Ascoltiamo il Signore e lo seguiamo come pecorelle con il pastore?

All’Angelus il Pontefice ricorda un’immagine che Gesù utilizza per parlare del suo rapporto con i fedeli, paragonandolo a quello del pastore con le sue pecorelle.

“Le mie pecore – dice Gesù – ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono leggiamo nel Vangelo di Giovanni. Questi tre verbi sono significativi. L’ascolto viene solo se siamo pronti quando il Signore ci chiama.

  “Ascoltare significa disponibilità, significa docilità, significa tempo dedicato al dialogo.” Oggi quasi non c’è tempo per il dialogo, si parla solo per riempire i silenzi ma senza veramente ascoltare. “Siamo travolti dalle parole, dalla fretta di dover sempre dire qualcosa.” Invece è importante, il Signore stesso ascolta: ci ascolta quando lo preghiamo, quando ci confidiamo con Lui, quando lo invochiamo.”

E se ascoltiamo il Signore ci rendiamo conto che Egli ci conosce, proprio come il pastore conosce le sue pecore. “Ma ciò non significa solo che sa molte cose su di noi: conoscere in senso biblico vuol dire anche amare. Vuol dire che il Signore, mentre ‘ci legge dentro’, ci vuole bene, non ci condanna.

Con il dialogo possiamo coltivare l’amicizia con Lui, “Gesù cerca una calda amicizia, una confidenza, un’intimità. Vuole donarci una conoscenza nuova e meravigliosa: quella di saperci sempre amati da Lui e quindi mai lasciati soli a noi stessi. Come ricorda anche il Salmo 23,4 “Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me.

Ecco che “nelle situazioni difficili, possiamo scoprire di essere conosciuti e amati dal Signore.” Ma noi ci lasciamo conoscere dal Signore? Gli facciamo spazio nella nostra vita? E lo seguiamo come le pecorelle? “Chi segue Cristo, che cosa fa? Va dove va Lui, sulla stessa strada, nella stessa direzione. Va a cercare chi è perduto (cfr Lc 15,4), si interessa di chi è lontano, prende a cuore la situazione di chi soffre, sa piangere con chi piange, tende la mano al prossimo, se lo carica sulle spalle.”

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