Venerdi 13 maggio il giro delle Sette Chiese nella notte

Il 13 maggio alle 19 ci si ritrova per partire per il giro notturno delle Sette Chiese, appuntamento a Chiesa Nuova, verranno date le istruzioni, distribuite le cuffiette (credo che l’offerta sia di 5 euro) e si partirà, per attraversare Roma di notte, pregando e cantando e ascoltando le catechesi di padre Maurizio Botta

Il percorso è di circa 25 km, bisogna portare qualcosa da mangiare e per coprirsi L’arrivo è tra le 7 e le 8 a santa Maria Maggiore

Per chi non avesse idea di cosa si tratta riproponiamo il racconto di Costanza di qualche anno fa…

Le Sette Chiese nella notte, un pellegrinaggio che apre il cuore

di Costanza Miriano

Partecipare a un pellegrinaggio che ha oltre settecento anni di storia è qualcosa di davvero prezioso: sei parte di un popolo in cammino da secoli, e anche se porti le Brooks Glycerin verde fluo ti senti concittadina dei santi, contemporanea di san Pietro e san Paolo (e comunque indossavo pochissima roba glitterata, e manco una piuma).

Siccome quando una cosa è bella desideri condividerla, voglio raccontare qualche pezzetto della bellezza che ho incontrato, anche per invogliare chi si lascia spaventare dall’impresa. Diciamo subito che se uno è in un normale stato di salute e non viene da tre notti insonni per allattamento gemelli o guardie in ospedale, si fa senza problemi.

Si comincia – per chi vuole – con la messa a Chiesa Nuova alle 19, poi ci si divide in gruppi, ognuno con un nome di un apostolo. Per tutta la notte, poi, il cartello con quel nome che avrai scelto sarà la seconda cosa che cercherai con più zelo (la prima sarà il bagno, benché anche qualche albero in zone poco illuminate potrà avere un suo fascino, alla bisogna). Le regole sono semplici, soprattutto bisogna obbedire alle indicazioni, cioè tenere il passo giusto – né troppo veloce per far vedere che tu corri la maratona e quello per te è niente, né troppo lento tipo passeggiata balneare -, non andare in mezzo alla strada, non parlare nei tratti di silenzio, non pregare per conto tuo quando si prega tutti insieme. E’ una comunità in cammino, sennò puoi fare il pellegrinaggio da solo tutti gli altri giorni dell’anno.

Le preghiere e le meditazioni sono quelle scritte da san Filippo Neri, colui che diffuse la devozione delle visite alle basiliche giubilari: ai suoi tempi il pellegrinaggio del giovedì grasso arrivava a coinvolgere seimila  persone (noi l’11 maggio eravamo circa novecento). Il tema delle riflessioni è stato la forza: le forze, anche quelle del male, che agiscono in noi, la piccola forza della nostra volontà, e la grande forza dello Spirito Santo, che siamo qui per mendicare tutta la notte.

La prima tappa, proprio come faceva San Filippo, è stata castel Sant’Angelo, poi novecento persone si sono inginocchiate – uno spettacolo niente male – davanti a San Pietro, e a seguire abbiamo consegnato i nostri malati a Santo Spirito in Sassia. Da lì si scende sul lungotevere (transennato per il rischio piena fino al giorno prima, ma poi  fortunatamente accessibile) per arrivare all’isola Tiberina, alla basilica di san Bartolomeo. Da lì a san Paolo il tratto più lungo, attraverso il Testaccio e via Ostiense (sentite pittoresche ipotesi topografiche con accento romano: “aho, me sa che qui stamo a Trastevere!” Io in confronto mi sentivo una guida turistica, nonostante il mio senso dell’orientamento da paguro: temo che ci siano romani che non escono mai dal proprio quartiere). Di san Paolo – perché a ognuna di queste tappe elencate c’è una breve catechesi e una preghiera – devono esser state dette cose molto belle, ne sono certa, ma la mia mente a quel punto – è passata la mezzanotte e non mangio dalle due del pomeriggio – pensa solo “paninopaninopanino”, tipo Scrat con la ghianda, per capirci.

Alla Garbatella c’è la pausa bagno e la pausa cena (il caro don Fabio Bartoli non è più in via Ostiense e non si può più contare sulla sua ospitalità, che sarebbe stata prima di san Paolo). Il tempo di mangiare poi si va in chiesa per una catechesi sulla castità, sul bisogno di cristificarci sempre di più, con la preghiera. Attraverso via delle sette chiese si arriva a quella che per me è la tappa più bella (nonché la mia meta per la corsa preferita): la chiesa di san Sebastiano, alle catacombe sull’Appia Antica. E’ il momento in cui si medica lo Spirito Santo, perché da soli non siamo capaci di nulla di buono, e questa rimane la cifra del pellegrinaggio. Mendicare, mendicare lo Spirito: mendicare vuol dire che se non ti arriva quella carità neanche mangi, vuol dire che muori, vuol dire che dipendi da quella grazia.

