I sette peccati capitali e il peccato della avarizia#monasteroWiFi Roma

Proseguiamo il nostro cammino sui sette peccati capitali. Mentre offriamo alla lettura di tutti questa profonda catechesi sull’avarizia, ricordiamo che quella sulla lussuria sarà tenuta lunedì 5 dicembre – come ogni primo lunedì del mese – al Battistero di San Giovanni in Laterano (ingresso dalla Lateranense, con possibilità di parcheggio), alle 21. Questa volta avremo da don Davide Tisato.

Alle 20.30 per chi vuole, ci vediamo in una saletta affacciata sullo stesso piazzale (seguite la luce e la caciara) per condividere un panino e soprattutto due chiacchiere, per presentarci e salutarci.

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MONASTERO Wi-Fi Roma- 7 Novembre 2022

CATECHESI sull’AVARIZIA di padre Marco Pavan

Buonasera a tutti e grazie di questo invito a riflettere insieme con voi su un argomento che non è di grande attualità. Riflettere insieme con voi sulle virtù e i vizi e soprattutto riflettere insieme sull’avarizia.

E’ una cosa che, quando mi è stata detta da Costanza, mi ha stupito in positivo, perché ho detto c’è ancora qualcuno che riflette su queste cose. E’ abbastanza inattuale e difatti volevo iniziare questa riflessione con voi facendo una riflessione a monte. Sicuramente l’avrete già fatta nella prima catechesi, vale a dire, che senso ha riflettere insieme sui vizi?

Uno potrebbe capire meglio il senso di riflettere sulle virtù, che popolarmente sarebbero i comportamenti che noi siamo chiamati a tenere come cristiani. Ma anche non solo come cristiani, mi verrebbe da dire. Ma riflettere insieme sui vizi che senso ha?

Allora, la riflessione che mi è venuta è esattamente questa, è un’espressione che si trova nei testi dei padri del deserto. Io sono un monaco, vivo da eremita e ho letto ogni tanto questi testi di antichi monaci che vivevano nel deserto e che, come dicevano loro, andavano nel deserto, per fare cosa? Andavano nel deserto non per pregare, andavano a vivere nel deserto per combattere i pensieri. O qualcuno dice per combattere i pensieri che vengono dal diavolo, per combattere quelli ed acquisire una profonda libertà nello Spirito.

Uno di loro, che si chiamava Evagrio, ha scritto quello che è, per così dire, l’elenco che ancora noi oggi seguiamo delle virtù e dei vizi. E una delle cose che lui scrive, ma non solo lui, anche molti altri dietro di lui, è più o meno questo.

Diceva Evagrio: noi dobbiamo paragonare i vizi a delle malattie. Anche se, adesso vedremo, dire che un vizio è una malattia è un’espressione un po’ particolare. Bisogna conoscere, dicevano i padri di che malattia si tratta, come si manifesta, che tipo di fenomenologia ha, che sintomi da, come agisce dentro il cuore dell’uomo, per saper diagnosticare e quindi vedere come il Signore può guarire e renderci liberi.

Riflettere sui vizi ha come scopo quello di diagnosticare quali sono le malattie dello spirito per diventare liberi.

Questa parola libertà dovremmo sempre tenera un po’ presente. Non solo.. Diceva Evagrio e dicevano questi padri del deserto: riflettere sui vizi e  su come si possono manifestare queste malattie dello spirito non solo ha come fine, pensateci un po’ la libertà ma anche la felicità.

Pensavo proprio in questi giorni che noi parliamo di vizi e di virtù, nella mentalità corrente di cosa si parla? Si parla di positività e di negatività, si parla di errori oppure di cose giuste, si parla di stare bene e stare male. La parola vizio o virtù suona troppo morale, è una parola che ha un’accezione etica troppo forte.

Di fatto, non sempre ciò che è buono apparentemente fa essere felici, cosi come non sempre ciò che è male fa stare male.

Questo è un pensiero che voi sentite spesso immagino, perché viviamo tutti imbevuti in questa cultura.  Nella mentalità dei Padri del deserto la cosa era un po’ diversa.

