di Costanza Miriano
Cara Costanza in carne ed ossa, (grosse, ho le ossa grosse, non è che mi sia appesantita in quarantena),
sono la Costanza Miriano dei libri che ti scrive, quella donna saggia, accogliente, silenziosa e sapiente che se ne va (andava) in giro a fondare truppe delle mogli di Gudbrando il montanaro in tutta Italia. Ti volevo dire che mi sa che ti serve un ripassino, ti ho visto un tantinello isterica negli ultimi giorni. Adesso, non è che pretendo che tu rilegga i libri che abbiamo scritto insieme, la vera tu ed io, cioè la tua versione letteraria sottomessa. Però ti faccio un veloce pro-memoria.
Allora, innanzitutto visto che tu sei in fase di sveglio lavoro (cerchiamo di non cedere all’inglese), il che vuol dire che fai telefonate mentre sbucci le patate e leggi notizie mentre spolveri, e di notte scrivi libri perché di giorno stiri e pulisci, e tranne un turno di montaggio in redazione non ti muovi da casa dai primi di marzo mentre tuo marito lavora, ti prego di ricordarti che, appunto, lui lavora, e quando torna da te l’ultima cosa al mondo che desidera – forse giusto un gradino sopra, che so, del sapere che la Lazio ha vinto lo scudetto a tavolino causa sospensione campionato – è trovare una moglie nervosa perché ha una figlia adolescente in fase oppositiva e altri comunque non proprio gestibilissimi chiusi in casa da due mesi. Lo so, tu hai molte cose da chiedergli, ma lui adesso, per qualche quarto d’ora, è come un cacciatore che ha puntato una superficie orizzontale (amaca, divano, qualsiasi cosa purché immersa nel silenzio) e fino a che non la raggiunge non sente niente. Cioè sente ancora meno del solito, che è già pochino. Torna dal lavoro, non da Santo Domingo dove è stato sulla spiaggia, stamattina ha fatto la spesa e da casa lo avete chiamato dalle 14 alle 16 volte per ordini su Amazon, cose che non funzionavano, cose di sua competenza (pompe, palloni, mazze da hockey) che non si trovavano. Ricordati che per le lamentele c’è Gesù (le chiese sono aperte) e le amiche (le compagnie telefoniche lo sanno e hanno fatto grandi promozioni).
Numero due: quando finalmente attiri la sua attenzione, dopo che ha fissato un punto nel vuoto per diciotto minuti appena tornato a casa, cerca di gestire oculatamente il tempo di ascolto. Hai due minuti e venti: usali bene, esponigli una sola questione precisa e chiedigli cosa ne pensa. Non vomitargli addosso le trecentoventiquattro cose che vuoi cambiare della vita tua e dei figli, non tutte insieme. Al terzo “eh?” sappi che hai finito il tempo, e preparati una richiesta precisa perché troncherà la conversazione con il suo solito “sì, va bene, ma dimmi cosa ci posso fare io”. Fagli una richiesta precisa. Non una lunga e sofferta disamina sullo scarso stato di salute della scuola pubblica italiana, ma precisamente “risenti la seconda guerra mondiale a Lavinia”.
Consiglio numero tre: non scendere mai sotto un livello minimo di manutenzione. Trucco sempre. Leopardo poco, a lui non piace. Piume tollerate. Tuta MAI. Solo leggings ma esclusivamente quando vai a correre. Tacchi no perché in casa si sta scalzi, ma per la spesa sempre. Magliettone sformate mai. La manutenzione va fatta senza farsi troppo notare. Depilarsi a porta del bagno chiusa, profumo anche per andare a dormire. Negare sempre, anche l’evidenza. Alla di lui domanda – non delicatissima, peraltro – “ma tu con il parrucchiere adesso come farai?” rispondere con nonchalance che non ti cambia niente, perché i tuoi colpi di sole sono naturalissimi, basterà andare un po’ in giardino, tu i capelli bianchi non sai manco cosa sono, e non accennare mai per nessun motivo allo spray ritocco radici, che peraltro sta in bella vista sulla mensola in bagno, cioè uno di quegli spazi che non vengono mai inquadrate nel suo campo visuale (come il burro in frigo).
Consiglio numero quattro: i maschi come sai bene hanno un sistema di autoricarica che funziona con il vuoto. Non devono riempire tutto come noi, che abbiamo sempre tre o quattro pratiche aperte nella nostra testa. Gli uomini hanno bisogno del nulla, ogni tanto. Quando vedi che Guido si siede al sole tre minuti, l’ultima cosa al mondo che dovresti fare, e la primissima che fai sempre, è chiedergli “stai cercando qualcosa da fare?”. No. Non sta cercando niente. Non vuole annaffiare le azalee, portare fuori la spazzatura, aggiustare l’appendiabiti della camera delle femmine. Non vuole fare niente, per quanto incredibile possa sembrarti. L’ideale, se tu avessi capito qualcosa dei libri che hai scritto, sarebbe che tu andassi vicino a lui con un bicchiere di chinotto Neri e ti mettessi seduta vicino a lui in silenzio, ma questo infrangerebbe praticamente tutte le regole della fisica per te (stare seduta? Improduttiva? In silenzio? Impossibile).
Consiglio numero cinque: non si può uscire a cena, ed è difficile stare soli in situazioni romantiche – che so, vedere una rovesciata di Zaniolo mano nella mano – ma si possono cercare momenti speciali: un salto in chiesa insieme, un caffè seduti sul divano invece che in piedi in cucina litigando sul menu. Andare a dormire insieme. Non svenire sul divano neanche se sei in piedi da venti ore. Fai gli ultimi tre metri fino alla doccia e vai in camera senza ciuffi di polvere tra i capelli se puoi.
Consiglio numero sei: con tutti i figli in fase diciamo non proprio brillantissima – tra l’esagitato e l’annoiato, con picchi di revival entusiastico e allegrissimo “rivediamo i cartoni di quando eravamo piccoli” e pomeriggi di silenzi e porte sbattute adolescenziali – si sa che tutti gli umori ricadono sulla mamma, che li deve mettere a massa. Il problema è che tu, che a tratti sembri una donna padrona di sé, equilibrata e calma, ogni tanto mi sbrocchi senza preavviso, e vorresti a tua volta rovesciare tipo camion della spazzatura arrivato alla discarica, tutto su tuo marito. Ma sono venti anni e più che te lo dico. Ci abbiamo scritto anche dei libri: Non. Lo. Puoi. Fare. Sempre. Ricordati di quel metodo che ti eri inventata appena sposata, quando stavi in maternità e allattavi gemelle e uscivi di casa solo per correre e andare in chiesa (praticamente come ora) e aspettavi il povero marito come unico referente di tutta la tua vita sociale, amico amante collega confidente. Avevi imparato che quando faceva qualcosa che non andava (cioè sempre, perché tu sei una perfezionista rompiscatole da Nobel) non glielo dicevi subito, ma quando arrivava il momento opportuno. Avevi (hai ancora, lo so) quella pila di post it in cucina per scriverti le cose da dirgli, ma cercavi il momento giusto. Quando era di buon umore, stavate passando un po’ di tempo insieme, magari quando non dico che ti faceva un complimento, no, perché quello non ce la fa – è come chiedere a un elefante di fare un grand plié – però insomma sembrava quasi provare non dico trasporto, ma una sincera stima per te.
Dai, forza, l’hai detto a un sacco di donne. Adesso tocca a te.