Preghiera del cuore

Mentre ci prepariamo a partecipare, in presenza o da lontano – in collegamento, o solo col cuore, come per esempio chi sarà in viaggio o lavorerà – al terzo Capitolo Generale del Monastero wi-fi (2 ottobre a Roma, san Pietro), e cerchiamo di farlo soprattutto lavorando sul cuore, vorrei dirvi che per me la parte sicuramente più difficile è stata fare la scaletta degli oratori: c’è così tanta ricchezza e bellezza nella Chiesa che ho sudato letteralmente freddo per giorni e giorni. Mi ha aiutato un po’ la Provvidenza perché alcune persone che avevamo invitato non possono venire, nonostante lunghe trafile di mail e telefonate e verifiche e tentativi di incastrare (tipo padre Serafino Tognetti che ha un matrimonio, e a un certo punto avevamo pensato anche all’opzione di paracadutarlo su san Pietro per far prima da Firenze). Una delle persone che avrei tanto voluto invitare è madre Maria Emmanuel Corradini, badessa del monastero di san Raimondo, a Piacenza, sapiente e accogliente donna di preghiera, ma anche super energica donna di azione… Ha preferito non lasciare la clausura (ma ci riproveremo!), però ci ha inviato due regali per prepararci. Ecco il primo (che poi sarà il tema della catechesi finale). Troviamo qualche minuto per lavorare sul cuore, per dissodarlo e renderlo più fertile.

PREGHIERA DEL CUORE

di madre Maria Emmanuel Corradini

Oggi siamo sommersi dal clamore delle parole e non diamo voce alla parola che proviene dal silenzio. I monaci nel capitolo vi della Regola di san Benedetto sono invitati ad amare il silenzio per custodire la Parola, perché la Parola ascoltata possa essere ruminata, amata, possa diventare luce, sale e forza, e quindi il parlare diventi dire bene. Ma per riempire l’anima bisogna fare silenzio, bisogna riempirsi della Parola di Dio, lasciarla decantare e, una volta decantata, questa Parola diventa ricchezza, luce, pace e consolazione. Quindi senza silenzio in realtà l’uomo perde sé stesso perché perde la propria interiorità. Vivere l’interiorità è necessario per ritrovare il senso dei valori e soprattutto il senso della preghiera.

Sappiamo che la parola uccide l’altro, può essere motivo di contesa, di divisione. Tante volte non si vuole fare del male ma attraverso una parola detta male o in modo sbagliato o nel tempo sbagliato, la parola assume un significato diverso da quello che volevamo dare. Allora la vita interiore ci aiuta a custodire le parole, a portarle in fondo al cuore dove dovrebbe abitare il Signore. E se queste parole vengono amalgamate con la presenza del Signore ritornano alla superficie con un peso, un significato, un senso molto diverso da quello che avevamo prima sulla bocca. Dobbiamo fare in modo che le parole prendano sempre di più la dimensione della Parola di Dio, che le nostre parole diventino preghiera.

Anche santa Teresa d’Avila ha vissuto per 20 anni una situazione difficile in cui la parola aveva il sopravvento. Disse senza vergogna: “Ho passato momenti di grande tristezza e depressione, momenti di vuoto, momenti in cui le orazioni, cioè le preghiere, non uscivano perché c’era tanta chiacchiera dentro di me”. Questa situazione è molto simile a quella che viviamo noi quando ci poniamo in preghiera, ma siamo distratti dalle cose da fare e dalle tante chiacchiere che abbiamo nella testa e si intromettono dentro l’orazione. Andiamo in chiesa, ma non riusciamo a pregare. Santa Teresa poi è stata liberata dal dialogo come chiacchiera con il mondo e sulle cose del mondo, ed ha iniziato un dialogo con Dio e su Dio e sugli uomini perché lo sguardo d’amore di Cristo su di lei l’ha cambiata. In santa Teresa la forma del dialogo è diventata vita, è diventata preghiera. Ecco la differenza!