Se tu riesci a distinguere i vizi e le virtù e quindi se hai un criterio, ecco l’altra parola chiave, se hai un criterio per distinguere, per discernere ciò che ti succede dentro, allora forse c’è la possibilità che tu riesca a capire quale è la strada che ti porta verso la felicità, perché il bene e la felicità non sono due cose diverse.

Ad esempio pensando a delle espressioni sentire anche recentemente: ”quando uno persegue il bene, il bene è faticoso”. Quando uno si trova in certe situazioni, deve fare delle scelte particolari e questa scelte, che lui percepisce come la scelta buona, in realtà è anche faticosa perché qualcosa dentro di lui lo spingerebbe a fare qualcos’altro e quindi ad ottenere una felicità immediata.

Mentre, a volte, la scelta che magari, noi vediamo come eticamente non fondata o cattiva ci procura una soddisfazione immediata. Questo è un punto molto importante.

Noi cristiani (ma in realtà non dovrebbe essere così solo per i cristiani) riflettiamo sui vizi e sulle virtù perché sappiamo che il criterio per leggere la nostra vita interiore non è ciò che fa stare bene o fa stare male. Il criterio per leggere la nostra vita interiore è ciò che ci conduce alla vera felicità o quello che ci allontana dalla vera felicità

Quindi la vera domanda è: cosa rende felice l’uomo?

Pensavo che nella regola di San Benedetto, che la regola in  cui sono io, è la regola dei monaci benedettini, S.Benedetto con una grande sapienza dice “Quando ti appresti a fare il bene, all’inizio è difficile, all’inizio deve sempre farti un po’ di violenza, devi sempre spingere un pochino il cavallo che punta i piedi però, giorno dopo giorno, piccola scelta dopo piccola scelta, acquisisci il SAPORE DEL BENE.

Quando ti viene questo sapore dentro, allora inizi a capire che cosa significa la felicità che ti trasmette il bene.

Dalla vita dei santi e delle esperienze che noi facciamo, sappiamo che seguire ciò che non è bene produce il contrario, ovvero una gratificazione e soddisfazione immediata e, però, alla lunga il vuoto. Non tutti se ne accorgono ma di fatto quello produce.

Quindi teniamo presente, adesso, che proviamo a riflettere su uno dei vizi specifici, l’avarizia, queste due parole. Da una parte noi riflettiamo su queste due parole,  le virtù e i vizi, perché, per dirla con S.Paolo, siamo chiamati a libertà. Diagnosticare, saper distinguere la nostra vita interiore è fondamentale per essere liberi. Se non riusciamo a fare questo non siamo liberi, e dall’altra parte avere un criterio solido, sapere alla luce di quale criterio riflettiamo su noi stessi è fondamentale.

Il criterio che noi abbiamo a livello sociale è uno : quello che fa star bene, quello che fa star male; e di solito questo criterio lo sa solo chi lo vive: io so cosa mi fa stare bene, io so cosa è bene per me, quindi lo decido io.

Il criterio che noi invece abbiamo, ci viene dato; adesso lo vedremo , ed è un altro.

Il criterio è quel bene , lo chiamerei così, che all’inizio è faticoso, ma che una volta perseguito, conduce ad una felicità che non si smorza, che non viene meno. (….)

L’avarizia, cos’è l’avarizia?

Io vi propongo una riflessione in tre tappe, sull’avarizia.

1) Parto dalla Scrittura, perché è la base di ogni pensiero e riflessione cristiana, di fatto.

Il primo testo che vi propongo, per riflettere sull’avarizia…l’avarizia se vogliamo dargli una definizione, quella che noi leggiamo nella tradizione cristiana, è un possesso disordinato delle realtà sensibili. Questa definizione è di san Tommaso, meglio di così; un possesso disordinato, eh, adesso ci torniamo, delle realtà sensibili.

Evagrio, il monaco che citavo prima, da altre definizioni, usa più che altro delle immagini.

Noi leggiamo nella prima lettera a Timoteo , al capitolo 6, al versetto 10 che “ l’avarizia è la radice di tutti i mali“. Ora se avete un attimo di pazienza, che la prendo dalla mia Bibbia, dice così nella traduzione corrente : “l’avidità del denaro, l’avarizia, infatti, è la radice di tutti i mali. Presi da questo desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti”.

La parola che il testo greco dice è “ filargurìa” l’amore del denaro, l’amore delle ricchezze si potrebbe anche tradurre.

