Regali di Natale

di Costanza Miriano

Non è perché ho appena ricevuto in regalo una borsa strepitosa: già da qualche giorno mi frullava in testa l’idea di fare non una lista con i regali da chiedere a Gesù Bambino, ma una di quelli ricevuti, che sono proprio tantissimi, non solo adesso e non solo a Natale, ma tutta la vita. Lo so, non è che la mia lista interessi a nessuno, però io ve lo volevo dire: la sto facendo, e scopro che è vero quello che dice Chesterton, che “la misura di ogni felicità è la riconoscenza”. Più punto lo zoom sulle grazie che ho ricevuto, più ne vedo.

Cominci l’elenco e te ne viene in mente un’altra. E’ come un pozzo senza fondo. Mio marito mi ha parlato prima delle 7.42 di mattina, il che è già una notizia grossa. Abbiamo il latte per la colazione, il gas per scaldarlo, i biscotti da mangiare, ci siamo svegliati vivi in un letto caldo dentro una casa che sta in piedi. Abbiamo un lavoro e delle scuole dove andare. Non ho ancora messo i piedi per terra che ho già sette, otto grazie di cui rallegrarmi. E’ una sorta di allenamento dell’anima, ci si educa a vedere quanto si è ricevuto e si zittisce radio Satana, che da dentro mormora in continuazione, non gli sta mai bene niente, e cerca di rovinarti tutto (vedi la casa come è in dsordine? Vedi quanto è silenzioso tuo marito? Ma ci pensi che dovrai correre come una pazza fino a sera, non finirai la metà delle cose che devi fare, e non avrai neanche nulla da mettere?).

I miei figli ogni tanto mi prendono in giro per questa mia testarda Pollyannaggine estrema, ma io dico sempre che non è un giochetto di società, non è un vezzo, è solo la scoperta di essere figli: può tuo Padre permettere che il male vinca? Può lasciare che il dolore e la fatica siano senza senso? E per quanto grandi, saranno sempre più piccoli di noi, come è più piccola e controllata da noi la nostra ombra. Perché per quanto dolore ci tocchi, siamo venuti alla vita, proprio noi e non un’altra combinazione di cromosomi, noi e non un altro, noi siamo stati voluti.

Ti svegli, apri gli occhi e ci vedi, o almeno il tuo cuore batte, respiri e dunque oggi ancora hai tempo di convertirti a Dio. Puoi volere bene a qualcuno, puoi rendere più bella o più lieve o meno dolorosa la vita di un’altra persona. E se non hai nessuno da amare, puoi raccogliere una cartaccia da terra, puoi offrire una fatica che stai facendo, puoi accogliere una sofferenza senza lamentarti. Soprattutto, puoi pregare. Questo lo possono fare tutti, anche chi è immobilizzato a un letto, anzi. Chi ha mille cose da fare – basta ogni tanto rimettere il cuore nella direzione giusta, è sufficiente una giaculatoria – e chi non ha niente, come magari qualche vecchio in un ospizio dimenticato, di provincia (ne conosco una che in cielo brillerà come una super stella).

Ecco, pregare. Volevo dire che in questo tempo ho sperimentato la potenza della preghiera: il fatto è che noi non ci crediamo, e non ci decidiamo a chiedere con convinzione. E’ ovvio che la preghiera non è una cosa magica, e Dio non è un juke box. Lui ci dà il meglio per noi, che non sempre coincide con quanto chiediamo, ma io per esempio non sempre chiedo, non abbastanza. Però Dio vuole che chiediamo, nel vangelo lo dimostra a ogni pagina: Gesù accorda le grazie a chi gliele chiede, perché lui vuole educarci a essere figli, e i figli chiedono ai genitori. Non è vero che lui sa di cosa abbiamo bisogno, e quindi non serve chiedere. Lui sa, ma desidera che chiediamo, perché senza il nostro consenso non interviene nella nostra vita, non viene a violare la nostra libertà, che è sacra per lui. E, siccome, dopo oltre un anno di Sacri Manti, glielo ho promesso (il Sacro manto è una preghiera che dura trenta giorni), voglio dire che san Giuseppe è davvero un protettore formidabile, un padre che provvede silenzioso, che opera nel nascondimento. Le sue grazie si riconoscono da una cosa: sono tutte grosse, ma tanto. D’altra parte se l’Onnipotente gli ha consegnato sua Madre e suo Figlio, deve essere un tipo bello affidabile.