Quando c’è un perché, si trova anche il come

di Costanza Miriano

Il libro di Vittoria Lugli è un concentrato di speranza, e sono molto fiera di aver contribuito a darle la spinta iniziale a scriverlo. La ascoltavo risolvere situazioni complicate, avere una parola di incoraggiamento per tutti, affrontare difficoltà con piglio da combattente, e una volta le ho detto: dovresti scrivere un libro. Immagino di non essere stata l’unica, e neanche la prima, però sono proprio contenta di tenere fra le mani un prezioso regalo per tante persone. Questo libro in realtà Vittoria lo aveva già scritto, ascoltando esperienze, vivendo realtà, leggendo, studiando, raccogliendo sfide, appuntando, facendo ricerche, leggendo, incontrando persone, documentandosi. Serviva solo lo sforzo finale di organizzare il materiale.

Il risultato è questo “In volo con le emozioni”, un testo credo unico nel suo genere, perché tecnico ma anche pieno di storie, tanto che io l’ho già letto due volte, e di certo non per gli aspetti scientifici, ma perché ti appassiona ai personaggi quasi come fosse un romanzo.

Vittoria è una psicoterapeuta che si occupa di famiglie, coppie e dinamiche intrafamiliari. A un certo punto della sua esperienza professionale si è trovata ad affrontare le problematiche dei piloti dell’aeronautica militare, i quali si trovano sottoposti alle sollecitazioni massime a cui possa essere sottoposto un uomo – infatti c’è una selezione severissima sotto tutti i punti di vista per diventare pilota militare – ma nello stesso tempo non possono prendere farmaci per gestire nessun tipo di problemi. A questo punto in caso di necessità possono intervenire gli psicologi, che sono in grado di riscrivere l’amigdala, la parte del cervello “incaricata” di gestire i traumi e la paura (i tecnici mi perdoneranno l’approssimazione). Questo è il lavoro che ha imparato a fare l’autrice, un lavoro la cui dinamica può essere trasposta anche fuori dall’ambito del volo, perché tutti noi siamo posti davanti a sfide quotidiane, anche se non pilotiamo un caccia. Come scrive nella prefazione il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, il Generale Luca Goretti, la dottoressa Lugli “ha individuato nel nostro addestramento una possibile chiave di volta per imparare a gestire, senza l’aiuto di farmaci, sentimenti, emozioni e difficoltà quotidiane che, troppo spesso ormai, a tanti sembrano insormontabili”.

Insomma, tanti di noi si trovano a volte incapaci di gestire certe emozioni, e questo studio può essere davvero illuminante per tanti, e direi esplosivo per alcuni che hanno ferite particolarmente significative nel passato. Per esempio, chi ha subito abusi o maltrattamenti deve sapere che la sua mente può essere guarita, qualunque sia il suo passato. Chi ha avuto figure di accudimento negative può imparare a essere padre e madre di sé stesso. Quando si trova un senso per la propria vita, si riesce anche ad affrontarne gli aspetti più bui, e le storie raccontate qui lo confermano. E il senso è nel sentirsi amati, e nell’imparare ad amare. Ma gestire le emozioni richiede uno sforzo, richiede ascolto e anche sofferenza, che sono proprio ciò che oggi la psicologia e la medicina, in genere, vogliono rimuovere. Invece questo lavoro mostra come provare sofferenza e dolore non impedisce di arrivare a prestazioni e risultati eccellenti: andare in fondo al proprio dolore permette di prendere in mano la propria vita.

Il lavoro di Vittoria, quello che descrive raccontando le storie dei suoi pazienti ai quali non si può non affezionarsi, è quello di entrare in relazione, in una relazione vera e profonda, mettersi all’ascolto, e come un segugio trovare la tana nella quale si sta nascondendo il problema, dipanare il filo della vita del paziente e trovare il bandolo della matassa, e una volta trovato, insegnare un nuovo modo di gestire quel dolore. Trovare la chiave della propria sofferenza serve ad aprire la prigione nella quale quel dolore ci tiene reclusi, uscire e finalmente cominciare una nuova vita, che è sempre possibile, sempre. Questo mi sembra il messaggio del libro, la buona notizia che riguarda tutti. Nessuno è condannato in modo inappellabile, tutti, fino all’ultimo minuto di vita, possono prendere in mano la propria vita.

Dentro di noi vivono due cani – è l’immagine con cui si conclude il libro – uno buono e mansueto, l’altro violento e litigioso, che sono in costante lotta tra loro. vincerà il cane che nutriamo di più. Dare da mangiare al cane buono significa imparare stili emotivi e comportamentali in grado di modificare piano piano il nostro cervello, letteralmente.

Ps io personalmente credo che si nutra il cane buono attingendo alla Grazia, attraverso la preghiera, l’ascolto della Parola e i sacramenti. Su questo il libro non si pronuncia, perché mantiene chiaramente un profilo aconfessionale, e c’è sicuramente un punto fino al quale anche l’uomo con le sue sole forze può arrivare…