VIA CRUCIS. Le meditazioni di don Vincent

Pubblichiamo le meditazioni alle stazioni della Via Crucis scritte da don Vincent Nagle, che ci fa così un grande, grande regalo. E’ il cuore della nostra fede, e, se a volte ce ne dimentichiamo, in questa settimana possiamo resettarci e rimettere a fuoco quello in cui crediamo. Buona Settimana Santa. 

Medjugorje: novembre 2018

I stazione: Gesù è condannato a morte

Gesù è condannato, ma lui non è il colpevole. Lui è esposto allo scherno e
al disprezzo violento del popolo, ma non è lui che ha commesso i peccati. È
lui che viene caricato della croce su cui sarà inchiodato, ma non è lui che ha
tradito la verità. Sono io colpevole, ma non vorrei prendere il suo
posto. Sono io il peccatore, ma non sarei disposto ad espormi nella mia
vergogna al giudizio del popolo. Sono io che tradisco la verità, ma fuggo
ogni pena, ogni peso, ogni sofferenza.
Quando lo vedo ridotto così, col suo corpo coperto di colpi, piaghe, ferite,
quando vedo il suo viso pieno di lividi e sangue, e la corona di spine fissata
sul suo capo, non mi viene la voglia di prendere il suo posto: lui innocente ed
io no. Non contemplo di poterlo sostituire per subire quel che merito,
mettendomi al posto di lui che non lo merita. Sono contento che un
innocente soffre nel mio posto.
Cosa deve pensare di me? E mi chiedo se lui, accettando la croce da
innocente, pensa a me che, nello stato di peccato, non faccio niente per
accompagnarlo. Mi chiedo cosa pensa mentre lui soffre tutto, tutto per me,
mentre io, che lo merito, non accetto di soffrire nulla per lui, e nemmeno per
me stesso.
Gesù, permettimi di accompagnare te oggi in questa via dolorosa, e tutti i
giorni di offrirmi nell’essere unito a te e al tuo sacrificio per la salvezza mia e
per quella del mondo. Fa sì che l’esperienza della comunione con te, nella
tua misericordia, vinca sul mio terrore davanti alla apparenza raccapricciante
della sofferenza.

II stazione: Gesù è caricato della croce

Si tratta di quel terribile, indicibile momento in cui la nostra libertà viene
realmente messa alla prova: dover accettare la croce, questa croce. Non
questa!, non questa!, viene da dire. E’ inaccettabile per noi portarla, e siamo
invidiosi nel vedere quella leggera degli altri.
Il primo anno di sacerdozio ero malato e mi hanno mandato in montagna, in
un piccolo paese del Trentino, dove visitavo gli anziani in casa. Uno di questi
aveva una piccola finestra che guardava verso la piazza e mi diceva “Ci
lamentiamo molto delle nostre croci, ma sono convinto che, se
improvvisamente diventasse visibile ogni croce e le portassimo tutte in
centro, deponendole lì potendo sceglierne una, ognuno tornerebbe a casa
con la propria.”
C’è una cosa che costa dire, ma è così: la croce che ci viene data, che Dio ci
dà, è scolpita precisamente per salvare me. Per me formulo questa ipotesi,
tante volte provata e tante volte rigettata perché la mia libertà è piccola. E’ la
croce fatta dalle cose più inaccettabili. Se accetto di portarla, di baciarla,
allora avrò imparato ad amare e questa è la fonte della vita eterna per noi e
per tutti, significa salvare il mondo con Gesù Cristo. La croce scelta per noi
appare inaccettabile, ma è il luogo privilegiato per andare in fondo
all’esperienza della Misericordia di Cristo. Domandiamo, allora di
scommettere follemente sull’esperienza della comunione con lui.