Notate, prima di tutto vi faccio notare, questa immagine: l’avarizia è la radice di tutti i mali.

La radice di tutti i mali. La domanda che viene spontanea è “ Perché?”. Perché l’avarizia è la radice di tutti i mali?

Radice, notate, la parola che viene usata qui evoca un’immagine, che è l’immagine dell’albero. E’ un albero che ha una sola radice, un fusto e poi i rami.

L’avarizia ha tante manifestazioni, ha tanti sottili modi di insinuarsi nella vita delle persone, però ha una radice unica, addirittura san Paolo dice : la radice di tutti i mali. Perché?

La risposta che noi possiamo dare, pensando alla definizione di S.Tommaso, è perché l’avarizia a che fare con il possesso.

L’Avarizie è strettamente legata a quel profondo istinto che c’è nel nostro cuore che noi chiamiamo “possedere”. Possedere qualcosa o anche qualcuno.

Cosa significa possedere?

Significa reclamare un diritto, poter disporre di qualcuno o qualcosa che nessuno ci può togliere, perché il possesso di una cosa per definizione non può essere di due persone contemporaneamente. Quindi quando tu la possiedi non la può possedere anche un altro: è un possesso esclusivo.

Se ci pensate e riflettevo su questo…. questa cosa del possesso è uno degli elementi più radicati nel nostro cuore e abbiamo sentito anche da San Tommaso dire che l’avarizia è un possesso disordinato.

Che cos’è il disordine che è la radice di tutti i mali? E ’quando questo possesso in fondo compensa un vuoto. Io lo definirei così. Il possesso diventa disordinato quando compensa un vuoto.

Qualcuno potrebbe dire no, il possesso è così disordinato perché è egoista, si, perché ha davanti l’io e non il Noi, la condivisione.

Vedete che però San Paolo nel parlare di l’avarizia, dice:” e presi da questo desiderio alcuni hanno deviato dalla fede” addirittura l’avarizia può far deviare dalla fede perché altera fondamentalmente il rapporto con Dio. Questo è un punto su cui vorrei molto insistere.

Il contrario dell’avarizia non è solo la condivisione, non è solo la solidarietà. Non è l’altruismo. Il contrario dell’altruismo è l’egoismo.

L’avarizia è qualcosa di più. E’ l’atteggiamento in fondo di chi si costruisce il mondo a propria immagine e somiglianza perché è il possesso dà sempre una forma di potere su qualcosa su qualcuno.

Non dobbiamo immaginare l’avarizia solamente come l’uomo che è attaccato al denaro che non spende niente, il braccino corto, o cose di questo genere, è qualcosa di più è quel senso di possesso, è quel senso di sicurezza che deriva dal possesso e che di fatto ci dà la possibilità di fare il mondo a nostra immagine e somiglianza, le cose e le persone.

San Tommaso dice: “possesso disordinato” quindi è quando hai messo te stesso al posto di Dio. San Paolo dice che la radice di tutti i mali e che fa deviare dalla fede. “Fa deviare dalla fede” è molto pesante questa espressione, quindi il primo pensiero che noi abbiamo pensando all’avarizia, dobbiamo collegarlo proprio a questo fatto del possesso; quella tendenza che abbiamo dentro di noi che ci fa dominare il mondo e farlo a nostra immagine e aggiungerei, adesso lo spieghiamo meglio, quel senso di possesso che comunica sempre sicurezza.

L’intossicazione da possesso viene sempre dal senso di sicurezza che viene dal possedere le cose. Sempre, sempre!

2) Prendiamo il secondo passo: lettera agli Efesini cap 5, 5. Leggiamo anzi dal versetto 3, è un’esortazione che San Paolo fa alla comunità di Efeso.

San Paolo dice così – ve lo leggo – solo il versetto 5, però se volete potete leggere dal versetto…. anzi leggiamo dal versetto 3. E’ una esortazione che San Paolo fa alla comunità di Efeso: “Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia – avarizia, qui la parola è avarizia –neppure si parli fra voi, come deve essere tra santi; né di volgarità, insulsaggini e trivialità che sono cose sconvenienti. Piuttosto rendete grazie! Perché – e questo è il versetto che mi interessa –sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro, cioè nessuno idolàtra, ha in eredità il regno di Cristo e di Dio.

