La Liturgia della Parola – Catechesi #monasteroWiFi Roma, 5 febbraio 2024 Liturgia della Parola

Ecco la Catechesi di don Nico Rutigliano – Monastero Wi-fi Roma, 5 febbraio 2024  . Vi ricordiamo che questa sera ci sarà la Via Crucis del M0nastero Wi-Fi Roma al Palatino.

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Dalla regia mi dicono che devo iniziare dicendovi che sono un sacerdote guanelliano, vengo dal don Guanella. L’Opera don Guanella si dedica ai ragazzi, disabili e anziani. Abbiamo diverse case con persone con disabilità cognitiva. A Perugia c’è una casa per disabili in via Tuderte, ed io ho vissuto lì due anni, da chierico, mentre andavo a studiare filosofia ad Assisi.

I ragazzi (li chiamiamo “ragazzi” anche se hanno 70 anni) parlavano sempre di una signora, chiamata Rita, la quale ogni tanto veniva a trovarli e portava loro dei regalini. Una volta l’anno, sotto Natale, si andava a Perugia, a casa sua, e lei preparava un rinfresco e dava loro dei doni.

In quella occasione andai anch’io e con la chitarra animavo i canti. C’era lì una ragazzina molto attenta ed interessata. Quando ho conosciuto di persona Costanza Miriano, ormai diventata famosa per i suoi primi due libri sul matrimonio, mentre si parlava, abbiamo realizzato che quella preadolescente era proprio lei, nipote di zia Rita di Perugia.

Io non so perché hanno chiamato me. Fuori, venendo qui, dopo aver parcheggiato, c’era una coppia di Cremona, li indico con il naso: sono timidi perché sono qui la prima volta ma loro fanno il tifo per voi. Quindi sentitevi onorati, ma anche più impegnati a pregare. Bene, mi hanno detto: “Ma lei è quello che viene qui a tenere la catechesi?”. Ed io ho detto: “Non lo so neanch’io perché… purtroppo si, cioè spero bene per voi”. O non hanno trovato nessuno… e se non galoppano i cavalli, corrono gli asini; oppure confidiamo nel Signore perché, Lui che con una mascella d’asina ha fatto fare a Sansone una strage di Filistei chissà cosa potrà fare con me che sono un asino tutto intero.

Bene, il tema di questo primo lunedì del mese è quello della Liturgia della Parola. La liturgia della Parola è una delle due parti della Santa Messa. A me piace sempre iniziare con una “declaratio terminorum”, cioè chiarire sempre i termini, così comprendiamo meglio. “Perché si dice Messa? Ve lo siete mai chiesti?”

A questa domanda molti rispondono: “perché alla fine della messa in latino si diceva “Ite missa est”. Sì, però questa risposta non è esaustiva, non spiega perché l’intera azione liturgica sia denominata “messa”.

Quando c’era la liturgia eucaristica ed i neofiti iniziavano a parteciparvi, al momento della richiesta di perdono, la nostra attuale liturgia penitenziale (all’epoca c’era la confessione pubblica), questi nuovi adepti erano invitati ad uscire: erano mandati (in latino “missi”), dimessi.

E così i catecumeni, che si avvicinavano alla fede, quelli che avrebbero ricevuto il battesimo nella la notte di Pasqua, partecipavano alla prima parte dell’Eucaristia, cioè quella della Liturgia della Parola, e poi anch’essi venivano dimessi, “missi”, mandati. E quindi, alla fine della messa tutta la comunità era mandata (“missa”) ad annunciare il Vangelo, a testimoniare con la vita quello che avevano vissuto. Quindi la parola “messa” viene da “missa”, mandata. Il termine “missa” finì per definire questa liturgia, che serviva ai primi cristiani per parlare tra di loro e non farsi capire. Come saprete, per non far capire ai pagani che stavano parlando della liturgia eucaristica (siamo in tempo di persecuzione), usavano parole segrete.

Si riconoscevano fra loro con il simbolo del pesce. Ichthus” è la parola che in greco (ΙΧΘΥΣ) significava “pesce”, da cui “ittico” per esempio, ed è un acrostico: Iēsous Christos Theou Yios Sōtēr”, che significa “Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore”. Serviva loro per riconoscersi, facevano il disegno del pesce che gli altri non capivano. Per inciso va detto che questo segno ed altri simboli, come l’ancora, il pellicano, l’alfa e l’omega, le iniziali di Kristòs, sono immagini più antiche della croce, che diverrà diffusa e comune solo con l’Imperatore Costantino (morto nel 227 d.C).