Nel momento in cui la parola è diventata il luogo della preghiera il baricentro è stato spostato e quindi non ci sono più le chiacchiere, ma parole su Dio e parole sugli uomini per dire Dio. Ecco cosa vuol dire far sì che le parole diventino preghiera. La preghiera prima di tutto è ascolto di Dio. Se ho il cuore libero, Dio finalmente può entrare dentro di me, cioè può far sì che tutto quello che ho nel cuore, la matassa di parole che ho nel cuore, pian piano lascino lo spazio alla Parola di Dio, all’ascolto di Dio, all’Eucaristia. La prima cosa che fanno i monaci che sono dediti alla preghiera è ascoltare Dio, che poi in realtà vuol dire ascoltare gli uomini. E in funzione di come si ascoltano gli uomini e di come si ascolta Dio, si prega, cioè si rimane in un colloquio a tu per tu.

Le nostre parole hanno la struttura e la consistenza della chiacchiera o invece hanno la consistenza della preghiera? Che cosa dico quando dico il Signore?

La preghiera diventa una necessità del cuore, una necessità di vita.

Mons. Angelo Comastri (vescovo di Ancona) incontrò madre Teresa di Calcutta e racconta:

Mi chiese a bruciapelo quante ore pregavo ogni giorno. Rimasi sorpreso da una simile domanda e provai a difendermi dicendo: “Madre da lei mi aspettavo un richiamo alla carità, un invito ad amare i più poveri, perché mi chiede quante ore prego?” Madre Teresa mi prese le mani e le strinse tra le sue quasi per trasmettermi ciò che aveva nel cuore, poi mi confidò: “Figlio mio, senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri! Ricordati che io sono soltanto una povera donna che prega. Pregando, Dio mi mette il Suo amore nel cuore e così io posso amare i poveri.”

Se uno prega molto non può non fare la carità perché la preghiera porta alla carità. E la carità, se è reale, ti porta a pregare per colui al quale fai la carità, non c’è separazione. La preghiera è uno slancio del cuore, è un semplice sguardo gettato a Gesù. Crediamo che la preghiera sia fatica, ma siamo noi che la facciamo diventare fatica perché è faticoso il nostro rapporto con il Signore, perché il rapporto con il Signore è un dovere, un fare, non è un sentirmi figlio, un sentirmi a casa e dire: finalmente sto con il mio Signore.

Per pregare non c’è bisogno delle grandi cattedrali. Noi non comprendiamo capiamo il bisogno che abbiamo di Dio. Corriamo, facciamo tante cose, andiamo a cercare di riempire il nostro vuoto con le tante cose che ci provengono da fuori e non vediamo che il primo che ci riempie il cuore è Lui che nel tabernacolo silenziosamente è pronto a darsi a noi, se solo lo vogliamo. Eppure le chiese sono vuote perchè l’uomo non sente il bisogno di Dio, ma solo di parole rassicuranti, parole che ci dicono che siamo bravi, che siamo belli… ricorrendo a Dio quando le situazioni sono difficili.

Quante volte la mia parola è preghiera o invece è chiacchiera? Se la mia parola è chiacchiera non ottengo una comunione spirituale con Dio, che è la cosa principale. Dio deve essere dentro di me, abitare me, e se abita quello che io vivo allora non diventa difficile pregare perché gli affido esattamente tutto ciò che compio, le cose belle e le cose brutte, quelle drammatiche e quelle gioiose. Tutto diventa preghiera! Bisogna avere il nome di Cristo sulle labbra e nel cuore, come il pellegrino russo che ripete insistentemente: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me peccatore”. Allora la salvezza irrompe nel nostro cuore. Più siamo in comunione con il Signore, più continuiamo a pregare e tutto ciò che facciamo e diciamo sarà nel nome di Cristo.

San Silvano del Monte Athos diceva che la preghiera viene donata a colui che prega, più si prega più si diventa capaci di pregare. Piano piano questa preghiera del cuore mette a tacere tutte le turbolenze che abbiamo in noi. La preghiera del cuore significa riconoscere che il Signore è necessario alla mia vita.

San Silvano del Monte Athos diceva che per pregare ci sono si le chiese, i libri… ma questi non li puoi portare con te, mentre la preghiera interiore, il nome di Gesù è sempre ed ovunque con te e quindi l’anima è il miglior santuario e tutto il mondo diventa abitato da Dio. Ecco la bellezza di chi non si pone il problema di dover pregare, di dover anche andare a Messa; lo spirito giusto è il desiderio di incontrare Gesù.