Sono parole molto forti, eh!

Ma quello che salta agli occhi è il fatto che San Paolo equipara gli avari agli idolatri (qui c’è una ambiguità nel testo greco, ma non importa, non serve, insomma, dire queste cose…), si capisce che l’avaro è l’idolatra.

Qui facciamo un saltino in più e ci chiediamo perché l’avaro è idolatra? Non è per niente scontata la risposta a questa domanda, bisogna capire chi è l’idolatra, che cos’è l’idolatria secondo la scrittura.

Per capire che cosa è l’idolatria provate a richiamare alla memoria il cap. 32 del libro dell’Esodo, non ve lo leggo se no viene troppo lunga. Esodo 32 racconta l’episodio del vitello d’oro, il famoso episodio del vitello d’oro, però fate caso a come è raccontato questo episodio.

Israele si trova ai piedi del Sinai è stato portato fuori da Dio, cioè da Mosè, dall’Egitto. Hanno camminato 40 giorni nel deserto, arrivano al Sinai e Dio si manifesta ad Israele nel Sinai. Se vi ricordate, se avete presente, tuoni, lampi, fulmini, una nube sopra il monte Sinai. Mosè sale 40 giorni, scompare alla vista di Israele e a un certo punto – in Esodo 32 – il popolo va da Aronne e gli dice “Facci un Dio come quello di tutti gli altri popoli perché a questo Mosè, l’uomo che ci ha fatto uscire dall’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto”.

Molto interessante l’atteggiamento di Israele, eh? Sono stati liberati da un Dio che non vedono, o meglio lo hanno visto e si sono impauriti. Quando hanno visto tutti quei fenomeni sul Sinai hanno detto a Mosè vai avanti te … che a me mi scappa da ridere, vai avanti te, hanno mandato avanti Mosè.

Quando Mosè è andato è scomparso. Prima di andare su, Mosè dice loro non dovete farvi nessuna immagine di Dio, avete visto chi vi ha portato fuori dalla terra di Egitto, non ti farai alcuna immagine. Poi Mosè scompare anche lui alla vista e il popolo, che rimane senza niente, pensa di riempire questo vuoto – dicevamo prima – con il vitello, che a noi fa sorridere.

Fa sorridere perché eran così scemi da fare una mucca, un vitello d’oro con le corna. Ma il vitello era pensato da loro come il supporto visibile della presenza di Dio. Il vitello con le corna significava la forza. Quindi il Dio che sta davanti a noi e che sconfigge tutti i nostri nemici, che possiamo vedere e toccare… Questa è l’idolatria.

Qui ci sarebbe tantissimo da dire su questo brano che è molto bello. Questa è l’idolatria. L’idolatria noi la pensiamo come il ridurre Dio a se stessi. Ridurre Dio a se stessi, a qualcosa che si può toccare e sentire. Però, pensateci bene , sembra che l’idolatria che nasce dal popolo di Israele nasca dall’incapacità di reggere il vuoto, dall’incapacità di reggere un vuoto radicale, cioè che Dio, questo Dio che ci ha liberati non si vede e non si sente come tutte le altre cose.

Farsi un vitello d’oro è come ricondurre Dio dentro le categorie di spazio e di tempo, quando in effetti la presenza di Dio non può essere ridotta a quello.

Farsi un vitello d’oro vuol dire manipolare Dio

Ora pensate un po’… San Paolo paragona l’avarizia a tutto questo. Se noi adesso leggessimo ancora di più l’Antico Testamento, vedremmo che ci sono alcuni brani che dicono in fondo da cosa nasce l’idolatria. In sintesi, proprio facendo colare tutto, cosa rimane nel colino: l’idolatria nasce dal senso di insicurezza.

La Bibbia dice che l’uomo tende a idolatrare ciò che gli dà sicurezza, molto semplicemente, che gli comunica sicurezza, diremmo noi oggi. Tende a idolatrare quelle realtà dalle quali lui sente dipendere la propria sicurezza. Quindi, nel mondo della Bibbia, nel mondo dell’Antico Testamento, erano certi idoli, ma non stupidamente intesi, erano intesi come un supporto visibile di una divinità invisibile che ti doveva garantire sicurezza. Tu gli davi qualcosa e lui ti dava qualcos’altro. Tu cedevi un po’ della tua libertà e l’idolo ti dava sicurezza.

