Intervento a “Le Tavole di Assisi”

Questo è il mio testo per il mio intervento di ieri, 9 settembre, a “Le Tavole di Assisi”

di Costanza Miriano

Innanzitutto, siccome prima ancora di dire una parola qui scopro dai giornali di essere “ultra cattolica, anti Lgbtq, e nella destra più a destra della Meloni” scopro subito le mie carte: la politica non mi compete, non la so fare, it’s not my lane, non so come dirlo. Almeno la politica diciamo così partitica… A me interessa contribuire ad affermare la Verità che la Chiesa propone al cuore dell’uomo, perché so che lì è la unica possibilità di felicità piena per gli uomini, tutti, credenti e non. E cerco di farlo in tutti i modi che le circostanze mi propongono. Credo che questo vada fatto non solo nel proprio cuore, con gesti privati, ma anche nel dibattito pubblico. Non dobbiamo avere complessi di inferiorità rispetto al pensiero unico, ai media, né accettare che la questione della fede sia tollerata solo se vissuta privatamente, in un ambito personale. Noi affermiamo apertamente che il tema è rimettere Cristo al centro, riportare la chiesa al centro del villaggio, e forse anche Cristo al centro della Chiesa, se posso permettermi, visto che anche alcuni cattolici e persino alcuni con ruoli importanti ritengono che ci possa essere salvezza anche fuori dalla Chiesa. È vero che anche chi non conosce Cristo può avere in sé tanto di bello e di buono, ma anche se lui non lo conosce, Cristo conosce lui: tutto ciò che è di vero e di buono è suscitato dallo Spirito Santo, come dice Tommaso.

Il cristiano dunque, non è un uomo con qualcosa in più, non è un uomo “con la gobba” (l’immagine è di Biffi). Al contrario, è l’uomo non in grazia di Dio che è l’uomo con un buco, a cui manca qualcosa, perché il disegno di Dio è la vera pienezza dell’uomo, è la fioritura di tutti i talenti, è la felicità. La questione del primato dell’essere rispetto all’avere, e del fare rispetto all’apparire – il tema che Simone mi ha proposto di trattare – secondo me non si può inquadrare, dunque, prescindendo dalla questione del Cristocentrismo.

Provo a metterla in termini semplici, così la capisco anche io: ogni uomo, che ci creda o no, funziona in rapporto a Dio, ha dentro di sé un vuoto a forma di Cristo. Non importa che ne sia consapevole. Allo stesso modo la mela cade dall’albero anche se non ha studiato la forza di gravità. Questo vuoto, se non lo riempi con Cristo, cerchi di riempirlo con dei surrogati. Credo che la ricerca dell’avere invece che dell’essere si riduca al fondo a questo: noi cerchiamo la vita, qualcosa che ci dia vita, ma l’unico che risponde a questa sete, a questa fame, è Dio. Penso che tutti noi a volte ci sfamiamo di altre cose, almeno io sì, molto spesso, in continuazione: dell’approvazione degli altri, del riconoscimento. Oppure potere, soldi, successo, sesso, affettività disordinata, sono come junk food diciamo, riempiono ma non sfamano a lungo. La vita di fede invece è un continuo mendicare, il mendicante è il vincitore della storia, come direbbe don Giussani, la vita di fede è un continuo tentativo di ri-cor-dare cioè di fare memoria di cosa ci dà la vita.

L’essere umano è relazione. Nessuno di noi può esistere se non in relazione all’altro – siamo a immagine di Dio, che è Trinità. Tutti i temi di questa mattina di confronto sono profondamente condizionati dalla natura delle relazioni che nella nostra sacra, inviolabile libertà decidiamo essere fondanti per noi.

