Perché Courage non va a Dublino?

di Costanza Miriano

“Glielo dica al Papa quanto male fa la presenza di Martin a Dublino!” – mi supplica un giovane parroco di periferia.

“Guardi che lei mi sopravvaluta parecchio, io mica ci parlo con il Papa, e tra l’altro neanche so se lui riesce a seguire tutto nei minimi dettagli. Saprà davvero che Martin va a parlare a Dublino? E nel caso, probabilmente quello che gli risulta è che va a insegnare a far sentire accolte le persone omosessuali. Lui ci tiene tanto all’accoglienza, e forse non sa che quel sacerdote è un militante dei (cosiddetti) diritti (dei cosiddetti) LGBT, un acronimo molto rivelatore della sua posizione, a cui lui ha deciso di intitolare un libro e la sua relazione. Martin non dice mai che gli atti omosessuali sono disordinati, anzi ha affermato che il Catechismo in certi suoi passaggi può indurre al suicidio. Ma forse il Papa questo non lo sa”.

Però lo sguardo accorato di quel parroco che dà la vita per il suo gregge, infaticabilmente, e la promessa che mi ha strappato (“cercherà di fermare questa follia?”) mi obbligano a tornare – inutilmente, lo so – sull’argomento, anche se ne ho scritto già. Non fermerò un bel niente, non ho alcun potere, ma potrò dire che ho fatto tutto quello che mi è stato possibile, per amore di quel parroco, dei miei amici che provano attrazione verso lo stesso sesso, e della verità.

Punto uno: ho visto il programma di Dublino, è ricchissimo, pieno di spunti e di persone meravigliose, ma so già che la relazione che si prenderà i titoli dei giornali non sarà, che so, quella su “Quando volano i piatti”, fase con cui tutte le famiglie fanno prima o poi i conti, ma quella su come accogliere in parrocchia le persone LGBT, cosa con cui fanno i conti lo 0,briciole% delle famiglie.

Punto due: le persone che provano attrazione verso lo stesso sesso (d’ora in poi ASS) sono toccate dal tema famiglia solo in quanto figli, perché quella tra due uomini o due donne per la Chiesa non è famiglia, come ha ribadito recentemente per l’ennesima volta il Papa. Allora, se si vuole parlare di problematiche dei figli, forse è più urgente dedicare molta attenzione alla depressione giovanile, un dramma in crescita esponenziale, o alla dipendenza dalla tecnologia, tema su cui ci sarà credo un intervento ma che sicuramente non avrà lo spazio enorme che merita il fenomeno. Certo non avrà nessuna eco nei media (la colpa non è della Chiesa, ma dei miei colleghi, però bisogna sapere come funziona questo mondo).

Punto tre: molti dicono che ci sarà un incontro con “tanti tipi di famiglie”. Non ci voglio credere, anche se me lo hanno detto più fonti. Se fosse vero, c’è un’ombra pesante sulla relazione di Martin. Il vero obiettivo, dunque, non sarebbe far sentire accolte le persone ASS nelle parrocchie, per poi guidarle alla verità sulla loro affettività e sessualità. E non è neanche solo farle sentire accolte e basta, senza prospettare nessun cambiamento. Il vero obiettivo in ultima analisi potrebbe finire per essere cambiare la dottrina della Chiesa per via pastorale, come va di moda dire oggi.

Ora, a me che la dottrina della Chiesa sia riformata, nella continuità, non fa paura. Se stiamo sotto la guida dello Spirito per forza camminiamo, non temo le novità, e su quelle che non capisco sospendo il giudizio. Chi mi legge lo può confermare, non mi sono mai unita al coro delle critiche dei tradizionalisti, dei sedevacantisti, e via dicendo. Posso avere la mia sensibilità su alcune cose ma, ripeto, se non capisco sto zitta e aspetto di capire, certa che sono io che mi devo convertire.

Però di quello che sto scrivendo qui sono convintissima, qui si tratta della vita e della carne delle persone, alcune a me carissime; la posizione del Papa è molto chiara e netta, e questa cosa è troppo importante, e supplico chiunque possa fare qualcosa di farla.