Bisogna fare in modo tutti i giorni di trovare alcuni minuti per pregare, per cercare il Signore. Allora ti accorgi che nelle cose più quotidiane il nome di Gesù viene fuori. Se aspettiamo di avere le mezz’ore o le ore a disposizione non lo troveremo mai, ma se i pochi minuti che abbiamo li riempiamo con il nome di Gesù questo trasformerà piano piano la nostra vita. Allora passare in chiesa, fare adorazione, leggere un testo spirituale, aprire la Parola di Dio, sarà una gioia, diventerà una necessità, magari alla sera prima di dormire, perché il nome di Gesù sia l’ultima cosa che spegne il giorno.

Un altro aspetto è la preghiera d’intercessione, la preghiera per gli altri, la preghiera con gli altri. Etimologicamente intercedere vuol dire “fare un passo tra, interporsi”, cioè situarsi tra due parti per cercare di costruire un ponte, una comunicazione tra di esse. Bisogna far si che la preghiera d’intercessione possa essere per l’altro. È Gesù stesso che prega sempre ed intercede sempre il Padre per noi. Quindi quando entriamo in chiesa, quando cantiamo i vespri e le lodi non facciamo altro che prestare la voce a Gesù, ci immettiamo nella preghiera di Gesù che diventa la preghiera della chiesa e che diventa la modalità con cui la preghiera viene portata al Padre. Pregare sempre vuol dire che dobbiamo sempre rimanere in comunione con Dio. Bisogna avere sempre il nome di Cristo sulle labbra e nel cuore. E più siamo in comunione con Cristo sulle labbra e nel cuore più sentiremo una grande pace, una grande solidità, una grande stabilità.

Questa preghiera nasce dall’amore; quando una mamma ha un figlio ammalato prega giorno e notte, non conta le ore, non conta le parole; si mette a pregare come la cananea e finché non ha ottenuto quello che vuole non se ne va. Perché le sta a cuore suo figlio.

Quindi la preghiera di intercessione è una preghiera del cuore, cioè indica che mi sta a cuore questa persona. Io prego non per me, ma perché questa persona abbia ciò di cui è necessario. Quindi la preghiera apre le porte all’amore. La preghiera per gli altri nasce dall’amore e conduce all’amore purificando l’amore. Dobbiamo pregare per avere un cuore che pian piano prega, pulsa, batte sull’onda dello Spirito. Allora ci sentiremo particolarmente amati, perdonati e accolti dal Signore. Andremo alla preghiera non con la paura, non con l’angoscia di non essere ascoltati o capiti, ma con la consapevolezza di chi sa che può andare così com’è ed essere accolto. Una monaca mi diceva qualche tempo fa: “Stai pregando? Io non so se so pregare” dopo un minuto di silenzio ha detto: “É la preghiera che mi fa”. Cioè più uno prega e più la preghiera lo trasforma. Più preghi e più il tuo cuore cambia. Non è nel numero delle preghiere che dici, ma è nel metterti in ascolto di Dio e nella tua disponibilità a questa preghiera, che la preghiera ti cambia il cuore perché ti fa sentire lo sguardo di Dio su di te. E tu sei in pace, non ti devi difendere, non devi spiegare, non devi capire. Non c’è niente da capire nella preghiera.

Dostoevskij racconta la preghiera del popolo ed è molto bello perché nei suoi romanzi racconta il volto del popolo che ha bisogno e che va a Dio, che fa tanta fatica, che cade nel peccato e che cerca di rialzarsi. C’è un testo de “I fratelli Karamazov” che racconta di una donna che guardava da lontano lo staretz (maestro e istitutore di Dio, che ha discernimento, che vede i pensieri e i peccati delle persone che gli si rivolgono n.d.r.). Questa donna che era tutta piegata su se stessa, poi alzava la testa e guardava lo staretz, poi continuava a tenere la testa piegata e piangeva. Si avvicinò allo staretz e lui le disse:

Non avere paura di nulla, non avere paura mai, non ti far prendere dall’angoscia, basta che il pentimento non ti indebolisca dentro e Dio perdonerà tutto. Non c’è nulla nel mondo che possa essere un peccato tanto grave che il Signore non lo perdoni a chi si pente proprio di cuore. Abbi fede in Dio che ti ama tanto che tu non puoi nemmeno immaginarlo: ti ama nonostante il tuo peccato, o meglio, proprio nel peccato in cui ti trovi. Va e non temere. Se provi pentimento vuol dire che tu lo ami e se tu ami sei già in Dio. Con l’amore tutto si salva. Se io, che sono al pari di te un uomo peccatore, mi sono commosso sul tuo caso e ho avuto pietà di te, quanto più sarà così di Dio. L’amore è un tesoro inestimabile che ci puoi comprare tutto il mondo. Va e non temere”. E questa donna gli disse: “Padre lei mi ha rimescolato il cuore”.

