Solo la Chiesa può tenere accesa la luce della Verità

di Costanza Miriano

Siccome io non parlo l’ecclesialese, non so lanciare messaggi incrociati né usare tatticismi, lo dico in questo modo per niente diplomatico.

Da tempo – direi dall’approvazione della legge sulle unioni civili con la benedizione di Galantino – sento dire da tante persone che non avrebbero più versato l’8 per mille alla Chiesa cattolica perché non se ne sentivano più rappresentata (e infatti la Chiesa purtroppo ha perso due milioni di contribuenti). Di certo non per la sua rigidità, perché non abbiamo mai avuto una Chiesa tanto “dialogante”. Il popolo sceso in piazza per dire che le persone dello stesso sesso potevano liberamente convivere e avere tutti ma proprio tutti i diritti dei conviventi, ma non avevano alcuna necessità di una legge sulle unioni, si aspettavano che la Chiesa li appoggiasse e sostenesse, continuando a dire che maschio e femmina è l’unica unione nel disegno di Dio, invece si è vista sbattere molte porte in faccia proprio dai pastori che dovevano insegnare queste cose.

In questi anni di continue concessioni da parte di tanti pastori più politici che dediti alla salvezza eterna, anni di distinguo, affermazioni piene di timidezza e sensi di colpa ho fatto interminabili discussioni con tanti amici per dire che nonostante tutto questa è la nostra Chiesa, e nonostante le macchie e le fragilità bisogna sostenerla. Ultimamente, con l’avvicinarsi della discussione della legge che renderebbe reato sostenere pubblicamente quello che dice il Catechismo le persone che ho sentito minacciare lo sciopero dell’8 per mille erano ulteriormente cresciute. “Vediamo, se non capiscono la piazza, capiranno con le casse vuote”.

Per questo sono molto, molto grata alla CEI per avere detto che la legge sull’omofobia non serve, perché la cura e il rispetto di ogni persona senza distinzione non è in discussione, ma la Verità e la libertà di espressione neanche. Ho alzato il telefono con alcuni di quegli amici e ho potuto dire la mia frase preferita (vedi? Te l’avevo detto!).

Adesso Avvenire – che tra l’altro è tra i beneficiari dell’8 per mille – e che da tempo sembra una versione neanche molto più cattolica di Repubblica ha intrapreso come previsto la sua battaglia per cercare di correggere il tiro. Il giorno dopo il comunicato in cui la CEI ha tenuto la schiena dritta il solerte Moia si è affrettato a fare un’intervista a Zan (primo firmatario di uno dei ddl bavaglio). Un’intervista che dire amichevole è dir poco, ponendo domande molto “aggressive” tipo “Affermare la verità del matrimonio fondato sull’amore tra uomo e donna, senza attribuire identica valenza alle unioni omosessuali, diventerà un reato?” Cioè, ho letto bene? Chiede davvero se ci è ancora permesso dire che l’unione tra uomo e donna è vera, e che quella omosessuale “non ha la stessa valenza” senza andare in prigione? Ripeto, ho letto bene? Come “non ha la stessa valenza”? La Chiesa dice che è peccato. Senza sfumature. Il giornale dei vescovi chiede il permesso di dire senza commettere reato che la Chiesa alle persone che provano attrazione verso lo stesso sesso propone solo ed esclusivamente la via della castità? Cioè un giornalista del giornale della CEI?

La Chiesa sa, scrive, annuncia che l’omosessualità non compie il disegno di Dio sui suoi figli. Non accusa e non colpevolizza – ancora aspettiamo da Moia un pezzo in cui ci riporti una storia in cui un omosessuale è stato maltrattato dalla Chiesa – ma fa la vera e più importante forma di carità, la Verità. E la Chiesa non può permettere che i suoi figli che diranno la Verità andranno in carcere, o anche siano “solo” querelati, con tutto quello che in termini di tempo, soldi, energie questo comporta. La Chiesa non può permettere che ai bambini nelle scuole, questo prevede il testo unico nelle anticipazioni pubblicate da L’Espresso, si insegni il contrario di quello che ascoltano in chiesa e a catechismo, cioè che il sesso non è una percezione ma un dato oggettivo, un dono secondo il quale compiere un progetto; non potrà permettere che venga loro insegnato a scuola a esplorare, sperimentare ogni tipo di identità (e magari i genitori che si opporranno, denunciati, rieducati, esautorati?). Chi ci difenderebbe da un indottrinamento di Stato?

Io non credo che questa volta i vertici della CEI cederanno alla lobby interna, sanno che la legge lascerebbe in pasto i cattolici alla minaccia di essere denunciati per una parola, di perdere il posto di lavoro per avere detto che solo le donne hanno il ciclo, o che solo le donne partoriscono, come è successo a un’ostetrica in Inghilterra, al capo dei pompieri in America, al pasticcere in Usa, al padre di famiglia in Francia, al dipendente di Ikea in Polonia. Proprio ieri le nazioni Unite, che sembrano essere per una parte di Chiesa un punto di riferimento più importante del Catechismo, hanno twittato che le donne transgender sono donne. E chi nega questo ne cancella l’identità e ne nega la dignità. Il livello verso cui ci incamminiamo in Italia è questo, e la Chiesa è l’unica a difenderci da un presunto reato di omofobia che nei ddl rimane pericolosamente indefinito (a meno che non faccia giurisprudenza l’intervista di Moia, che chiede rassicurazioni a Zan: scusi la sua legge è liberticida? No, si figuri!).

Ma fino a che la Chiesa tiene accesa la luce della ragione e della libertà di opinione, bisogna continuare a sostenerla, anche economicamente. La CEI, oltre a sostenere un’informazione in cui ci riconosciamo sempre meno, usa i nostri soldi per fare del bene, come per esempio per il fondo Gesù divino lavoratore, istituito per volere del Papa a Roma per quelli che in questi mesi hanno perso il lavoro, o per chi magari lo aveva in nero o precario: la Chiesa ha messo 1 milione di euro, la regione e il comune 500mila euro per uno.

Potrà aiutare 1800 famiglie, alle quali andranno dai 300 ai 600 euro al mese per sei mesi. Chi chiederà aiuto parteciperà anche a dei percorsi di (re)inserimento nel mondo del lavoro, e avrà a disposizione avvocati, commercialisti, bancari, psicologi, educatori, insegnanti, appartenenti alle forze dell’ordine, perché, come ha scritto il nostro Cardinale, non basta dare contributi economici, serve “restituire dignità a tutti coloro che a causa della perdita del lavoro o della sua precarietà sono caduti nello scoraggiamento e pensano di non farcela” (per informazioni 06/88815190, o [email protected]). “Vorrei veder fiorire nella nostra città – ha scritto il Papa al Cardinale De Donatis – la solidarietà della porta accanto, le azioni che richiamano gli atteggiamenti dell’anno sabbatico, in cui si condonano i debiti, si fanno cadere le contese, si chiede il corrispettivo a seconda delle capacità del debitore, e non del mercato”. Siamo con lei, Santo Padre, nel cercare di farci carità continuando a dire la Verità. Certi che come ha detto lei: La carità senza verità diventa ideologia del buonismo distruttivo e la verità senza carità diventa “giudiziarismo” cieco…