III stazione: prima caduta di Gesù

Ogni limite per noi è fonte di violento rifiuto, perché parla del limite
rappresentato dalla morte; non vogliamo guardarla in faccia e non vogliamo
neanche domandare di vederla in Cristo, con Cristo e per Cristo come passo
d’amore, come offerta di compassione eterna a Dio affinché noi mortali
possiamo non perdere niente. Ogni volta il nostro cuore rifiuta il limite
dell’altro, del mondo e il nostro, invece di domandare che passi anche da lì
l’amore, invece di domandare che il limite ci apra, che ci strappi, per
diventare partecipi del Suo amore senza limiti.
Lui è caduto. E’ figlio di Dio, ma è anche uomo ed è sfinito; Lui, così
imbattibile in ogni cosa fino a quel momento della sua vita. Adesso, davanti
a tutti, sotto lo scherno di tutti, cade, perché non ce la fa più. Quello è il vero
momento di grazia, in cui dire: tu, o Padre, il tuo amore, renda questa caduta
umiliante, sia a livello privato ( mi vergogno di me), sia pubblico (odio quelli
che assistono alla mia umiliazione) un momento di apertura al tuo amore.
Così anche la vita, con i suoi limiti umani, con la mortalità addosso, sia
esperienza gioiosa del tuo amore eterno.

IV stazione: Gesù incontra sua madre

Una cosa è accettare di soffrire vivendo o vivere soffrendo con santità, con
grettezza o con gratitudine. Un’altra è vedere come la nostra scelta, anche di
vivere secondo Cristo, fa soffrire gli altri, mette gli altri in difficoltà, mette in
crisi il loro mondo. Può accadere che proprio la nostra scelta di seguire Dio
dia così tanto sgomento che a causa di questo inizino a rifiutare Dio.
Che cosa è questo sguardo fra la Madonna e Cristo? Lui vede fino in fondo
tutto, ma non so se il suo cuore di figlio poteva veramente prevedere il
dolore di un incontro così dopo aver baciato la sua croce, accettato di
essere schernito, odiato, torturato, spellato.
Guardare negli occhi sua mamma e vedere come la facesse morire, questo
dolore dovuto al suo voler seguire la volontà di Dio, forse è stata la vera
prova per lui. Era come invitarla a camminare con lui fino in fondo, senza
nemmeno la sua natura divina ad aiutarla.
Non c’è niente da fare, l’amore per il destino dell’altro chiede un distacco,
per aiutarlo dobbiamo obbedire non alla sua volontà, ma alla volontà di Dio e
questo ci fa soffrire. Chiediamo che Gesù guardi nei nostri occhi e veda
almeno un po’ di compassione in noi, che il suo dolore e quello della
Madonna facciano sì che, almeno in piccola parte, i nostri cuori siano
spezzati, cioè morti alla speranza che le cose di questo mondo ci possano
rendere felici, e che possiamo vivere unicamente per una promessa
incontrata in carne ed ossa su questa terra, ma non di questa terra. Il che
significa vivere nel suo cammino di salvezza. Il mondo non tarda ad
accettare il nostro invito di spezzarci il cuore fino in fondo. Ma senza questo
spezzarsi del cuore, le cose di questo mondo (affetti, soddisfazioni, salute,
tutto ciò su cui contiamo) diventano una prigione per noi.
C’è un dolore indicibile in questo incontro, ma vince l’esperienza della
comunione e con distacco aiutano uno all’altra ad andare avanti, fino in
fondo. La loro libertà nell’andare avanti ci faccia chiedere anche per noi una
libertà così, per la salvezza nostra e del mondo.