Ecco da cosa deriva la parola Messa: da Missa, perché tutta la comunità cristiana è mandata, inviata.

 

La santa Messa è divisa in due parti: la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica. Perché due parti?

Perché i primi cristiani, i giudeo-cristiani, ossia i cristiani che si erano convertiti dal giudaismo, frequentavano ancora le sinagoghe e nelle sinagoghe c’era la Liturgia della Parola.

Nelle sinagoghe i rabbini e gli scribi, dopo la lettura dell’Antico Testamento (soprattutto la Legge e i Profeti), spiegavano la Parola con aneddoti, con testimonianze, ma soprattutto citando autori del passato, rabbini famosi.

Poi la domenica, nel giorno del Signore, cominciarono pure a fare la “fractio panis” nelle case. E questo fino agli anni 60-70 d.C. perché i cristiani, ascoltando la Parola di Dio, quella dell’Antico Testamento, cominciarono a dire: “ma tutte queste cose che ascoltiamo sono riferite a Gesù”. Lo dicevano anche ai giudei: “guardate che tutte queste realtà che ascoltiamo stanno parlando di Gesù Cristo”. I giudei non potevano però accettare che i cristiani dicessero che si parlava di quel famoso Cristo che trent’anni prima era stato messo in croce.

Di conseguenza i cristiani furono cacciati dalle sinagoghe.

E allora, dovendo continuare a pregare, per cui la domenica, alla “fractio panis”, aggiunsero le letture, cioè la Liturgia della Parola. Questo deve essere avvenuto negli anni 80 d.C. Siamo alla fine del primo secolo.

Ci sono delle testimonianze: per esempio quella di S. Giustino, del II secolo, il quale dice che nelle liturgie nelle case si riportavano le testimonianze dei primi Apostoli. Subito dopo la Resurrezione di Cristo erano ancora presenti gli Apostoli, coloro che avevano conosciuto Cristo. Erano testimoni oculari e quindi cominciano a raccontare quanto avevano visto ed ascoltato. Loro l’avevano visto de visu, l’avevano sentito, quindi tramandavano i detti e le ipsissima verba di Cristo e riferivano i racconti e le parabole. Immaginate che fervore poteva esserci nelle prime comunità dei cristiani.

Il messaggio più corposo era il “kerigma”. Sapete il kerigma è il primo annuncio: Cristo è risorto ed io l’ho visto. Quel Cristo che è stato condannato a morte e giustiziato, è risorto il terzo giorno, ed io l’ho conosciuto. Anche noi abbiamo occasione di esprimere il kerigma: sì, io l’ho visto, ha trasformato la mia vita, mi ha chiamato e io dono la mia vita per Lui. Questo annuncio ha una forza dirompente anche nella testimonianza, nell’evangelizzazione. Possiede una energia che sconvolge e smuove gli animi, converte.

 

Quale è lo scopo della Liturgia della Parola? Perché c’è questa liturgia prima della liturgia Eucaristica, della Consacrazione, della Comunione?

Ci affidiamo alle illuminate espressioni del Card. Raniero Cantalamessa, il quale due anni fa ha tenuto una sapiente conferenza al Papa e alla Curia Romana (Prima Predica, Quaresima 2022), proprio su questo aspetto.

1). Cantalamessa dice che la prima caratteristica della Liturgia della Parola è quella di preparare alla liturgia Eucaristica. L’ascolto della Parola cioè, aiuta le persone, gli uditori a saper riconoscere quel Cristo che viene sotto le spoglie del pane e del vino. La Liturgia della Parola mette in rilievo alcuni aspetti particolari del grande mistero di Cristo. Allora, questa è la prima dimensione: la Liturgia della Parola è propedeutica alla comprensione del mistero eucaristico. D’altra parte, ricordiamo Emmaus: i due discepoli si sentono affiancare da uno sconosciuto. Questo viandante è Gesù Cristo che spiega loro le scritture. È grazie a questa spiegazione delle Scritture che loro, dopo, capiscono quella fractio panis: era Lui, ci ardeva nel cuore! Questo avviene nell’Eucarestia, nella Santa Messa. La liturgia della Parola ci prepara alla liturgia Eucaristica.