Faccio un esempio sulla questione femminile, che è tanto centrale rispetto ai temi della famiglia, vita, natalità di cui ci stiamo per occupare. Il femminismo è stato inizialmente una specie di primavera: le donne hanno cominciato a chiedere di essere guardate, riconosciute, di avere il diritto di votare, studiare, insomma la libertà di scegliere della propria vita. Ma questo sacrosanto bisogno di sguardo, di relazione, si è velocemente trasformato – qui ci sarebbe da inserire la questione della ferita originale, ma altro che cinque minuti – condizionato dalla mentalità del mondo, e le donne hanno adottato logiche maschili, cadendo nell’errore di chiedere la parità, quando siamo diversi: le donne che chiedono gli stessi diritti degli uomini mancano di ambizione di fantasia. Noi vogliamo diritti da donne, che contemplino la realtà che per una donna le relazioni e la cura hanno bisogno di tempo. Quante colleghe dopo una corsa forsennata per la carriera ho sentito a un certo punto voltarsi indietro e chiedersi “ma che ci faccio io qui a quest’ora, io voglio stare a fare merenda coi miei figli, o magari a consolare un’amica”.

L’inganno del mondo sta proprio nel dirci di cercare la vita in quello che non ci nutre, e l’incontro di oggi vuole dare un minuscolo contributo al tentativo di ricordare a tutti cosa ci fa davvero felici.    

 

Intro Tavola sulla vita

Sul tema della vita siamo di fronte a un dramma di proporzioni inaudite, indicibili e purtroppo sempre meno conoscibili, a causa della diffusione dei cosiddetti contraccettivi di emergenza, che in molti casi non sono affatto contraccettivi, ma abortivi. È un tema fondante, che viene prima di tutti gli altri, perché come disse Madre Teresa ritirando il premio Nobel: se una madre può uccidere suo figlio, chi può impedire agli uomini di uccidersi fra di loro? Tutti i temi di cui si tratterà in questi due giorni discendono dallo sguardo che si ha sulla questione della vita, che precede tutte le altre. Il rispetto dell’identità sessuale, delle relazioni, dell’ecologia, della guerra cambiano tutte volto a seconda di come ci poniamo sul rispetto della vita.

Ci sarebbero davvero un’infinità di cose da dire, non so da dove cominciare e so anche che essendo un contesto in cui siamo esposti bisogna fare attenzione, purtroppo sembra che su questo argomento non si riesca proprio a parlare, ci si irrigidisce sulle proprie posizioni e non si fa mai un passo, e invece io credo che dei passi siano possibili, l’esperienza americana ce lo dimostra.

Dobbiamo crederci, anche qui non dobbiamo avere complessi di inferiorità, le cose stanno cambiando, non possiamo più accettare che la narrazione della donna che abortisce perché vittima di violenza (la sentenza Roe Wade tra l’altro è nata da una bugia) venga usata come grimaldello per far passare tutto. Anche se purtroppo la violenza esiste (ed è sempre da condannare con la massima severità) non è questo il tema. Oggi le donne hanno molti strumenti per vivere la loro sessualità nella libertà. Credo che il discorso sull’aborto si possa riaprire. Con dolcezza, con rispetto, sapendo che una donna chiamata a fare da madre è sempre una donna chiamata a un grande passo che le cambia la vita, è una donna che merita tutto l’aiuto e l’attenzione e la cura, è una donna in un momento fragile della sua vita, che può essere tentata dal dire non ce la faccio, anche perché tutto intorno rema contro la vita, a ogni livello. Ci sarebbe anche il tema del maschile, l’uomo che deve essere capace di fare l’uomo, perché lo fa sempre di meno, altro che patriarcato. Però dobbiamo cercare con pazienza la strada per infilarci nei momenti di difficoltà: le donne lo sanno che quello è un figlio, non è un grumo di cellule, ma sono ingannate. Alcune hanno paura, altre sono ingannate, pensano che un figlio toglierà loro qualcosa, ho letto un libro di una scrittrice che racconta di avere abortito due volte per poter fare la scrittrice. È una donna ingannata, bombardata da decenni di cultura che vuole convincerci che facendo figli perdiamo possibilità, noi dobbiamo invece diffondere il concetto che “la maternità è un master” (è il titolo di un libro), ti insegna a fare di più, non ti impedisce nulla, anzi. Ma le donne cercano vita e pienezza – come gli uomini – in quello che non dà la vita, e qui torniamo alla crisi di fede di cui dicevo all’inizio. In particolare, quel vuoto di cui è fatto ogni essere umano, quel vuoto a forma di Dio, nella donna è uno spazio per generare la vita. Noi tra amiche la chiamiamo la voragine. La donna si realizza nel generare, che sia biologicamente o negli altri modi che la vita le mette davanti, la donna ha bisogno di prendersi cura, che poi può diventare anche una tentazione di controllo, e qui bisognerebbe citare san Paolo, Edith Stein, la Mulieris Dignitatem, ma andrei fuori con i tempi. Comunque al fondo di tutto c’è anche qui la questione del Cristocentrismo, del fatto che solo Cristo viene a colmare la sete di ogni uomo, e di ogni donna.