V stazione: Gesù è aiutato a portare la croce da Simone di Cirene

Una cosa è certa: Simone, il Cireneo, non ha scelto lui questa croce e non
era cosciente di averla meritata in nessun modo. Era solo una pura
ingiustizia e, per quanto capiva lui, una immeritata ingiustizia. Era
terrorizzato, preso dai soldati e obbligato da loro a portare un peso ( e
questa era una cosa comune) ma si trattava di “questo” peso, macchiato dal
sangue del condannato, dopo averlo posto accanto a lui in questo compito.
Ogni volta che contemplo l’episodio di Simone capisco questo: nel Vangelo
di Marco ci sono anche i nomi dei suoi figli, Alessandro e Rufo; perché
sappiamo questi nomi? Sappiamo anche che era di Cirene, che quel giorno
aveva lavorato nei campi e stava tornando a casa. Ci sono tante
informazioni. Perché?
Perché in quel gesto di immeritata condanna lui si è trovato amato, proprio
in quel gesto violento, con il quale era stato preso tra la folla e buttato sotto
un peso schifoso e pieno di sangue per accompagnare un po’ la sorte di un
condannato.
Improvvisamente si è trovato amato e perciò, sotto quel peso, non voleva
più andarsene da quella compagnia ed è rimasto; così i Vangeli sono pieni di
informazioni su di lui. Perché lui non è mai andato via dalla compagnia
cristiana. L’esperienza della comunione ha vinto in lui ogni disgusto e paura
dell’apparenza.
Che sia così anche per noi! Quella cosa che riteniamo ingiusta, e forse non lo
è, quando ci capita ci porta a ribellarci, a voler prendere in mano una spada
per eliminare il nemico, ma possiamo almeno fare una domanda “Tu sei qui,
o Cristo, amami qui!”
E’ un nuovo mondo, ascoltiamo questo invito.

VI stazione: Santa Veronica asciuga il volto di Gesù

Siamo imbevuti delle nostre capacità, quanto ci sentiamo potenti, capaci di
cambiare il mondo, trasformarlo secondo la nostra immagine! Ovunque si
trovano articoli e si sentono discorsi in questo senso, per esempio su che
tipo di educazione dare ai giovani allo scopo di cambiare il mondo.
Quando vedo la Veronica io penso questo: lei cosa poteva fare per cambiare
il mondo, l’ingiustizia in giustizia, la condanna in grazia, la bruttezza in
bellezza, la morte in vita? Niente. Però ha fatto una cosa: è andata vicino a
uno che faceva paura, mentre provocava compassione. E’ facile pensare:
per fortuna non ci siamo trovati noi in quella situazione!
Noi non cambiamo il mondo, ma Dio ci dà la possibilità, come con la
Veronica, di amare l’uomo e questo cambia tutto. La prima cosa che viene
cambiata non è la sofferenza a cui ci si avvicina, ma siamo noi. E il frutto di
ciò che ha fatto la Veronica è che l’immagine di Cristo è rimasta con lei. E’ lei
che è cambiata, è stata trasformata nell’immagine di Cristo. Conosciamo
tutti la vicenda.
Ma a noi viene da pensare: io ci andrò quando avrò la forza, mi avvicinerò
quando avrò qualcosa da dire.
Ricordo l’esperienza di un amico che mi ha chiamato in un momento di
difficoltà. Viveva da moltissimi anni un’esperienza di vita cristiana attiva e
missionaria e seguiva da tempo una famiglia che quel giorno aveva subito
una tragedia indicibile, la morte di una figlia che era stata uccisa
crudelmente. Lui non voleva andare da loro perché non sapeva che cosa
dire per poter cambiare le cose e tutte le sue certezze sono venute meno. Lo
ho invitato ad andarci sentendosi povero come lo erano loro, ma con una
domanda pressante: ”Dove sei, o Cristo, dove sei?” Così ha fatto e dopo mi
ha dato testimonianza di tutto ciò che ha visto nella settimana successiva: lui
è stato cambiato.
Chiediamo di vivere questa esperienza della Veronica, almeno avvicinandoci
con la domanda: ”Dove sei, o Cristo?” Lui farà quello che vuole, ma
sappiamo che avvicinandoci alla sofferenza per compassione di lui, veniamo
cambiati noi.