In questo clima di silenzio totale, di concentrazione e di preghiera intensa una macchina ci chiede di interrompere il nostro lungo serpentone “perché dovemo annà ar bagno, ed è pure abbastanza urgente”; menzione d’onore alla faccia di bronzo che serve a urlare una frase del genere davanti a quasi mille persone. A me purtroppo la cosa scatena una crisi di ilarità, ovviamente dodici secondi dopo che padre Maurizio aveva con grande serietà chiesto il massimo silenzio, perché è il momento di riprendere il cammino attraverso le catacombe di San Callisto, qui dove sono sepolti cinquecentomila dei nostri fratelli che ci hanno preceduto nella fede, tra cui diciannove dei primi papi e molti dei martiri dei primi secoli. Di solito il cancello qui chiude al tramonto, ed è un privilegio unico percorrere la strada di notte, in un silenzio assoluto che ha del miracoloso: quando mai quasi mille persone riesci a convincerle a non fare un fiato, a non accendere una torcia nel buio pesto?

All’arrivo a san Giovanni mi viene riconsegnato il mio rosario che ero certa di avere perso – credo che ci sia qualcuno che dopo che lasciamo i posti delle catechesi fa il giro per vedere se è stato abbandonato qualcosa – (a dispetto delle battute di padre Maurizio sul mio cattivo gusto è un oggetto estremamente sobrio, senza manco una piuma, uno strass o una macchia di leopardo) e si riparte per santa Croce in Gerusalemme: ogni tratto del cammino ripercorre una tappa del cammino che ha fatto Gesù la notte della sua passione e poi fino al Golgota. Certo non soffriamo come lui, ma magari un po’ di stanchezza – è già sorto il sole – si comincia a sentire. Da santa Croce si va a san Lorenzo fuori le mura, accanto al Verano (credo che molti di noi abbiano pensato anche a Chiara Corbella Petrillo) e tutto, come sempre quando si passa da un cimitero, assume una luce nuova: ci sentiamo più vivi, è una bella giornata, serena e tiepida e la colazione si avvicina. Padre Maurizio consiglia come tappa per qualche passeggiata il Verano, che peraltro è più pulito e ordinato del resto della città, per il potere che hanno i cimiteri di ristabilire le prospettive.

E’ il momento di dirigersi verso santa Maria Maggiore, per affidare alla Madre i nostri cuori e le grazie che vogliamo chiedere a Dio. Si attraversa dunque la stazione Termini: come sempre il momento più esilarante della giornata, con la gente che guarda basita , la bocca aperta e il trolley abbandonato inerte, questo sacerdote alto con la talare che canta  a squarciagola il Salve Regina e le litanie mariane e dietro di lui centinaia di persone che rispondono, di prima mattina. Spero che nessuno di quelli che ci ha filmato, praticamente tutti, diffonda il video, perché l’occhiaia a oltre dodici ore dall’ultima passata di correttore, dopo una notte in bianco, assume dimensioni preoccupanti.

Ecco, lo so che è impossibile raccontare quello che succede dentro ai cuori, la grazia che continua a sgorgare e a rendere diverso ogni gesto delle giornate a seguire (e se uno non spegne la grazia, dei mesi e degli anni), e la certezza di avere fatto un altro passo avanti verso la conoscenza dello Sposo che tutti noi che eravamo lì desideriamo conoscere. Lo so che non si può dire, che ho impoverito tutto, ma se avrò convinto almeno una sola persona a provare, il prossimo anno, ne sarà valsa la pena.

Un’ultima cosa: dovevo anche ringraziare Oratorium  che sostiene economicamente le molte attivitùà dei padri della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, che mettono a disposizione di tutti tanta bellezza. Così, gratis (5 euro per le cuffie, il ripetitore e il libretto delle preghiere che rimane ai pellegrini non credo coprano neppure le spese). Solo per amore di Dio, per amore della Chiesa e del suo deposito, per il desiderio di tramandarlo e condividerlo. Per cercare di  diffondere una cultura dello studio, del lavoro e dell’arte come luoghi privilegiati di realizzazione della persona e di servizio alla società. Per il desiderio di formare una cordata di amici e fratelli verso il cielo. Ecco, è sempre brutto parlare di soldi, e se fossero per me non lo farei, ma volevo ricordare che tutte le risorse che ha Oratorium le investe per generare linfe vitali di bellezza e fede e cultura. Per cui chi non sa a chi dare il suo cinque per mille, si ricordi che questa è una scelta davvero buona per tanta gente, ben oltre i confini della parrocchia o della città.