2). Un altro aspetto è quello che la Liturgia della Parola ci fa rivivere i fatti raccontati. Cosa vuol dire rivivere? Quanto è narrato è reso presente e noi lo riviviamo.  Dice Cantalamessa: “noi non siamo soltanto spettatori; noi siamo attori durante la proclamazione della Parola di Dio. Quella che è la memoria dei fatti diventa presenza; la memoria diventa realtà. E allora non siamo più uditori, ma dobbiamo prendere parte, essere quasi interpreti di quelle narrazioni”. L’esempio più chiarificante è la lettura del “Passio”. Dopo l’ascolto della Passione di Cristo siamo chiamati a prendere il nostro posto in quel racconto. Chi vuoi essere? Uno che si lava le mani? Uno che dice: “la colpa è dell’altro?”. Vuoi aiutare Cristo a portare la croce? Ce n’è per tutti!  Questo è rivivere il racconto biblico: viverlo oggi, perché la Parola di Dio parla adesso, a me.

Pensiamo ai vari esempi che lo stesso racconto biblico ci presenta. Nell’Antico Testamento incontriamo l’episodio di Mosè e il roveto ardente. Anch’io sto per ricevere questo fuoco ardente dentro di me, che è Cristo. E quel Cristo che ha portato un fuoco nel mondo ci ha detto pure: “come vorrei fosse ancora acceso”. Oppure guardiamo ai profeti, tra i quali Geremia: “un tizzone ardente mi è stato posto sulle labbra”. Io sto per ricevere il fuoco che è Cristo nella Comunione. Ma il Nuovo Testamento, pure, contiene episodi che ci interpellano e ci coinvolgono: l’emorroissa, che tenta di toccare il lembo del mantello di Cristo. Altro che mantello noi tocchiamo: tocchiamo tutto Gesù nella Comunione, nell’Eucarestia.

E così Zaccheo: io sono Zaccheo, perché Gesù viene in casa mia? Prima della comunione diciamo: “Signore non sono degno che tu entri in casa mia”. E poi c’è il centurione che dice: “Oggi la salvezza è entrata in casa tua”. Nell’Eucaristia Gesù lo sta ripetendo a me. Ma sono anche quell’uomo dalla mano inaridita, e Gesù mi dice: “Stendi la tua mano”. Sono anche il lebbroso e il Maestro mi monda dai miei peccati… Quindi io devo entrare nella narrazione: la Parola si fa, diventa presenza per me.

3). Un’altra dimensione, un’altra caratteristica della Liturgia della Parola è quella della guarigione. Nella Liturgia della Parola noi siamo guariti anche dai peccati, peccati veniali chiaramente. Alla fine della proclamazione del Vangelo, il sacerdote, dopo aver baciato l’Evangeliario, dice: “la Parola del Vangelo cancelli i nostri peccati”. I nostri, di tutti, non soltanto quelli del sacerdote. Ma allora, uno dice: “che mi vado a confessare a fare? Ho sentito la Parola di Dio…”. No! I peccati gravi dobbiamo confessarli (è importante fare una buona e sincera confessione con l’assoluzione).

4). La Parola di Dio ha il potere di convertire. Se tu ti poni con l’atteggiamento giusto, se tu accogli la Parola di Dio nel tuo cuore, certo che ti convertirai.

Un giorno un giovane entra in chiesa e, ascoltando la Parola di Dio di quel giorno, (c’è il Vangelo del giovane ricco), si sente dire: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi”. Questo giovane esce fuori dalla chiesa, è convertito, vende tutto, assicura una dote a sua sorella e si ritira nel deserto. Chi è? È S. Antonio Abate.

Un altro giovane, secoli dopo, con un suo amico entrano in chiesa. La Liturgia della Parola, quel giorno, proponeva il brano del mandato: “non portate con voi né denaro, né bisaccia, né due tuniche, né sandali, né bastone”. Allora si rivolge al suo compagno: “hai visto? Il Signore ci sta parlando, è questo quello che dobbiamo fare”. Escono fuori dalla chiesa di San Damiano e iniziano una nuova avventura. È San Francesco di Assisi con i suoi primi compagni.

5). C’è un’altra dimensione della Liturgia della Parola. Se la Messa non avesse la Liturgia della Parola sarebbe monotona. La Liturgia della Parola, avendo la capacità di mettere in rilievo un aspetto particolare di Gesù Cristo, della sua poliedrica persona divina, ci dona ogni volta questa novità e questa creatività. Quindi la Parola di Dio rende tutta la Liturgia sempre nuova.