VII: seconda caduta di Gesù

Pensiamo alla nostra impotenza davanti ai desideri, alle sfide, alla nostra
debolezza esposta a tutti, a quelli che non ci amano, che ci vogliono male:
dobbiamo apparire davanti a loro inermi.
Ma non è impotenza se di mezzo c’è l’obbedienza, non lo è la caduta se
avviene nell’obbedienza. Non è fallire ma compiere la volontà di Dio, cioè
partecipare alla vittoria di Cristo.
Madre Teresa, quando le chiedevano come era possibile avere la sua gioia,
era solita dire: “E’ semplice, date finché non vi faccia male e poi avrete
gioia.” Che cosa vuol dire? Significa: date finché non provate paura per
quello che avete dovuto fare, per quanto avete “perso”, finché non siete
usciti dal vostro campo di sicurezze per vivere della sicurezza di Cristo. La
sua promessa si farà sentire e così si sperimenterà la libertà, credendo
veramente alla sua promessa di vita, nella gioia.
Volete la mia gioia? Date finché non vi faccia male!
Gesù dunque è caduto una seconda volta. Certo lui è Gesù, ma sappiamo
che la notte prima era entrato nella sua agonia, pienamente, e si era
manifestata con il suo sudore diventato gocce di sangue. Che cosa
significa? Per fare questo cammino lui si era spogliato della sua natura
divina, come dice San Paolo; non ha fatto queste cose per finta, non è
caduto per finta, né morto per finta. Si è spogliato per andare in fondo, non
solo nella nostra impotenza, ma sperimentando anche ogni distanza da Dio
che sentiamo noi, anche quella distanza che cerchiamo da Dio pur di avere il
potere di proteggerci dal mondo che ci fa così male.
La seconda caduta, che non è l’ultima, è cadere davanti a quelli che non ti
amano, come strada della vittoria di Dio, perché lì di mezzo c’è l’obbedienza.

VIII stazione: Gesù consola le donne di Gerusalemme

Come è grande l’amore di Dio! Non è per finta che Gesù, figlio di Maria,
perdendo tutto il suo sangue, tutte le sue forze, cieco, invaso da un dolore
straziante, si accorge del pianto di queste donne e lui ha compassione di
loro. Ecco la forza dell’obbedienza dentro l’impotenza, quando sei lì, umiliato
per l’ennesima volta, anche a causa dei tuoi molti peccati ed errori, oltre che
per le ingiustizie degli altri, la loro incuranza. Se siamo lì per camminare con
lui, in obbedienza alla volontà di Dio, non siamo del tutto smarriti, non lo è il
nostro cuore.
Lui in quelle condizioni miserabili ha detto “Non piangete per me, ma per voi
stessi”. Gesù vedeva fino in fondo a quale sciagura andava incontro quel
popolo. I cristiani dopo di lui hanno sempre visto questo come una profezia
della distruzione di Gerusalemme, 30 anni dopo la sua morte.
Anche in quelle condizioni lui ebbe compassione degli altri. Non è fuori dalla
nostra esperienza che anche nell’ umiliazione, a volte immeritata, se
possiamo minimamente dire di sì a Cristo, stare lì per obbedienza, non
siamo smarriti, siamo vivi, presenti fino al punto di guardare chi guarda noi
con compassione e avere compassione di lui che non conosce la gioia data
dall’obbedienza che stiamo vivendo in quel momento.
C’è un importante racconto di Tolstoj in cui il protagonista, quando sta per
morire di una malattia terribile è circondato dalla famiglia che è lì per puro
dovere perché terrorizzata dalla scena della sua agonia. Lui è incapace di
comunicare, e finalmente però cede alla voce interiore, a Dio, e comincia a
starci, soffuso dalla gioia e da un senso di vita eterna, là dove tutti vedevano
solo orrore. Lui stesso aveva provocato quella situazione, per orgoglio e
avidità, ma lì ha incontrato Dio, cedendo a Lui viveva già la gioia della casa
del Padre. Per quelli attorno a lui, sembra infernale. La differenza sta
nell’accettare di camminare ogni momento con Cristo.