Questo è il principio dell’idolatria: cedo qualcosa di me stesso per avere in cambio sicurezza. Perché l’idolo non dà libertà ma chiede sempre un tributo di sangue, chiede sempre qualcosa. Qui le applicazioni moderne sarebbero tantissime. Pensate il tema sicurezza quanto è presente nel dibattito a tutti i livelli, ma anche in maniera non esplicita, perché ad esempio noi sentiamo che la nostra sicurezza dipende da certe cose: dalla tecnologia, per esempio, da un certo uso della tecnologia. Non voglio dire che la tecnologia è cattiva però la tecnologia è un idolo o meglio oggigiorno tecnologia è idolatrata, è diverso. Quindi, possiamo fare tutta un’altra serie di campionario di idoli moderni, sarebbe abbastanza divertente questa cosa.

Torniamo a Efesini: perché l’avarizia è idolatria? Io lo focalizzerei più che sul denaro, lo focalizzerei su quello che parte da dentro. Abbiamo detto prima il possesso. Il possesso dà un senso di sicurezza; il controllo, questa è la parola che noi usiamo, dà un senso di sicurezza. Quando tu controlli qualcosa. Tutto il parco delle nevrosi quotidiane della vita moderna, da Freud ai giorni nostri, nascono tutte da questo. Tutti i mini riti quotidiani che noi abbiamo, tutte le sicurezze, le azioni cicliche che noi compiamo durante la giornata. Provate a fare l’esame di coscienza: quante azioni cicliche, sempre uguali, voi fate durante la giornata?

E provate a vedere quanto destabilizza se il ciclo si interrompe, perché senza rifletterci noi mettiamo in atto dei meccanismi che ci danno sicurezza, che creano una base di sicurezza, se provi a togliere quella noi siamo destabilizzati.

E l’idolatria che è un possesso disordinato, è esattamente questo: quando io possiedo qualcosa, e non solo il denaro.. perché si possiedono anche le persone, c’è una avarizia anche nelle relazioni, anzi io direi che forse oggi c’è soprattutto un’avarizia nelle relazioni, quelle che chiamano oggi le relazioni tossiche. I vizi son tutti relazioni tossiche fra l’altro.

L’avarizia diventa idolatria perché è possesso disordinato, allora attraverso il possesso delle cose o degli altri diventa possesso di noi stessi; attraverso il possesso degli altri e delle cose per bisogno di sicurezza, per bisogno di stabilità, per bisogno di non essere destabilizzati, l’avarizia sostituisce, sottilmente, noi stessi a Dio.

Pensavo, riflettendo su queste cose, tra l’altro, alcune di queste cose le ho sentite dire altre son venute fuori da me, ma quando sentivo dire: l’idolatria è ridurre il Dio a sé stessi o manipolare Dio; io pensavo, ma si può manipolare Dio?

Magari uno dice, uno si illude di manipolare Dio, ma si può manipolare Dio? Come si fa? Dio non è il microfono, non è un oggetto, non puoi spostarlo dove vuoi, allora qual è il modo che noi abbiamo per manipolare Dio?

Io pensavo che la maniera più forte è quello di esercitare un dominio sullo spazio e sul tempo soprattutto, sullo spazio e sul tempo; il tempo è una di quelle realtà, diceva Sant’Agostino, che quando ne vuoi parlare e cerchi di capire che cos’è, l’hai già persa, perché il passato non è più, il futuro non è ancora, e il presente sta scivolando via, quindi dov’è il tempo?

Sant’Agostino dice che se io cerco di capire dov’è non lo trovo, se cerco di fermare il pensiero, non c’è la faccio e pure pensate che il tempo, il dominio sul tempo, la programmazione, la proiezione in avanti, soprattutto, sono la maniera più normale che noi abbiamo di esercitare o di illuderci di poter manipolare Dio. Dio che propriamente parlando, secondo la nostra fede, è colui che è il Signore del tempo e dello spazio e che quindi dispone le cose in una maniera che a noi non è dato poter manipolare; l’avarizia è anche questo; vogliamo applicarla al problema dei soldi, vogliamo applicarla all’oggetto normale, anche la parola greca dice: “φιλαργυρία”- “αργυρία” vuol dire oro, vuol dire denaro, amore del denaro; il denaro è quello strumento che noi abbiamo per esercitare fondamentalmente un controllo sul tempo, fino al punto di illuderci, di poter, attraverso il denaro, estendere il tempo della nostra vita, fino ad illuderci di poter programmare la nostra vita in tutti i dettagli, fino a poter essere padroni.