 

Una parola sull’omelia: quanto deve durare? In realtà l’omelia fa parte della Parola di Dio. L’omelia non è una cosa, che se non c’è è pure meglio, perché stiamo più tranquilli, soprattutto se è soporifera. L’omelia è la spiegazione, l’attualizzazione di quello che è stato appena proclamato.

Allora il suggerimento è che se anche il nostro parroco è un po’ noiosetto, anche se si perde negli avvisi, dobbiamo ascoltarlo. Dobbiamo ascoltare i nostri pastori, perché loro hanno una visione più ampia rispetto alla nostra più domestica. I pastori conoscono bene l’ambiente ecclesiale, il territorio, conoscono noi e poi il Signore si serve di loro. Ad ognuno Dio dà il prato adatto dove andare a brucare l’erba: è inutile andare a brucare sempre nel prato del vicino. Dobbiamo fidarci di Dio.

 

Ci sono due modi per preparare l’omelia.

1). La prima modalità è quella di sedersi a tavolino, mettere giù delle idee, cercare i biblisti che piacciono di più e poi chiedere al Signore la grazia di preparare una bella predica. È una maniera lecita di preparare l’omelia, ma occorre riflettere che non è Dio che deve essere a servizio della nostra cultura, ma è la nostra cultura che deve essere al servizio di Dio.

2). Per cui è preferibile un secondo modo di preparare l’omelia: occorre prima chiedere al Signore il dono dello Spirito perché ci ispiri il messaggio che Dio vuole trasmettere agli ascoltatori e poi sedersi a scrivere una scaletta o uno schema della predica. Prima di sedersi a tavolino bisogna mettersi in ginocchio e chiedere: “Signore cosa vuoi che io dica?”. “Quale messaggio vuoi comunicare?”.

Il Signore parla aldilà di quello che possiamo dire con le nostre povere parole. Effettivamente è così. Molti preti ve lo avranno già detto. A me è capitato. Una signora mi dice: “Padre, quello che ha detto in predica mi è servito tanto!” Ma che ho detto? Riporta un pensiero che io neanche ricordo di averlo detto! “Ma lei è sicura che lo ho detto io?”

Un sacerdote ha raccontato che è venuto un signore, che non veniva da tanto tempo in chiesa, e gli ha raccontato quanto gli è accaduto. Passava davanti alla chiesa, e vista la porta aperta, vede che sta predicando, entra, lo ascolta e da allora viene sempre in chiesa. “Padre, dopo che io l’ho ascoltata vengo sempre la domenica a messa perché le cose che ha detto sono state per me proprio un miracolo!”. “E cosa ho detto?”. Quella volta ha detto: “Bisogna andare a messa la domenica”. “Io? Ma non fa proprio parte della mia predicazione invitare ad andare a messa la domenica!”.

 

Invocazione dello Spirito Santo

Il Signore dice oltre le nostre parole, per cui bisogna prima pregare e poi mettersi a preparare qualcosa da dire, da raccontare, da spiegare sulla Parola di Dio.

Lo dice anche il Papa che bisogna impegnarsi al massimo e quest’impegno deve essere sia da parte del ministro che da parte dei fedeli. “Chi tiene l’omelia deve compiere bene il suo ministero offrendo un reale servizio a tutti coloro che partecipano alla Messa, ma anche quanti l’ascoltano devono fare la loro parte” (Udienza di Mercoledì, 7 febbraio 2018). Si tratta cioè di impegnarsi al massimo nel vivere bene questo momento della Liturgia della Parola.

Su questo argomento il Card. Cantalamessa dice: “non basta il nostro impegno, non basta il nostro sforzo. Occorre la forza dall’alto. E spiega: “ci vuole l’azione dello Spirito Santo che si chiama l’unzione spirituale”.

Per vivere bene il momento dell’ascolto della Parola bisogna chiedere allo Spirito il dono della illuminazione, perché come dice Sant’Agostino: “le parole esterne non servono se non c’è il maestro interiore. Le parole esterne saranno soltanto un semplice strepitio”. Allora “unzione spirituale” vuole dire invocazione dello Spirito, sia per chi legge e spiega la parola di Dio, sia per chi si mette in ascolto.