IX stazione: Gesù cade per la terza volta

Una volta qualcuno ha chiesto a Madre Teresa: “Come posso essere umile
come lo sei tu?” e lei, guardandolo in faccia, ha detto: ”Chiedi tante
umiliazioni!”. Non è piacevole questo. Che cos’è l’umiltà? E’ forse la cosa più
impossibile per l’uomo, è preferire la realtà, e in genere è tutta un’altra realtà
da quella che si preferirebbe.
Ma l’incontro si fa lì, ed è ciò che apre all’ipotesi che la creazione è una cosa
buona, è fatta per noi.
Cristo è caduto una terza volta, ne contempliamo tre, ma chissà quante volte
è caduto! Lui è caduto innocente, mentre noi spesso cadiamo non tanto
innocenti, eppure possiamo insieme a lui tornare alla volontà di Dio,
cercandola nella realtà, preferendo la realtà, dove c’è la possibilità di
incontrare il Suo amore e conformarsi alla Sua volontà, cioè entrare nella
vita eterna.
L’umiltà è preferire la realtà, non è altro, e per questo ci dà una cosa che
nessun’altra esperienza può dare: oltre ad essere umile, Madre Teresa era
anche stupendamente e follemente coraggiosa. C’è un film documentario su
questa santa che lei stessa ha detto essere il documento che più di ogni
altro mostra la sua vita. E’ stato realizzato da due sorelle non credenti che
per un anno e mezzo l’hanno seguita e nel 1983 si sono trovate con lei in
Libano, quando ci fu un bagno di sangue. Arrivate lì si incontrarono con tutti i
capi della Chiesa Cattolica per sapere quale fosse il bisogno più grande.
Nella parte musulmana della città c’era un orfanotrofio per bambini
handicappati, da più di una settimana completamente abbandonati in
quanto tutti gli adulti erano fuggiti. Lei ha deciso di andare là anche se tutti la
guardavano come se fosse matta e la invitavano ad ascoltare il rumore delle
bombe che cadevano in quella zona. Ha deciso di andarci il mattino
seguente, anche se nessuno era d’accordo; tutti sollevavano obiezioni, pur
essendo validi uomini di Chiesa. Lei disse che avrebbe digiunato e pregato
tutta la notte chiedendo a Dio che venisse proclamato un cessate il fuoco,
insistendo sul fatto che sarebbero partiti il mattino seguente. Così avvenne
durante la notte, cioè fu proclamato in modo unilaterale, un cessate fuoco.
Dove si impara l’umiltà allora? Madre Teresa ha detto attraverso le
umiliazioni.
Il coraggio nasce lì, l’umiltà nasce in chi dice “Obbedisco a te, o Dio” e così
viene salvato il mondo: lì nasce il coraggio di seguirlo alla morte.
Gesù cade per la terza volta, andiamo con lui.

X stazione: Gesù è spogliato delle vesti

Questo è un momento drammatico, per più di un motivo.
Uno è sicuramente legato al dolore fisico, infatti sull’uomo della sindone di
Torino è stato possibile contare 4680 piaghe aperte; tutto il sangue uscito
mentre era ancora coperto dagli abiti ha fatto sì che questi si siano attaccati
alla pelle così, quando sono stati tolti, ognuna di quelle piaghe ha
determinato una esplosione di dolore. Ma non c’è stato solo quello: è
seguita l’umiliazione finale, quando è stato messo veramente a nudo e non
siamo in grado di guardare una cosa così. Era nudo davanti a chi lo odiava.
La sua nudità era terribile, era ridotto molto male, non era bello da vedere. Il
Vangelo dice che gli rivolgevano insulti ed offese ridendo di lui.
Per noi la cosa peggiore è essere messi a nudo davanti a chi ci vuole male.
Gesù ci sta portando alla liberazione, quando tutto diventa obbedienza
fiduciosa alla volontà del Padre e così veniamo liberati dalla paura che ci
rende schiavi di satana, della menzogna. Tutto è messo a nudo. Se
desideriamo la compassione di Dio dobbiamo avere il coraggio di chiedere
di non nasconderci al Suo sguardo. Il modo più immediato per non essere
più nascosti allo sguardo di Dio è di non fuggire nemmeno dallo sguardo
degli uomini. Niente più finzioni, niente più storie. Messi a nudo, come
pagliacci di cui ridono, eppure lì ci troviamo accompagnati e salvati e quindi
non abbiamo più paura dello sguardo degli uomini.
Non possiamo nemmeno immaginare che cosa sarebbe vivere senza avere
più paura dello sguardo degli uomini, tanto più di quello sguardo che ci vede
dallo specchio e ci accusa giorno dopo giorno.
Seguiamolo, messi a nudo come lui; è terribile, ma la liberazione è questo.
Così non abbiamo più nulla da perdere e viviamo di lui.