Il denaro è un fortissimo elemento simbolico, non va demonizzato perché il denaro c’è, va preso come una cosa che c’è, non va idolatrato, ovviamente, come la tecnologia, però il fatto dei soldi, il rapporto con i soldi, visto che vogliamo parlare di quello, l’avarizia nel rapporto con i soldi è esercitare attraverso i soldi un possesso di noi stessi, del tempo; l’avarizia non è solo accumulare e non condividere, non è solo accumulare per il gusto di accumulare, senza dare agli altri: è qualcosa di più, è anche questo, ma è qualcosa di più. Se noi ci fermiamo a questo abbiamo ancora una visione un po’ ingenua, come dire lo strato esteriore della cipolla, non abbiamo ancora scavato bene per andare In fondo.

3) Terzo passo, terzo step, visto che tutti oggi parlano inglese e non ci sono più i passi ma ci sono gli step: come si fa a manipolare Dio. Questa è la domanda che uno si pone.

“Come si fa a manipolare Dio? Adesso lo vediamo con l’ultimo brano. Manipolare Dio si può solamente quando noi reclamiamo un dominio sullo spazio e sul tempo, cioè quando noi programmiamo troppo la nostra vita. Ci sono tantissimi modi anche proprio istituzionali, come le assicurazioni, e tutto un certo tipo di operazioni che noi facciamo in banca, il modo in cui pensiamo e programmiamo la nostra vita. In questi modi, programmare non è un male in sé però effettivamente si può insinuare il pensiero che attraverso queste modalità noi possediamo, prendiamo possesso, diamo forma alla nostra vita secondo noi stessi. Perché questo è manipolare Dio? Perché per definizione Dio è il Signore del Tempo! È Lui che dispone i tempi ed i momenti della vita del cristiano. Facendo questo, senza rendercene conto, noi ci mettiamo in concorrenza con Lui. Perché un conto è come disponiamo noi ed un conto è come dispone Dio.

Diciamo il rapporto sano è quello della persona che dispone i propri beni sapendo che poi alla fine dispone Dio.

S.Ignazio diceva: “Fare come se tutto dipende da te quando sai che tutto dipende da Dio”.

Il possesso disordinato è invece fare come se tutto dipende da te o dipende dal controllo che tu eserciti su te stesso. Se viene scalfito questo controllo, se viene scalfito questo zoccolo, ti destabilizzi, crolla l’edificio, va in crisi la tua persona.

L’ultimo brano è il Vangelo di Luca, capitolo 12 versetto dal 16 al 21, un bellissimo brano. Sono molti altri i brani che si potrebbero tirare in ballo sull’Avarizia.

Poi disse loro una parabola” -Questa è una parabola che è detta nel capitolo 12 dove il rapporto con il denaro e le ricchezze è fondamentale.

Disse loro una parabola”- lo dice ai discepoli o meglio alla folla-“La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante.17Egli ragionava tra sé: «Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!». 20Ma Dio gli disse: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?». 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

La conoscete tutti bene questa parabola? L’abbiamo letta non moltissimo tempo fa. Guardate anche il versetto 15, nel quale il Signore dice alla folla: «Fate attenzione e tenetevi lontano da ogni avarizia (cupidigia), perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai ciò che egli possiede».

In questa parabola ci sono due aspetti che colpiscono particolarmente. Due. Quello che colpisce di più noi è l’atteggiamento di questo uomo ricco. Più volte ho sentito commentare in questo senso: questo uomo ricco è come una persona totalmente schiacciata sul proprio ombelico. Parla con sé stesso :”Anima mia, hai a disposizione tanti beni, per molti anni!”. È un solipsista. Parla con sé stesso. Vuole dire che nel suo mondo non c’è la presenza di nessun altro, di fatto, nemmeno di Dio. Ovviamente gli altri e Dio sono delle ipotesi teoretica che stanno al di fuori del cerchio del suo rapporto solipsistico. Okey? Ma non immaginiamo che questo uomo, di cui il Signore traccia questo ritratto, è -come dire?- l’esempio perfetto dell’egoista e che quindi questa parabolica un significato morale: “Non siate egoisti!”.