Bisogna leggere le Sacre Scritture sotto l’egida dello Spirito Santo, cioè sotto la guida di colui che le ha scritte! La differenza tra il Corano e la Bibbia è proprio questa: secondo l’Islam il Corano è stato dettato, invece per il Cristianesimo i Testi Sacri (questi 73 Testi Canonici che sono entrati nella Bibbia) sono stati ispirati dallo Spirito Santo. Infatti, gli autori sacri, coloro che hanno scritto i testi biblici, sono chiamati “agiografi”, cioè hanno scritto cose sacre.

Testi canonici e testi apocrifi

Perché i testi entrati nella Bibbia cattolica si chiamano “canonici”? Perché essi sono entrati nel “canone”, a differenza degli “apocrifi”, che non sono rientrati (“apocripto” da cui “cripta”, vuol dire nascondere, mettere da parte). Gli apocrifi sono stati messi da parte dalla Chiesa cattolica per dare spazio soltanto ai canonici. Questi 73 libri sono canonici, da “canon”, greco, che vuol dire “canna”, un’unità di misura.

Come si è formato questo insieme di testi?

Il popolo ebraico era un popolo nomade. E prima di entrare nella terra processa, la Palestina, non aveva la possibilità e il tempo di mettersi a scrivere per trasmettere ricordi, tradizioni e norme. Si affidava quindi alla trasmissione mnemonica. Ma quando si stabilisce nel territorio un regno di pace e di stabilità, col Re David, questi ricordi passano dalla memoria allo scritto. La maggior parte dei testi sono stati scritti quando il popolo è diventato sedentario, quando con Davide, intorno all’anno 1000, sono sorte le scuole di pensiero che riflettevano sulle grandi questioni sull’uomo, su Dio, sulla creazione, sullo scopo della vita, ecc.

Il ricordo più bello che andava tramandato era il fatto che il Signore aveva liberato il popolo dalla schiavitù. La liberazione dall’Egitto è l’evento più importante che loro hanno raccontato e tramandato a memoria. Poi la tradizione orale è diventata scritta, tramandando così ai posteri l’evento salvifico della Pesach (Pasqua), del passaggio del Mar Rosso.

Un altro tema molto importante, un evento accaduto anch’esso nella penisola sinaitica, è stato il patto del Sinai, cioè l’alleanza tra Dio e il suo popolo. Lì il popolo di Israele ha detto sì, Signore nostro Dio, noi ci affidiamo a Te, vogliamo la Tua protezione, la Tua liberazione, noi Ti apparteniamo. E viene fatta l’Alleanza. Intorno a questi eventi nasce il Pentateuco.

E col passare del tempo, la polvere dell’abitudine copre tutto e fa dimenticare quello che è accaduto e che è stato importante per la propria storia ed identità di popolo. La gente si allontana da Dio e diventa infedele a quel patto, anzi approda ad adorare dèi pagani. Nascono allora i profeti per ricordare quello da cui si era partiti, le radici del loro essere popolo, nazione. Chi ci ha dato la terra? “Ha Harez”, la terra, ce l’ha data Dio, e questa terra va difesa, non con le armi, bensì con la Parola di Dio, con l’obbedienza. Ecco che avviene il ritorno all’osservanza della Legge e il ritorno all’Alleanza, grazie al richiamo dei profeti.

Allora abbiamo la composizione della Torah, i primi cinque libri del Pentateuco, chiamata anche “La Legge”; poi nascono i profeti, il profetismo, i libri dei Profeti. E siamo in epoca ellenistica quando il popolo ebraico, Israele, incontra la cultura greca, e si scontra con un nuovo modo di pensare ed intendere i valori dell’uomo, della vita, della religione. Gli Ebrei non si ritrovano nei valori dei Greci, e allora nascono le Scritture Sapienziali, i libri Sapienziali. Questi e cercano di dare una risposta ebraica alle domande greche.

A questo punto la maggior parte dei testi che arriveranno ai Cristiani sono, per la maggior parte, già formati. Dopo la morte di Cristo, i cristiani dicono: “Ma c’è la predicazione degli Apostoli, mettiamola giù per iscritto prima che si perda”.

