme del cammino del risorto (a cui tanto impulso ha dato l’apostolato del salesiano don Sabino Palumbieri).

Lo Spirito Santo

Quindi lo Spirito Santo, che è IL maestro della preghiera. Ne abbiamo già parlato … era inevitabile … perché sappiamo che a pregare per noi e con noi è Gesù, ed è Lui che ci dona il Suo Spirito. Nel dono dello Spirito siamo anche noi figli, figli nel Figlio, figli adottivi e possiamo anche noi dire abbà, padre. (Rm 8,15). Ma lo diciamo con Lui, con Gesù. (Come del resto nella Preghiera del Padre nostro, come avrete modo di vedere al prossimo incontro)

Gesù stesso, ci ricorda il Catechismo (n. 2671) ci invita a chiederne il dono, sempre (cf. Gv 14,17; 15,26; 16,13).

È Lui l’artefice della Tradizione vivente della Chiesa, che muove i diversi cammini e alimenta i diversi carismi della Chiesa, ed è «nella comunione dello Spirito che la preghiera cristiana è preghiera nella Chiesa». (cf. 2672)

Maria

Sul finale di questa sezione sul cammino della preghiera il Catechismo giunge a Maria, Vergine del Silenzio e icona di preghiera per eccellenza.

In Comunione con Gesù, nello Spirito, entriamo in comunione anche con la madre, Maria, alla quale siamo stati affidati, Maria Madre della Chiesa. E se Gesù è la via, Maria ci indica la strada (come nell’icona bizantina della Madonna Odighitria). Maria ci conduce a Lui e ci invita – come alle nozze di Cana – ad ascoltarlo e a fare quello che ci dirà. Maria intercede per noi. In forza di questa fortissima relazione tra Gesù e Maria (tanto da riferirsi a lei con il termine di correndentrice) anche la preghiera per l’intercessione di Maria si è andata sviluppando nella Chiesa, e sempre nei canti, inni e  laude ad essa dedicate ci si accorge di quanto essa sia una preghiera dal carattere cristologico. Troviamo sempre due movimenti nella preghiera mariana: da un lato si riconosce quanto grande è stata l’opera di Dio nella Vita di Maria mediante la sua umile serva per tutti noi; dall’altro, in considerazione dell’umanità che ci accomuna a lei, e che ci porta a sentirla in tal senso particolarmente vicina, percependo con lei anche la possibilità della nostra umanità di restare vicina a Gesù, le affidiamo la nostra preghiera di intercessione.

Il Catechismo conclude questa sezione soffermandosi sulla preghiera mariana per eccellenza, l’Ave Maria che commenta in modo puntuale, sapiente ed efficace, ai numeri nn. 2766 e 2677, a cui vi rimando per una lettura personale.

Ed io concludo con qualche riferimento di massima a quella preghiera che è intessuta attraverso l’Ave Maria: il Santo Rosario. Esistono dei documenti che vi invito a leggere: la Marialis Cultus di Paolo VI, del 1974, esortazione apostolica nella quale una intera sezione è dedicata alla preghiera del Rosario; e un secondo documento più recente legato alla figura di Giovanni Paolo II la Rosarium Virginis Mariae del 2002.

Paolo VI parla del Rosario come del compendio di tutto quanto il Vangelo (citando Pio XII) e come la corona della Beata Vergine Maria.

Si tratta una volta di più di una preghiera cristologica, che ha al centro Gesù.

«Infatti, il suo elemento caratteristico – la ripetizione litanica del Rallegrati (Ave), Maria – diviene anch’esso lode incessante a Cristo, termine ultimo dell’annuncio dell’Angelo e del saluto della madre del Battista: Benedetto il frutto del tuo seno (Lc 1,42). Diremo di più: la ripetizione dell’Ave, Maria costituisce l’ordito, sul quale si sviluppa la contemplazione dei misteri di Cristo: nei tre cicli originari dei miseri»:  gaudiosi, dolorosi, gloriosi. (Cf. Marialis Cultus, 46). A questi misteri Giovanni Paolo II aggiungerà quelli luminosi. Al n. 21 della Rosarium Virginis Mariae così dice:

«In realtà è tutto il mistero di Cristo che è luce. Egli è “la luce del mondo” (Gv 8, 12). Ma questa dimensione emerge particolarmente negli anni della vita pubblica, quando Egli annuncia il vangelo del Regno. Volendo indicare alla comunità cristiana cinque momenti significativi – misteri “luminosi” – di questa fase della vita di Cristo, ritengo che essi possano essere opportunamente individuati: 1. nel suo Battesimo al Giordano, 2. nella sua auto-rivelazione alle nozze di Cana, 3. nell’annuncio del Regno di Dio con l’invito alla conversione, 4. nella sua Trasfigurazione e, infine, 5. nell’istituzione dell’Eucaristia, espressione sacramentale del mistero pasquale. Ognuno di questi misteri è rivelazione del Regno ormai giunto nella persona stessa di Gesù».

A prima vista potrebbe sembrare una preghiera solo meccanica e ripetitiva. Si tratta in realtà di una preghiera contemplativa. In comunione con Maria entriamo nella contemplazione dei misteri della salvezza distribuiti in quattro cicli, dicevamo. «(…) contemplazione che, per sua natura, conduce a pratica riflessione e suscita stimolanti norme di vita» ricordava Paolo VI.