XI stazione: Gesù è inchiodato sulla croce

Cristo è inchiodato alla croce: abbiamo visto tutta la violenza con la quale è
stato fissato alla croce, eppure la verità è che ci va volentieri, lui è libero.
Chiodi enormi trafiggono il suo corpo per far sì che non si sposti, ma lui è
fissato lì non da quei chiodi. L’apparenza inganna, anche nella nostra vita.
Possiamo essere dei perdenti, tutti ci guardano con commiserazione, con
distanza, con fastidio, e lo si capisce, ma può nascere in noi, attraverso
questa esperienza, la grazia che qualcosa in noi dica di sì.

XII stazione: Gesù muore in croce

Le ultime parole di Gesù, almeno in Giovanni, sono state “è compiuto”, cioè
è finito. Nessuno gli ha strappato la vita, lui l’ha consegnata: è un’opera
compiuta, non fallita.
Così può diventare la nostra morte, quella di chi ci è caro, di chi è un tesoro
per noi, nel cui amore abbiamo investito la nostra esistenza, la nostra vita, le
nostre speranze. Come è stupenda la vita! Questa morte, questo silenzio,
questa assenza sono la possibilità di una consegna.
Non è mai troppo tardi per dire “Nelle tue mani, Signore, consegno il mio
tesoro”. L’apparenza inganna perché la realtà è molto di più dell’apparenza;
la realtà è anche esperienza, che è l’apparenza quando ci parla di uno che ci
ha creati per sé, per amore.
Visitando il museo del Cairo, si vedono migliaia di esemplari di statue di
faraoni, ognuna più perfetta dell’altra. In una sezione, poi, c’è la tomba di
Akhenaton, che era un tipo un po’ originale. Sosteneva che non esistono tutti
gli dei in cui gli altri credevano, per lui era chiaro che dio è uno solo e serve
un po’ di realismo. Costruì una nuova capitale, un nuovo tempio per un
nuovo culto, imponendo anche un diverso modo di esprimere l’arte,
attraverso il realismo. C’è la statua sua e quella della consorte e non sono
così perfette, tutto l’aspetto rispecchia i limiti e i difetti fisici che avevano.
Vedendolo ho pensato che non era tanto bello e ho capito che il realismo
non consiste nel copiare l’apparenza, ma nel rispettare l’esperienza, anche
dell’ideale della promessa, della croce, della morte e della sconfitta. Per
stare lì uno non deve dimenticare l’esperienza di una promessa, di un
miracolo, di un amore che c’era, non era illusione, immaginazione, fantasia.
Guardando la morte, non dimenticare. Il realismo è una
fedeltà all’esperienza.

XIII stazione: Gesù è deposto dalla croce

Con che cura le donne e Nicodemo deposero quel corpo e lo portarono alla
sepoltura! L’apparenza era orrenda, ma non si fermarono ad essa; lo
portavano nella memoria dell’esperienza, vissuta con lui, fatta da lui, nella
memoria, anche penosa, di tutta la promessa della sua vita, del rapporto con
lui, dello stare dietro a lui. Non potevano non vivere nella memoria di tutto
ciò e perciò con tenerezza hanno raccolto quel corpo massacrato, di certo
non bello, esito di una cosa infame e in cui era quasi impossibile riconoscere
l’uomo che avevano seguito.
Dentro di loro, anche se l’apparenza diceva che era tutto finito male, come
un incubo, sapevano che l’unica cosa ragionevole era aiutarsi a vicenda a
ricordare l’esperienza.
Vediamo questo oggi, di nuovo, grazie a Dio. Lui non ha finito con noi. Ci
darà tante occasioni ancora in cui a noi conviene vivere non dell’apparenza,
ma nella memoria dell’esperienza del cammino fatto con lui, per poter
avvicinare teneramente le persone che abbiamo davanti, i rapporti che ci
sembrano distrutti, le amicizie che paiono sparite, le alleanze che sono virate
in inimicizia, tutte queste cose diventate per noi orrende, possiamo guardare
con compassione e speranza queste cose perché viviamo memori
dell’esperienza del cammino che compiamo con lui. L’apparenza dice
“sconfitta” ma l’esperienza con Lui ci dice “sperate ancora.” E’ la promessa
vera che riceviamo qui.