Gli apostoli narrano i detti e i fatti di Cristo, ci sono molti testimoni oculari, si mette mano ai Vangeli: la fonte Q seve da base, il primo è Marco, poi c’è Matteo, e comunque i quattro evangelisti scrivono il cuore di tutta la Bibbia. I quattro vangeli sono poca cosa rispetto alla voluminosità del resto dei libri sacri. Se voi prendete la Bibbia e andate a vedere quanto spazio occupano i Vangeli, vi accorgete che rappresentano una minima parte, però lì ci troverete il centro della Sacra Scrittura, la chiave di lettura di tutto il resto della Bibbia.

E noi nella Liturgia della Parola tutto questo lo esprimiamo con il portare l’Evangeliario in processione, l’uso dell’incenso, la presenza di due ceri, il bacio al Lezionario alla fine della proclamazione del Vangelo.

Quel testo si chiama Lezionario perché contiene le lectiones, cioè le letture, mentre il libro che sta sull’altare si chiama Messale perché contiene tutte le parti della Messa. Si dà tutta questa importanza alla lettura del Vangelo perché non si può comprendere l’Antico Testamento se non si parte dal Vangelo.

Se volete leggere la Bibbia e se volete anche consigliarla sempre dite: prima il Vangelo.

Nel leggere i Vangeli partite da Marco: 16 capitoli, il più piccolo, il più semplice. Marco scrive ai romani che non conoscono i termini aramaici, li spiega ogni volta: è il primo testo da cui partire.

L’importanza del Vangelo. E dove viene letto il Vangelo?

Quando inizia la Liturgia della Parola, la nostra attenzione dalla presidenza si sposta su un altro luogo della Messa: l’ambone. Lo sguardo si volge all’ambone mentre ci mettiamo seduti.

L’ambone dovrebbe essere “corposo”, perché “ambone” viene da “ambon” che vuol dire pancione, superficie convessa. Non può essere confuso col leggio.

Conosco la chiesa delle Pie Discepole del Divin Maestro sulla Via Portuense a Roma. Il loro ambone è una cosa enorme, è proprio un ambone “pancione”. Tu sali sopra e senti che stai facendo qualcosa di solenne. Così dovrebbe essere se vuoi dare la giusta importanza alla Parola di Dio e in modo più chiaro al Vangelo. Il leggio è un’altra cosa: dal leggio si fanno le monizioni, si guidano i canti, si leggono le introduzioni, si danno gli avvisi. Ma all’ambone si dà tutta la cura riservata al Vangelo. Perché? Perché sono le stesse parole di Gesù Cristo, sono i fatti di Gesù, il centro della nostra vita, della nostra esistenza.

Mi piace riportare a questo punto il pensiero di don Fabio Rosini. Egli afferma: “Se ascolti la Parola di Dio e non capisci molto, non ti preoccupare. Tu ascolta! Tieni dentro! Se senti un pugno nello stomaco e fai finta che non è a te, tienilo quel pugno, è per te”. Se la Parola di Dio ti mette in crisi, se ti disturba, se t’inquieta, quella è Parola di Dio! Se ti lascia calmo, sereno, inerte, non stai leggendo la parola di Dio, stai facendo altro.

È interessante perché Rosini dice: “proprio quando ti sta disturbando, la Parola sta dicendo qualcosa a te”. Ma se il Padre Eterno, così alto e onnipotente, ha delle cose da dirti, è normale che tu non le capisca tutte e subito. Tu tienile, poi le capirai. Sono per te.

Riporta quindi l’esempio dell’Annunciazione. Maria dice: “Ma com’è possibile? Non conosco uomo!” però si fida. Poi il racconto del Vangelo conclude: “Maria meditava tutte queste cose nel suo cuore”! Tieni quelle parole per te, medita, vai avanti perché il Signore ti sta portando un messaggio di bene.

Purtroppo, succede che quando uno parla del bene tutti dormono, se parli del male si svegliano. Ed è vero! Quali sono le trasmissioni che tirano di più? Quelle sui guai degli altri! Il noir, lo splatter, la cronaca nera. Invece una bella vita di santi oggi non attira nessuno!

Io ricordo, ho fatto a Roma il liceo, al seminario minore romano in viale Vaticano 42, che avevamo l’ora di religione il sabato: la sesta ora del sabato. Eravamo tutti seminaristi di diversi Istituti, avevamo già in casa le catechesi, la formazione, i ritiri spirituali, le conferenze, le meditazioni, non avevamo voglia di fare religione, per di più alla sesta ora del sabato! Per fortuna nostra, il professore di religione era don Giancarlo, orionino, un sant’uomo, ed era anche esorcista. Allora gli chiedevamo: “Don Giancà ha fatto qualche esorcismo ‘sta settimana?”. Lui raccontava e noi eravamo attenti, tutti svegli…

Ma Dio ti porta un messaggio di bene per te, non ti addormentare!