Che poi qual è il contrario di essere egoista? “Siate altruisti!”. Però pensate questo: solo due cose. “Dio gli disse: – Stolto! Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita.” Questo tipo di frase mi ha sempre colpito tantissimo perché fa vedere molto bene che la tendenza che noi abbiamo al possesso -e questa credo che sia la radice della radice di quello che stiamo dicendo- nasce dalla paura della morte. È la tendenza, una delle tendenze fondamentali del nostro cuore a reagire all’esperienza ed alla paura della morte. È una forma di difesa contro la morte. Paura della morte che -sapete no?- che è una cosa che ci attraversa tutti. Non solo la paura solo della morte finale, della fine della nostra vita biologica, ma la paura della morte in tutte le sue forme. Perché la morte noi la sperimentiamo quotidianamente. Questo lo sapete. Non è un’esperienza che noi proiettiamo in là. Più tardi arriva meglio è! E noi tendiamo a reagire alla paura della morte in molti modi. La tendenza al possesso è una reazione contro la paura della morte.

Quindi la radice dell’avarizia è la paura della morte. Le parole che dice Dio qua fanno impressione perché fanno anche capire in che senso la paura della morte è la radice dell’avarizia. La morte è un’esperienza di radicale spossessamento. Apparentemente noi con la morte perdiamo tutto. E quindi di fatto quell’esperienza di spossessamento che arriva fino alla radice di noi quando ci viene portato via anche il nostro corpo….

E soprattutto quando ci viene portato via verso un orizzonte che può essere ignoto, questa esperienza per noi è qualcosa da tenere lontano. Quindi tanto è più forte la paura, tanto più forte e disordinato è il possesso, quindi tanto più forte è l’avarizia.

Non l’avarizia solo del denaro, l’avarizia quella che è più sottile e alla radice di tutti i mali: quella del possesso del tempo, dello spazio, delle persone, delle relazioni, delle cose  e fondamentalmente di noi stessi.

Quella avarizia, dice S.Paolo, che è idolatria. Pensavo che l’avarizia è anche quella tendenza che noi abbiamo, pensate ad Israele ai piedi del Sinai, a non accettare il rischio di Dio.

Seguire un Dio che non si vede, vuol dire rischiare: la fede è fondamentalmente un rischio e questo lo sapete anche voi, immagino, no?

Seguire un Dio che non si può vedere vuol dire rischiare, perché? Perché un Dio che non si vede vuol dire che non lo puoi manipolare, non fa quello che gli dici, non lo puoi programmare. Fa come se tu, essere libero, ti rapporti con una libertà infinita che si può manifestare anche al di là delle tue aspettative, programmi, desideri persino.

E’ come avere a che fare con una libertà che non puoi assolutamente manipolare. Quindi, anche in questo senso qua, l’avarizia è la radice di tutti i mali, perché altera il rapporto con Dio, fa cadere nell’idolatria, per la paura della morte ci fa alterare anche il rapporto con Dio.

E non solo, e poi concludo, il Signore conclude questa parabola con una frase che non so se avete mai notato leggendo questo Vangelo, che è una frase difficile da capire, va la ritraduco dal greco, che è il succo della parabola: “così è colui che tesaurizza se stesso e non verso Dio, “così è colui che tesaurizza per se stesso e non diventa ricco per Dio”, si può tradurre anche così.

Ora la domanda è questa: noi capiamo il senso di questa frase, no?

Il senso è: non bisogna essere ricchi per se stessi ma per Dio. Mh, quindi esiste un modo di essere ricchi che va bene, diciamo così!

La domanda è: Ma in concreto? Ma in finale? Cosa significa? Oppure, più precisamente, come si fa a “diventare ricchi per Dio”? Come si fa ad essere ricchi per Dio?

Ci sono tante risposte.