Provate a pensare quante volte noi abbiamo dei peccati che sono dei macigni e diciamo: non so… non trovo le parole giuste per dirlo. E questi peccati rimangono come dei macigni che ci tirano giù. Quando noi non ci perdoniamo e non sappiamo pregare perché non ci siamo perdonati nella nostra vita, significa che non abbiamo ancora capito chi è Dio. Quindi la nostra prima azione deve essere quella di metterci sotto lo sguardo di Dio e ascoltarlo e cominciare una relazione con Lui, un dialogo con Lui che può essere una preghiera di domanda, una preghiera di intercessione, una preghiera di gioia, una preghiera di giubilo perché c’è di mezzo una relazione con qualcuno con cui io voglio condividere la vita.

La preghiera diventa vita. La salmodia è la vita del popolo. Ci sono salmi di imprecazione, salmi di lode, salmi di dolore, salmi di lode al Signore nel tempio. E non sono stati esclusi i salmi imprecatori, i salmi di dolore, i salmi di contrizione del cuore perché questi sono la preghiera del popolo. Quindi il popolo va a Dio così come è capace di andare a Dio. Allora dobbiamo salvare Dio nel nostro cuore perché sennò rischiamo di avere tante cose dentro al nostro cuore ma di non avere Dio, di presumere che una preghierina di pochi minuti mi possa far essere credente. E dopo, quando accade qualche cosa di serio, la prima cosa che pensiamo è: “ma io prego tutti i giorni e guarda cosa mi è accaduto”; tu non hai pregato, non ti sei messo in relazione con il Signore perché se ti metti in relazione con il Signore quando ti accade qualcosa lo vivi con il Signore: è questa la differenza. Se preghi realmente il Signore, la preghiera entra in quello che ti accade e il Signore non è da un’altra parte, ma è in quello che ti accade.

Etty Hillesum descrive una scena molto particolare, quando vede i suoi amici ebrei deportati al campo di smistamento di Westerbork che arrivano con le valigie piene non solo di vestiti, ma di oggetti della casa …. perché uno ha l’idea di salvare qualcosa, di portare qualcosa che è la sua storia, la sua vita. Lei guardandoli da lontano un po’ distaccata dice: ma questi uomini e queste donne che cercano di salvare le forchette, i bicchieri, le immagini… sono preoccupati di salvare Dio nel loro cuore? La stessa domanda dobbiamo farcela noi; le nostre valigie di cosa sono piene? I nostri armadi di cosa sono pieni? Le nostre case di cosa sono piene? Sono piene di Dio cioè si respira aria della presenza di Dio, oppure abbiamo tanti soprammobili che tolgono l’aria. Di che cosa è piena la nostra vita? Salviamo Dio nel nostro cuore? Salvare Dio nel nostro cuore non vuol dire buttare fuori quelle cose, ma vuol dire dare il giusto peso alle cose che abbiamo. Vuol dire che parto da Dio e rileggo tutte le cose che ho nell’ottica di Dio. Questo è salvare Dio nel nostro cuore.

Attraverso la preghiera ci mettiamo in rapporto prima di tutto con Dio, con noi stessi e con gli altri. Pregando comprendo chi è Dio, comprendo chi sono io e comprendo chi sono gli altri. Tutto è unificato, non c’è separazione perché Dio ti porta ad uscire e andare agli altri. Ecco perché i monaci sono quelle persone che sanno sempre andare verso l’uomo, hanno sempre la parola giusta, lo sguardo giusto sulla storia; non perché sono dei maghi, ma perché stando con Dio cominciano a guardare la storia e la propria storia con gli occhi di Dio: questa è la profezia. Tutti i battezzati hanno questo dono, il dono della profezia, cioè di leggere la storia con gli occhi del Signore.