La Parola di Dio che noi ascoltiamo ci racconta tutta la storia della salvezza. Ma ce la racconta a tratti, a pezzi: non potremmo digerirla tutta intera.

Ma chi ha fatto questa scelta? Chi è che si è presa la briga di scegliere i contenuti biblici per la Liturgia della Parola: prima lettura, seconda lettura, salmo, vangelo… “Chi l’ha fatto?

È la Sapienza cristiana che ha fatto questa scelta per noi. È la Chiesa, la Santa Madre Chiesa, con la sua tradizione millenaria, che per noi ha fatto questo lavoro. Con un profondo discernimento, “ruminando” anni e anni la Parola (come dicono i padri della Chiesa), con oculata scelta la Chiesa ci propone, nell’arco di un anno, l’ascolto, centellinato e calibrato sui tempi liturgici, di tutte le letture bibliche.

Ecco perché, dice l’introduzione al Lezionario: “non si può omettere o cambiare un testo della Parola di Dio” prevista per quel giorno.

Perché è stato scelto per noi! Parola di Dio è Parola di Dio. Basta. Non si può sostituire una lettura della messa con un testo di una canzone o una lettera del Santo Fondatore e neanche con un brano tratto dal Magistero.

La Prima Lettura è tratta dall’Antico Testamento. Il salmo previsto è tratto dal Libro dei Salmi e dovrebbe essere cantato (almeno il ritornello). I salmi sono 150, attribuiti a Davide (anche se Davide avrà scritto il Miserere, forse, ma non tutti i salmi…). La Seconda Lettura invece, è tratta dal Nuovo Testamento.

Chi proclama il Vangelo deve leggere per gli altri, non per sé stesso. Ecco perché è importante una buona acustica, il saper porgere la Parola di Dio, il declamare e non sbiascicare sottovoce delle parole!

Chi legge, il Lettore, svolge un ministero (il ministero istituito del Lettorato) e deve essere preparato anche a saper leggere per porgere la Parola di Dio!

Sant’Agostino dice: “Il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico Testamento e l’Antico testamento è rivelato nel Nuovo”.

Se vogliamo comprendere l’Antico Testamento troviamo la spiegazione nel Nuovo Testamento. Ecco perché bisogna partire dal Vangelo, perché il Vangelo è la chiave di lettura di tutta la Bibbia.

Occorre anche saper ascoltare. Ascoltare non è soltanto “sentire”, ma è entrare in empatia.

Quando due persone dialogano davvero? Non quando parlano di sport o di clima atmosferico; bensì quando si coinvolgono nel discorso dicendo qualcosa di sé, quando riescono ad aprire il loro cuore, quando esprimono desideri, impegni, valori, aspirazioni, paure.

Bene, nella Liturgia della Parola c’è questo dialogo, dove Dio apre il cuore dell’uomo e gli chiede di aprire il suo.

I Padri della Chiesa dicevano: “Nella Parola di Dio noi scopriamo i battiti del cuore di Dio”. Cioè scopriamo quanto Dio ci ama.

Il suo messaggio è un messaggio d’amore: i Vangeli sono una lettera d’amore che Cristo ha scritto per noi.

E la nostra risposta alla Parola qual è?

Quella immediata è il Credo. Però, la vera risposta è quella che diamo con la nostra vita.

Papa Francesco al termine di una sua catechesi ha detto che la Parola di Dio deve passare nelle orecchie, arrivare al cuore e raggiungere le mani. “La Parola di Dio fa un cammino dentro di noi. La ascoltiamo con le orecchie e passa al cuore; non rimane nelle orecchie, deve andare al cuore; e dal cuore passa alle mani, alle opere buone. Questo è il percorso che fa la Parola di Dio: dalle orecchie al cuore e alle mani” (Papa Francesco, Udienza Generale in Piazza San Pietro, Mercoledì, 31 gennaio 2018). Deve cioè diventare azione. Se la Parola non ci converte, non ha raggiunto il suo scopo.