In sintesi, crediamo che si possa lavorare sul piano legislativo, l’argomento non è tabù, ma che si debba anche lavorare nel farci vicini alle donne che sono state ingannate (noi sappiamo che peccato letteralmente significa “sbagliare mira”).

Infine, per quanto riguarda la famiglia, parliamo delle famiglie reali, non quelle dello zerovirgolaqualcosa % che vampirizzano sempre il discorso pubblico, le lgeccetera. Andando in giro da dieci anni per le parrocchie italiane posso testimoniare che c’è un popolo di famiglie, di uomini e donne che cercano di crescere al meglio i figli che sono dati loro, un popolo di gente che ce la mette tutta, e che meriterebbe aiuti maggiori, a livello fiscale ma anche culturale, che è quello fondamentale. Quello che il pensiero unico ci racconta è che se rispetti le regole fai la differenziata e vai a trenta all’ora, sarai felice. Tutta la narrazione che per secoli ci ha accompagnato sulla necessità per l’uomo di superare le colonne d’Ercole, superare sé stesso, sulla vita come ascesi, è completamente sparita dall’orizzonte. E allora tutto ciò che mi limita, mi è d’impedimento, mi dà fastidio, va scartato, evitato, cambiato. Ciò che la Chiesa invece annuncia all’uomo è che la vita è un combattimento, una buona battaglia, per ascoltare la voce giusta sulla nostra vita, obbedire ai desideri buoni. E la famiglia per noi cristiani è il luogo in cui combattiamo questa battaglia. Allora il fatto che maschi e femmine siano diversi non è un problema da risolvere, ma l’occasione per fare un lavoro che ci porti a essere una carne sola (in unam carnem, è un moto a luogo): quindi non dobbiamo stupirci, noi donne, se il modello base che abbiamo preso è senza orecchie, sono vendute separatamente come le batterie; e voi uomini non dovete andare nel panico se quando diciamo “fa’ come ti pare” e voi fate come vi pare poi noi ci arrabbiamo. Basta sapere che fai come ti pare significa esattamente “capisci quello che voglio io, e fallo”. Lo so, è un lavoro duro, infatti il Cardinale Caffarra poco prima di morire ha voluto conoscere mio marito e lo ha abbracciato esclamando “eccolo, il santo”.

Dobbiamo farci compagnia in questo cammino, dobbiamo fare rete fra noi, creare piccole comunità di famiglie in cui ci si aiuta a guardare dalla parte giusta, nella direzione del cielo. E poi chiedere che il nostro enorme lavoro di educazione, cura, welfare, risparmio, venga sostenuto pubblicamente e non continuamente mortificato dallo Stato con misure risibili tipo i bonus: ci sono paesi europei dove le tasse diminuiscono progressivamente col numero dei figli. Io con i nostri quattro non le pagherei proprio, e quindi avrei uno stipendio doppio, visto che la pressione fiscale ha ormai superato il 50%.

I soldi non ci sono, e va bene, ma almeno qualche misura simbolica, in cui le famiglie vengano valorizzate nel loro ruolo educativo si può pensare. Il primo esempio e il più urgente che mi viene in mente è cambiare lo scandaloso, obbrobrioso provvedimento di Speranza che consente di dare alle minorenni pillole abortive (impediscono non il concepimento, ma l’annidamento, quindi sono abortive) senza che i genitori lo sappiano e senza ricetta. Qui non è questione di fondi ma di restituire alla famiglia il ruolo che le spetta. Sarebbe un segnale a costo zero.