Scoprendo Lejeune

di Costanza Miriano

Prima di leggere la biografia di Jerome Lejeune pensavo che quest’uomo di cui è avviata la causa di beatificazione fosse “solo” un medico, difensore della vita, un buon cattolico, un signore sorridente e con la faccia buona: e già sarebbe molto, ho scoperto che è stato molto di più.

La biografia scritta da Aude Degast mi ha aperto un mondo, ed è davvero appropriato il sottotitolo: la libertà dello scienziato. Lejeune ha difeso la vita con tutte le sue forze perché da scienziato, in modo competente e non ideologico, ha prima di tutto e prima di tutti capito che l’avventura della vita comincia con l’ovulo fecondato. È avvincente come un romanzo questo libro che racconta una incredibile storia di passione prima di tutto per il sapere, niente a che vedere con la caricatura del militante prolife oscurantista e cattobigotto, come spesso ci dipingono gli altri, gli ignoranti che ancora provano a sostenere che nel grembo materno non c’è altro che un grumo di cellule. Dopo la laurea in medicina Lejeune entra nel  Centre national de la recherche scientifique e fa studi geniali sul DNA, sui cromosomi, in particolare sui loro legami con le malattie cognitive. Fa scoperte importantissime, riconosciute dal mondo scientifico internazionale, dirige ospedali e centri di ricerca, ma nonostante questo per le sue posizioni contrarie all’aborto e anche alla procreazione assistita viene emarginato da molti colleghi. Giovanni Paolo II è un suo intimo amico, e gli chiede di essere il primo presidente della Pontificia Accademia per la Vita.

Si è battuto perché le sue scoperte sulla sindrome di down, che lui è stato il primo a definire, fornendo criteri per la diagnosi anche precocissima, non venissero usate per uccidere nel grembo materno i bambini che ne fossero affetti. Ne diventa un protettore amatissimo da loro e dalle loro famiglie, e odiato dai militanti pro aborto, sempre pochi ma molto rumorosi, che spesso cercano di impedire i suoi interventi pubblici. L’argomento dei suoi avversari è sempre quello, nella pancia c’è un grumo di cellule e non un uomo, sebbene “molto giovane”, come dice lui.

Il punto è sempre quello, far comprendere che si tratta di una vita, di una persona, e insieme accostarsi con dolcezza e umanità, con umiltà alla madre, come lui sapeva fare. In questi giorni si stanno raccogliendo le firme per una proposta di legge, c’è tempo per firmare fino al 7 novembre (bisogna andare nel proprio municipio di appartenenza); la proposta si chiama Un cuore che batte, e l’intento è sicuramente buono: aiutare le madri a capire che dentro di loro c’è una vita vera. La proposta prevede l’obbligo per i medici di far sentire alla madre il battito del bambino nel grembo. Sul metodo ho qualche dubbio, però, e sono giorni che ci rifletto. Dico la verità, obbligare un medico che si accinge a uccidere un bimbo a far sentire il battito, un medico dunque non obiettore, che di lì a poco troncherà con un bisturi quella vita, non so se sia la via giusta. Una stessa legge dunque permetterebbe a quel medico di uccidere una persona, ma lo obbligherebbe a dimostrare che è una persona. Ci sarebbero molte cose da dire, ma la più importante per me è che senza un incontro, una relazione, senza l’accoglienza della donna è difficile far nascere in lei il coraggio di fare spazio a una persona che cambierà la sua vita, in meglio, ma lei adesso non può saperlo. Detto questo, è un tentativo più che altro simbolico, senza nessuna speranza concreta di effetti pratici, di non far spegnere i riflettori su questa strage quotidiana, e questo è sicuramente un bene. A volte sentire il battito funziona, in molti stati americani questo ha fatto diminuire gli aborti, e in ogni caso qualunque tentativo per non spegnere i riflettori su questa strage quotidiana è benvenuto. 26 milioni di aborti all’anno nel mondo, e 26 milioni di donne che rimangono distrutte da questa tragedia valgono qualsiasi tentativo.

Quando ha cominciato la sua attività Lejeune la consapevolezza che quello fosse un bambino era molto meno diffusa di oggi, mentre ai nostri giorni sappiamo tutto del miracolo che avviene dal momento del concepimento, come spiega per esempio fin nei minimi dettagli, ma in modo divulgativo, un libro scritto da Gabriele Semprebon, fisiopatologo e bioeticista, Luca Crippa, scrittore, e Arnoldo Mosca Mondadori, poeta e scrittore: Il miracolo della vita, Riscoprire oggi l’avventura di nascere.

Nel frattempo – come racconta con squarci da vero romanzo – la sua vita privata fiorisce: ha una moglie amatissima e cinque figli, ai quali trova sempre il modo di dedicare del tempo. Il libro racconta il suo metodo educativo, pieno di rispetto per i figli e tenerezza e affetto, racconta le loro vacanze e la piccola casa sul mare, l’amicizia col Papa, l’amore per la moglie, con la quale c’è una sintonia stupenda, le case delle vacanze, la vita parigina, la contemplazione e la preghiera, per la quale trova sempre tempo nonostante le ore passate al lavoro e quelle per la testimonianza pubblica a favore della vita, soprattutto dei più poveri di tutti, i bambini malati, e i loro genitori, per i quali il futuro santo, Jerome, ha una tenerezza infinita.