 

C’è un breve racconto – storia vera – sul santo curato D’Ars, san Giovanni Maria Vianney, il quale fu mandato dal suo vescovo in un paesino sperduto, Ars. Qui divenne famoso per la sua santità di vita, per la sua predicazione e la sua capacità di convertire il cuore dei penitenti. La gente accorreva da lui, non solo da Parigi, ma da tutta la Francia. A Parigi, nella Cattedrale di Notre Dame, c’era un altro predicatore, il famosissimo padre Lacordaire. Questi venne a sapere che anche in un piccolo paese come Ars c’era un bravo e promettente predicatore che attirava una platea sempre più numerosa di fedeli. “Devo andare a vedere”, disse, non per civetteria, ma per conoscere di persona. E quando lo incontrò gli disse: “Padre io mi inginocchio ai suoi piedi, ho sentito parlare tanto bene di lei, della sua santità e della sua predicazione”. “Padre Lacordaire ma lei viene da me? Ma che dice? Ho saputo che quando lei predica la gente per stare in chiesa sale sui confessionali.” Dice padre Lacordaire: “È vero padre Giovanni, io li faccio salire sui confessionali, ma lei li fa entrare dentro”. La Parola di Dio, allora, ci deve convertire!

 

Il silenzio

Mi hanno insegnato che nella santa Messa si devono rispettare quattro silenzi, due piccoli e due grandi. I due piccoli silenzi sono all’atto penitenziale, quando si riflette sulle proprie mancanze per chiedere perdono, e dopo che il sacerdote dice “Preghiamo” nella preghiera di Colletta. Qui il ministro dell’eucaristia raccoglie (da “colligo”, raccolgo) tutte le intenzioni dei fedeli per porgerle al Padre: tra il “preghiamo” e l’orazione ci deve essere il piccolo silenzio.

I due grandi silenzi riguardano 1). la meditazione personale, dopo l’ascolto dell’omelia, per prendere un impegno di vita da quanto il Signore mi ha detto e 2). la riflessione su quanto ho ricevuto nell’Eucaristia, dopo la Comunione.

Padre Pio proprio riguardo ai silenzi della sua celebrazione della santa messa ha per noi un grande insegnamento. È risaputo che la sua messa celebrata come fosse la prima, come fosse l’unica, come fosse l’ultima, durava tantissimo. Quando faceva l’elevazione, impiegava 20 minuti. I pellegrini e i partecipanti occasionali apprezzavano il lungo tempo che Padre Pio riservava alla Santa Messa. Il sagrestano e i confratelli un po’ meno. Il padre guardiano allora, un giorno, gli chiese: “Padre come mai impiega 20 minuti solo per la elevazione?”. Padre Pio spiegò: “In quel momento offro al Signore tutte quelle persone che mi chiedono di pregare per loro”. “Ma proprio tutte?!?”. Padre Pio: “Sì, ricordo tutte le persone che mi chiedono un aiuto, una preghiera, un consiglio!”. “Ho capito: lei mette tutto nel calderone e affida il tutto alla misericordia di Dio”. Padre Pio: “No! Nel calderone metto lei e vi accendo sotto una fiamma”.

Concludo con piccoli suggerimenti pratici.

1). È importante leggere la Parola di Dio prima di partecipare alla santa messa. Grazie a Dio ci sono i messalini, ci sono i foglietti della messa, c’è Internet. Leggere la Parola di Dio ci aiuta alla precomprensione, che è utile per accogliere la Parola. Il seme, cioè, quando cade trova un terreno fertile.

2). Secondo suggerimento: nel foglietto, soprattutto se è il nostro messalino, sottolineare le cose su cui abbiamo un dubbio o che vogliamo approfondire. Poi dopo che abbiamo partecipato alla santa messa, ascoltato l’omelia, meditare la Parola, durante la settimana “masticarla”, “ruminarla”.

2). Poi se abbiamo un nostro quaderno spirituale, un diario, è utile segnare, scrivere qual è l’impegno che mi sono preso, cosa mi ha colpito questa domenica e poi in ultimo fare quella sana pratica della nostra tradizione cristiana che è l’esame di coscienza. È utilissimo l’esame di coscienza serale. Serve a verificare se ho messo in pratica il frutto della meditazione mattutina. Se non ho espletato i buoni propositi, chiedo perdono e riprendo. Mi sforzo di dare così sempre il meglio di me stesso/stessa. Faccio un passetto ogni giorno nella crescita spirituale.

 

Buon ascolto, allora, della Parola di Dio e buon cammino, nell’unione con Dio e nell’amore al prossimo!