(Risponde una persona dall’assemblea)

Si, si, questa. Una risposta è quella di concepirci solo come amministratori di quello che ci è dato, chiaro, questo è verissimo! Questo è anche nel Vangelo, il Signore lo dice, tra l’altro, in modo particolare ai capi della comunità, di essere così, di amministrare. Amministrare: uso dei beni di cui non si ha il possesso, di cui non può reclamare il possesso, esatto.

Mi veniva anche un’altra risposta, però anche questa va bene, il Vangelo è bello anche per questo. Sant’Agostino, sempre lui, diceva: “tutte le interpretazioni della Scrittura vanno bene, purché non vadano contro la fede”, poi vanno tutte bene… più o meno.

Diventare ricchi per Dio pensavo che è anche, in fondo, qualcosa come l’atteggiamento della persona che accetta, l’ho detto prima, il rischio di Dio. Il rischio di Dio! Cosa significa “il rischio di Dio”, l’ho citato prima, rischiare per Dio. Rischiare per Dio, pensate, il rischio fondamentale è quello della fede ho detto. Il rischio di Dio lo possiamo definire, diciamo così, in questo modo, se vogliamo andare un po’ al concreto: noi nella nostra vita dobbiamo sempre fare delle scelte, ogni giorno siamo chiamati a prendere delle scelte, piccole e grandi, no?

Alcune scelte sono come “nella punta dei rami” e altre scelte sono più verso il tronco, o addirittura alla radice.

Quando noi dobbiamo prendere una scelta, grande o piccola che sia, grande o piccola che sia, noi siamo sempre posti di fronte ad un’alternativa: o scelgo in base a un criterio o scelgo in base ad un altro. O scelgo in base ad un criterio o in base ad una scelta che, ai miei occhi, mi garantisce una forma di tranquillità, noi usiamo questa parola, oppure dobbiamo anche considerare la possibilità di fare scelte che non garantiscono nessuna forma di tranquillità: pensate alla fede, così chiudiamo parlando di fede: “Perché la fede è un rischio?” “

Perché la fede è un rischio? Questo lo diceva Pascal, 400 anni fa, perché noi non finiamo mai di conoscere Dio. Questo è il rischio, perché Dio non lo si finisce mai di conoscere: è rischioso perché bisogna continuamente mettersi in gioco, bisogna continuamente perdere qualcosa, bisogna continuamente accettare di essere un pochino spossessati, bisogna continuamente accettare di mettersi davanti a lui sapendo che quello che abbiamo imparato non basta, bisogna accettare ogni volta che noi preghiamo che noi lo invochiamo, che rivolgiamo la mente a lui, anche il cuore a lui, di accettare che questa volta magari, non solo non succede niente, che è quello che capita molto spesso, ma anche che può arrivare a noi e che possiamo renderci conto che tutto quello che abbiamo imparato fin ora lo dobbiamo lasciare , ma non rinnegare.

Dio non si conosce mai una volta per tutte: non si può mai dire io adesso lo so, io c’è l‘ho, l’ho conquistato si è vero ma anche no. Pensate sempre a Sant’Agostino e alla sua massima “più conosci più ami, più ami più vuoi conoscere, più conosci più ami e più ami più vuoi conoscere”. E’ un circolo questo, perché lui dice questa frase: non illuderti di capire perché se tu pensi di capire, allora ciò che capisci non è Dio.
“Si comprehendis non est Deus” questa è la frase di Sant’Agostino.

Se vale così nel rapporto con Dio questo vale diciamo per ognuno, perché poi ognuno può fare l’applicazione alla propria vita.

Io non do molte applicazioni, non faccio molte attualizzazioni proprio perché ho l’impressione che la parola debba risuonare nella vita di ciascuno e funzionare come lievito per far vedere dentro la vita di ciascuno come funziona , ma pensateci un po’ quando dobbiamo prendere certe scelte se lo facciamo davanti a Dio generalmente ci viene chiesto, di assumere l’atteggiamento di chi ogni volta deve morire a se stesso, deve lasciare qualcosa .

Il contrario dell’avarizia credo non sia la generosità ma è lasciarsi spossessare, è accettare il rischio di Dio; tra l’avarizia e la povertà, in mezzo c’è lo spossessamento, che è più difficile.