Smettere di dire alle persone che attraversano un periodo di attrazione verso lo stesso sesso – perché molto più spesso di quanto si creda si tratta di un periodo – che possono trovare un cammino per loro, che li aiuti a stare dentro la Chiesa fin da subito, e magari anche poi a cambiare, una volta sciolti i nodi alla radice della loro situazione, significa condannarle alla sofferenza. Contrariamente a quello che scrive Martin nel suo libro, la sofferenza per queste persone non deriva dallo stigma sociale, ma dal fatto che il loro orientamento non corrisponde alla Verità che hanno scritta dentro. Tutta la retorica vittimistica che ha creato il falso mito dell’omofobia lo nega, ma è una gigantesca bugia. Il dolore viene da dentro, per ciò queste persone hanno bisogno urgente di particolare cura pastorale che dica la verità, non di altre bugie.

Cosa intende fare la Chiesa con le persone ASS? Solo farle sentire benvenute? È importante ma non risolve niente. Diciamo che è il livello minimo, la base. Tutti, anche i peggiori peccatori devono essere benvenuti nella Chiesa. Ma poi bisogna anche indicare un percorso possibile verso la verità. Perché non sono stati invitati quelli di Courage? Non dico al posto di, ma almeno insieme a Martin, uno che peraltro di famiglia non si è mai occupato!

Perché nessuno dei cammini che come Courage offrono un apostolato vero per le persone ASS, per non farle sentire escluse ma neppure inchiodate alla loro situazione? Perché invece Dublino darà la parola solo a chi sceglie di adottare l’acronimo dei militanti omosessualisti, LGBT, che riduce una persona alla sua attrazione sessuale? Uno non è gay lesbica o bisessuale, uno è Giovanni, Paola, Enrico. Non si può sminuire la complessità di un uomo definendolo gay, è come inchiodarlo a un momento della sua vita e dire che lui è tutto lì. La Chiesa non può rendersi complice di questa crudeltà.

Io conosco alcune persone ASS. E se ognuno è un mistero persino a se stesso, se ogni storia ha le sue particolari ferite, se non si può generalizzare, posso dire che ognuno viene o da una storia familiare difficile, o magari sulla sua fragilità ha agito una relazione patologica, o una povertà di relazioni. E poi ci sono quelli che hanno subito violenze fisiche o psicologiche, e sono tanti; sono tantissimi che dopo aver subito abusi da una persona del proprio sesso si convincono di un orientamento che non appartiene loro. C’è come una coazione a ripetere. La Chiesa ha la grande, enorme responsabilità di essere rimasta l’unica ad annunciare un modo diverso di parlare di queste cose, mentre gli psicologi o psichiatri se si esprimono così si beccano una denuncia. La Chiesa è l’unica salvezza, e tradire questo suo mandato è gravissimo, anche se è fatto in nome dell’accoglienza. Se vedi uno che va a suicidarsi lo accompagni?

Non tutti gli scandali vengono per nuocere. Anzi, quando qualcosa di molto brutto viene alla luce può essere un’occasione per fare piazza pulita delle ambiguità. Dopo lo scandalo gravissimo che ha coinvolto il cardinale McCarrick, che ha abusato per anni di ragazzi, il cardinal Farrell, pur avendo vissuto a lungo insieme a lui, dice di non essersi accorto di niente. Noi gli crediamo. Ma allora approfitti dell’occasione del meeting delle famiglie di Dublino, lui che è titolare del dicastero competente: fughi i dubbi che già tanti stanno insinuando su di lui, non permetta che nessuna ombra lo infanghi. Non faccia parlare di ASS solo un militante LGBT, lo faccia almeno affiancare da qualcuno di Courage, qualcuno che dica che c’è un modo cristiano di vivere un’inclinazione senza cedere al disordine, che ogni volta che si cede si può ripartire, basta che si abbia chiara la meta… O meglio ancora, non permetta che questo tema estremamente marginale per la famiglia si prenda la ribalta, come è successo per i divorziati risposati con AL. Faccia parlare solo chi con la famiglia si è impegnato seriamente, con competenza. Faccia parlare delle vere problematiche della famiglia. Che la Chiesa sia il luogo, l’unico al momento, in cui le famiglie si sentano davvero valorizzate. Che sia protagonista, per una volta, la loro normalità, la loro fatica quotidiana, lo loro solitudine.