 

XIV stazione: scommettere su Gesù

Le donne dopo la sepoltura di Gesù stavano a guardare a distanza. Perché
stavano a distanza? L’esperienza della verità del cammino fatto con lui
diceva nel loro cuore “è tutto finito?” Tutto è sepolto, ma non può finire così,
è un incubo ma non può finire così. Credevano già nella resurrezione? Non lo
so, ma una cosa è certa: credevano che la vita promessa da Cristo e dal
cammino fatto con lui era così vera che, anche in quel momento, una lealtà
con quell’esperienza non permetteva di dire “era tutta una illusione, tutto
falso”. Quindi nascevano solo queste parole: non può finire così, l’apparenza
dice questo, ma l’esperienza dice NO!
Che cos’è la vita cristiana? La Madonna nei suoi messaggi ripete spesso:
decidetevi per Dio. Io aggiungo anche una parola mia perché credo che
corrisponda a quello che sta dicendo lei. Dobbiamo scommettere su
qualcosa nella vita. Possiamo farlo su noi stessi, ma chi si è guardato allo
specchio questa mattina ha capito che forse non è la strada giusta. Si può
scommettere su tante cose: le nuove tecnologie, sulle persone che ci amano
( è già qualcosa), ma anche loro devono guardarsi allo specchio. No. Anche
l’esperienza più vera di amicizia con le persone intorno a noi ci fa dire:
scommetto su Dio.
Che cosa vuol dire scommettere? La dipendenza dal gioco è una cosa
terribile, ma come le altre dipendenze permette di capire che cosa sta
succedendo: quell’esperienza di scommettere sul destino significa che sei
vivo. In cuor tuo stai dicendo che la vita può e deve essere di più. Farlo con il
gioco è un inganno totale, una tragedia, ma la dinamica che sta sotto si può
comprendere.
Scommettere sul matrimonio è vocazione, ma se significa scommettere sullo
sposo o la sposa potrebbe non andare bene. Essendo una vocazione, la
scommessa è su chi ci ha chiamato. Questo sì è per Dio.
La prima conversazione che ho avuto con don Giussani era proprio su
questa affermazione del “di più”, della scommessa, della vita.
Lui aveva parlato per più di due ore di questo ed io, che stavo imparando
l’italiano da poche settimane, sono andato da lui dicendo che avevo una
domanda. Mi ha chiesto quale fosse. Allora ho domandato in che cosa
consiste questo “di più” di cui aveva parlato. Ha voluto sapere perché glielo
chiedevo, così ho risposto che avevo da poco terminato i miei studi a
Berkley ( una delle fonti mondiali del pensiero cristiano anticristiano) dove
tutti parlano di un di più che consiste negli aspetti rivoluzionari che
avevano in mente loro. Lui ha alzato la mano dicendo “La tua domanda non
mi interessa affatto!” e se ne è andato. Perché? Perché io non stavo
parlando della mia esperienza del di più. Era sdegnato per aver perso trenta
secondi della sua vita in una conversazione che era solo pura dialettica, utile
per vincere in un dibattito. Avrebbe fatto di tutto solo per aiutarmi ad
andare in fondo a quell’esperienza su cui scommettevo, per questo avrebbe
dato anche la vita.
Su questo dobbiamo scommettere, non sull’avere ragione. E’ terribile quanto
ci sentiamo protetti e sicuri quando qualcuno ci dice che abbiamo ragione.
Per vivere il di più ci vuole solamente una piccola frazione di questo “di più”,
quella sufficiente a farmi riconoscere la parte di esperienza che mi dice
“scommetti su di me; ogni apparenza poi potrà essere contraria ma, ora,
scommetti su di me”.
Questo è ciò che chiede la Madonna quando dice
“convertitevi!”.

 

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