Così ogni qual volta prego quella decina di Ave, Maria, mantenendo sullo sfondo il brano del Vangelo del mistero corrispondente, accade che mentre preghi la tua vita di nuovo riaffiori: per cui ti viene in mente tua moglie (marito), i tuoi figli; ti viene in mente nonna che sta male, la comunità, quella persona che è arrabbiata con te… quell’amico che sta soffrendo; i tuoi parrocchiani, o anche tuo figlio che affronta il suo primo esame universitario… e tu preghi, affidi, chiedi conforto, ritrovi speranza. E tutti i volti di queste persone piano piano li porti con te: si crea allora quel corto circuito sano tra la Parola e la Vita, in quella situazione che stai vivendo!

Ogni annuncio del mistero (che può essere accompagnato dalla lettura di un brano corrispondente della Scrittura) è seguito dal Padre nostro, preghiera cristiana per eccellenza e modello di ogni preghiera. Quindi può iniziare la successione litanica dell’Ave, Maria che, come accennavamo e vedrete meglio dal catechismo, risulta composta dal saluto dell’angelo alla Vergine (cfr Lc 1,28) e dal benedicente ossequio di Elisabetta (cfr Lc 1,42), a cui segue la supplica ecclesiale Santa Maria.

Per secoli questa preghiera ha rappresentato un’occasione importante per meditare le scritture, specie da parte di chi per vari motivi non poteva accedere al contatto diretto coni la Bibbia: la serie continua delle Ave, Maria e il loro numero di centocinquanta (nello schema originario dei tre cicli di misteri), diceva in passato una certa analogia con i 150 salmi del Salterio.

La dossologia (Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo…) «chiude la preghiera con la glorificazione di Dio, Uno e Trino, dal quale, per il quale e nel quale sono tutte le cose (cfr Rm 11,36)» (MC, 48).

Insomma, una preghiera “completa” che degnamente conclude questa parte del vostro percorso sulla preghiera

Finisco col dire questo:

c’è una regola aurea nella vita spirituale — che propriamente è vita nello Spirito — e che sembra banale ma in realtà è molto profonda, perché alla fin fine va a toccare appunto uno stile del pregare, nella misura in cui incontra la nostra umanità, nell’umiltà e nella disponibilità ad accogliere Dio nella preghiera, a vivere di atti di fede, giorno per giorno…

È la regola del ricominciare. Capita a volte di perdersi. È molto importate darsi dei tempi, ma al tempo stesso non bisogna preoccuparsi di aver saltato una volta quell’appuntamento che pure riconosco importante,… o magari di accorgersi di essersi allontanati, e persi dietro tante cose da fare, anzi… è già una grazia rendersene conto! Essersi dati dei tempi di preghiera in questo aiuta a custodirsi, ed è goccia che scava la pietra!

E quando mi perdono, semplicemente non resta che … ricominciare, e ricominciare…. e poi ricominciare, ancora!

Posso dire che la liturgia delle ore, il tempo dell’orazione personale, la celebrazione eucaristica, mi hanno custodito in questi anni nella relazione con Dio e senza sarei perso: quando scricchiolano è campanello di allarme; anche se siamo chiamati dalla vita, nel lavoro, in famiglia, ad avere poco tempo e facciamo cose in sé stesse anche molto importanti e impegnative, la preghiera ci riporta all’essenziale e ci aiuta a non perdere di vista ciò che è davvero importante e da qualità a tutta la nostra vita.

Senza rischierei di vivere sentendomi continuamente mancare l’aria! Quando vado in affanno mi accorgo subito.

Personalmente ho scoperto il Rosario tardi. All’inizio lo facevo perché “andava fatto”, con fatica: ma mi sono fidato di chi mi diceva che era importante. Quanto fosse importante l’ho scoperto solo tempo dopo, quando “ho dovuto prendere le distanze dalla terra ferma, salire sulla barca e andare verso il profondo”: lì ho iniziato a scoprirlo. Molti anni fa una persona cara, in un momento difficile della sua vita, mi raccontò di come le parole del Rosario fossero diventate le uniche parole a cui aggrapparsi in un tempo della vita in cui non c’erano più parole da dire e anche la preghiera era diventata altrimenti difficile. Gliene sono grato, perché credo che prima o poi questo momento arrivi per tutti, anche in momenti diversi della nostra esistenza, e dobbiamo essere pronti ad affidarci, pronti ad attingere, pronti a rimettere al centro Dio!

Buona Preghiera

 

Don Giuseppe Falabella

[1] Per esempio per quanto riguarda il modo di trattare il testo liturgico, l’uso della modalità per le diverse antifone nei diversi tempi forti dell’anno; o con riferimento al valore riconosciuto alla parola e all’intelligibilità del testo, alla pertinenza liturgica di quanto composto e all’uso che ne facciamo nelle celebrazioni, al modo di rendere quel testo in musica, e alla comprensione del dato di fede che tutto questo sottende, ai fini della trasmissione della fede in modo adeguato all’oggi della nostra fede e anche all’ecclesiologia odierna.