Altra cosa importantissima è che noi non ci salviamo da soli, abbiamo bisogno della preghiera degli altri. Io ho bisogno della preghiera delle mie sorelle e della vostra preghiera come voi avete bisogno della nostra preghiera. Scrive Dietrich Bonhoeffer:

Una comunità che non vive dell’intercessione degli altri è una comunità destinata a perire. Non posso giudicare o odiare un fratello per il quale prego, per quanta difficoltà io possa avere ad accettare il suo modo di essere o di agire. Il suo volto, che forse mi era estraneo o mi riusciva insopportabile, nell’intercessione si trasforma nel volto del fratello per il quale Cristo è morto, nel volto del peccatore perdonato”.

Una famiglia che non vive dell’intercessione degli altri è destinata a perire. Il primo esercizio dell’autorità (dell’abate) è quello di pregare per la comunità. Il primo esercizio per un padre e una madre è di pregare l’uno per l’altra e di pregare per i figli affidati loro. La comunità in cui non si intercede uno per l’altro è destinata a morire perché nascono invidie, fazioni, gelosie mentre la preghiera ti riconduce e ti porta all’altro, a stare con l’altro, ad andare verso l’altro. La preghiera di intercessione è fatta soprattutto da chi esercita una autorità. Questa esperienza di fede è bellissima perché la fede è ecclesiale cioè significa che non ci salviamo da soli. In questo modo ciascuno e tutti andiamo insieme in Paradiso.

C’è un bellissimo racconto di Dostoevskij ne “I fratelli Karamazov” in cui viene data una descrizione commovente della preghiera di intercessione. Lo staretz Zosima disse a un giovane monaco che era entrato in monastero:

“Ragazzo non scordare la preghiera; nella tua preghiera, se sincera, trasparirà ogni volta un nuovo sentimento e una nuova idea che prima ignoravi e che ti ridarà coraggio; e comprenderai che la preghiera educa. Rammenta poi di ripetere dentro di te ogni giorno ed ogni volta che puoi: “Signore abbi pietà di tutti coloro che oggi sono comparsi dinnanzi a te” poiché ad ogni ora e ad ogni istante migliaia di uomini abbandonano la vita su questa terra e le loro anime si presentano al cospetto del Signore. E tante volte nessuno prega per loro, nessuno piange per loro. Ma tu sappi che dall’estremo opposto della terra si eleva allora la tua preghiera al Signore per l’anima di questo morente, benché tu non lo conosca affatto né lui abbia conosciuto te. Come si commuoverà la sua anima quando timorosa comparirà dinnanzi al Signore nel sentire che mentre stava salendo a Dio qualcuno pregava per lei”. E lo sguardo di Dio sarà più benevolo verso entrambi, poiché se tu hai avuto tanta pietà di quell’uomo, quanta più ne avrà Lui che ha infinitamente più misericordia e più amore di te. E gli perdonerà grazie a te.”

Questa è la preghiera che ci unisce, questa è la preghiera che non va mai persa. Ad alcuni genitori dico che la cosa più importante che possono fare i per i loro figli, che magari sono grandi e non li ascoltano molto, è pregare. Un genitore prima ha sopperito alle necessità materiali, poi a quelle culturali (scuola) poi è il tempo della preghiera in cui consegnare quello che hai di più prezioso a Dio. Gesù Cristo sul monte pregava per noi per poi consegnarci al Padre e durante il giorno raddrizzava storpi, zoppi, ciechi. Portava l’umanità davanti al Padre. Questo è il ministero principale di Cristo.

La preghiera quindi diventa l’atto fondamentale della vita, l’atto fondamentale per vivere, l’atto fondamentale per diventare uomini e donne; altrimenti ci massacriamo a vicenda, tutti diventano nemici. Invece la preghiera riconduce tutto a Dio e lascia a Dio il suo giudizio. La preghiera è indispensabile per vivere, per amare, per fare atti di carità e per sopportare quello che la storia concretamente tutti i giorni ci mette sulle spalle. Ma se uno prega, piano piano viene inondato dalla presenza di Dio e questa presenza è capace di sostenere tutto, perché la presenza di Dio è l’amore. Ecco perché il testo di San Paolo ai Romani dice: “chi potrà farci del male? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la spada, la nudità? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati.” E torniamo allo stesso punto: ascolto, amo, prego e cresco. E vi assicuro che invece di avere volti tristi avremo volti lieti, profondamente pacati perché Dio trasforma anche l’aspetto esteriore.

Amen.